𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Presso il Centro Etnografico di Sauris, al piano rialzato, si trovano spazi espositivi che hanno il compito di illustrare la vita, le tradizioni e le attività della comunità saurana. Alcune didascalie esplicative mi hanno colpita in modo particolare. Anche nell’ottica comparativa con altre genti che hanno originato tradizioni altrettanto legate ad origini che si perdono nella notte dei tempi. Vi invito a rileggere questo spiegone: https://www.tangia.it/gli-abiti-dei-residenti-a-lusevera/.
Qui di seguito trascrivo i testi presenti nelle bacheche del Centro. Le equivalenze linguistiche tra parentesi sono opera mia, dopo aver consultato il dizionario saurano: http://saurano.claap.org/.
– L’abbigliamento tradizionale saurano si basa su pochi capi ben confezionati, che nella loro semplicità esprimono le caratteristiche di funzionalità e robustezza richieste dal clima alpino e da una vita segnata dal lavoro e dalle fatiche. Generalmente le persone possedevano due vestiti, uno per tutti i giorni e uno per la festa.
– L’abito femminile (𝘬𝘩𝘪𝘵𝘭 – dal tedesco Kittel) era composto da un corpetto aderente privo di maniche, unito ad una gonna lunga e molto arricciata, specie nella parte posteriore. Poteva così essere raccolta e fermata in vita, per non intralciare i movimenti, soprattutto durante il lavoro. Il vestito era completato da un giacchetto (𝘳𝘦𝘪𝘬𝘩𝘭𝘦) corto e attillato, con maniche lunghe fino al polso. I colori del vestito e dal giacchettino erano per lo più scuri (nero, marrone, verde, grigio, rosso vino).
– Sotto il vestito si indossava una camicia bianca (𝘱𝘧𝘢𝘩𝘵) di lino, misto lino/canapa o cotone, lunga fino al ginocchio, con brevi spacchi laterali e maniche ampie ed arricciate all’altezza della spalla. Lo sprone, il collo, i polsini potevano essere impreziositi da un pizzetto; sullo sprone ci sono a volte dei ricami, specie le iniziali. La camicia indossata durante il giorno fungeva anche da camicia da notte. A protezione del vestito si portava un grembiule (𝘷𝘶𝘳𝘵𝘪𝘤𝘩) in lana o misto lana/canapa per i lavori nei campi e in stalla, in cotone per i lavori in casa o per la festa.
– La donna aveva sempre il capo coperto da un fazzoletto (𝘵𝘪𝘦𝘤𝘩𝘭𝘦 – dal tedesco Tüchlein) in lana o cotone, munito di frange. Ripiegato prima a triangolo e poi ancora sul bordo per 2-3 cm, veniva annodato dietro, sulla nuca o all’altezza delle orecchie, per poi riunire le cocche sulla sommità del capo.
– Attorno al collo, soprattutto nelle occasioni festive o quando non si portava il giacchettino, si annodava un piccolo scialletto di lana o cotone fatto all’uncinetto (𝘩𝘰𝘭𝘴𝘵𝘪𝘦𝘤𝘩𝘭𝘦), solitamente nero con una striscia di colore contrastante (azzurro, viola, verde, rosso).
– Altrettanto funzionale e ancor più sobrio era l’abbigliamento maschile. Anche gli uomini indossavano una camicia lunga (𝘱𝘧𝘢𝘩𝘵) in cotone o misto lino/cotone, lino, lana con collo a fascetta, comunemente colorata (a quadretti o a righine) oppure bianca. Sopra la camicia si portava un panciotto (𝘱𝘳𝘶𝘴𝘤𝘩𝘭𝘦𝘬𝘩) corto in vita con lo scollo arrotondato o a “V” e con taschini. L’abito era confezionato dai sarti con tessuto di lana. La giacca (𝘳𝘰𝘶𝘬𝘩 – dal tedesco Rock) era abbastanza attillata e più spesso monopetto che a doppio petto. I pantaloni potevano essere sia a gamba liscia e lunghi fino alla caviglia (𝘷𝘢𝘳𝘨𝘦𝘴𝘴𝘢𝘴 – dal friulano braghesse), sia alla zuava larghi e corti al polpaccio (𝘱𝘢𝘪𝘵𝘭𝘷𝘢𝘳𝘨𝘦𝘴𝘴𝘢𝘴). Come negli abiti femminili, i colori preferiti erano scuri.
– Col freddo si indossavano anche giacconi più lunghi e pesanti o un mantello (𝘮𝘰𝘯𝘵𝘭 – dal tedesco Mantel) in tessuto di lana, spesso dotato di cappuccio. Calzettoni (𝘴𝘵𝘪𝘮𝘱𝘧𝘦 – dal tedesco Strumpf) e calzini (𝘴𝘵𝘪𝘮𝘱𝘧𝘭𝘢𝘯) erano lavorati ai quattro ferri dalle donne. Presentavano una separazione cromatica: la parte del piede era realizzato con lana chiara, la parte superiore, corrispondente alla gamba, con lana più scura. In testa si portava sempre il cappello a tesa, non molto larga (𝘩𝘶𝘦𝘵 – dal tedesco Hut) o un berretto (𝘴𝘬𝘳𝘰𝘬). Le calzature erano sostanzialmente di due tipi: gli zoccoli in legno (𝘬𝘩ō𝘪𝘴𝘱𝘯) e gli “scarpets” (𝘴𝘬𝘢𝘳𝘱ō𝘵𝘴) con la tomaia di velluto nero e la suola bianca realizzata con ritagli di tessuto trapuntati. Più rare erano le scarpe, possedute più che altro dagli uomini che uscivano dal paese per motivi di lavoro.
– Nel museo sono esposti un telaio utilizzato fino al 1960 circa e alcuni attrezzi per la lavorazione della lana e delle fibre tessili. I capi di abbigliamento e di biancheria venivano confezionati interamente in valle. Le donne preparavano i filati (lino e canapa coltivati in loco, o lana). La tessitura, invece, era un’attività artigianale tradizionalmente maschile. Tra il XVII e il XIX secolo molti giovani impararono il mestiere di tessitore nella pianura friulana. Alcuni vi rimasero, aprendo una propria bottega e tornando in paese durante l’estate per aiutare le famiglie nei lavori agricoli. Altri, invece, svolsero la propria attività a Sauris/Zahre, producendo stoffe che venivano poi affidate alle mani dei sarti (per gli abiti maschili) o delle donne (per quelli femminili e dei bambini). I tessitori saurani furono attivi fino alla metà del ‘900.
ᶠᵒᵗᵒ: ʰᵗᵗᵖ://ʷʷʷ.ⁱᵖᵃᶜ.ʳᵉᵍⁱᵒⁿᵉ.ᶠᵛᵍ.ⁱᵗ/ & ʰᵗᵗᵖˢ://ʷʷʷ.ˢᵃᵘʳⁱˢ⁻ᶻᵃʰʳᵉ.ᵒʳᵍ/ᵗʳᵃᵈⁱᶻⁱᵒⁿⁱ_ᵘˢᵃⁿᶻᵉ/ˡᵃ⁻ᵗᵉˢˢⁱᵗᵘʳᵃ/

