𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Vi avevo promesso lo spiegone sull’altra specie di aconito presente in Friuli VG. La bozza era pronta e stavo per pubblicarlo, ma alcuni dati raccolti non mi quadravano. La pianta in questione, sui siti botanici seri e sulle pubblicazioni recenti, presentava troppe variabili di nomenclatura. Napellus, tauricum, Wulfen, dolomiticum. Per mia grande fortuna un collega (grazie ancora Marco P.ino) mi ha chiarito ogni dubbio. E oggi eccolo qui lo spiegone sull’𝙖𝙘𝙤𝙣𝙞𝙩𝙤 𝙩𝙖𝙪𝙧𝙞𝙘𝙤 (𝘈𝘤𝘰𝘯𝘪𝘵𝘶𝘮 𝘵𝘢𝘶𝘳𝘪𝘤𝘶𝘮). Fa parte delle 9 specie di aconiti presenti in regione, che per rendere il genere più interessante agli occhi dei neofiti, hanno 18 sinonimi.
Date un’occhiata qui: https://dryades.units.it/floritaly/index.php?procedure=searchnew&tipo=all , inserite nel primo campo ‘aconitum’ e selezionate Friuli VG. Spazio alla fantasia, insomma.
Riguardo all’etimologia del nome generico, copio quello del cugino lycoctonum: Teofrasto (Grecia, IV sec. a.C.) e Dioscoride (Grecia, I sec. d.C.) descrivono col termine ‘ἀκόνιτον acóniton’ ( = che cresce sulle pietre dure) una pianta velenosa diffusa nei pressi di Acona, in Bitinia. Un’altra teoria fa derivare il nome generico da ‘ἀκόντιον acóntion’ = “dardo, giavellotto”, la cui punta veniva avvelenata con l’estratto dalla pianta. Lo specifico invece si riferisce alla zona di reperimento: gli Alti Tauri (Hohe Tauern), sezione delle Alpi tirolesi in Austria.
La pianta è diffusa, in maniera piuttosto frammentata, sulle montagne dell’Europa sud-orientale; in Italia lungo le Alpi dal Friuli alla Lombardia; in Friuli vegeta bene tra i 1000 e 2500 mt. s.l.m. con pochi esemplari ad altitudini inferiori. E’ presente sul monte Sabotino, che rappresenta quindi il punto più meridionale del suo areale di distribuzione.
Predilige zone a mezz’ombra lungo sponde di torrenti, prati e pascoli, spesso nei dintorni di malghe dove trova terreni concimati naturalmente, su terreni umidi, argillosi o silicei, ricchi di composti azotati.
La pianta raggiunge e supera il metro di altezza ed è facilmente riconoscibile, specie in periodo di fioritura, per l’infiorescenza. Questa è una pannocchia che si estende al termine del fusto, simile a una spiga lunga 5 – 15 cm. I fiori sono peduncolati e profumati, delle dimensioni di circa 2 – 3 cm. e dal colore blu intenso, a volte tendente al violetto. La loro forma è chiusa e protetta – ricorda un elmo – e l’unica specie di insetto impollinatore in grado di aprirlo, è il bombo. Il calo del numero di bombi e di specie presenti nei nostri territori, ha compromesso anche la presenza di aconito.
Come per il cugino lycoctonum, anche il tauricum rientra nelle specie vegetali europee più velenose in assoluto. L’alcaloide 𝙖𝙘𝙤𝙣𝙞𝙩𝙞𝙣𝙖 è una tossina potente, letale anche a dosi minime. Non serve ingerirlo; agisce anche al solo contatto con la pelle, che assorbe i glucosidi liberati in seguito alle sollecitazioni meccaniche. I glucosidi, se liberati, risultano velenosi per la pianta stessa, al punto che reciso, l’aconito non si conserverà a lungo. La radice è la parte vegetale a maggiore concentrazione della tossina. In caso di avvelenamento è necessario svuotare completamente lo stomaco con un emetico e somministrare carboni attivi e tannino per neutralizzare l’effetto degli alcaloidi.
I sintomi da avvelenamento sono: forte calore a gola e ventre, secchezza della lingua, vomito, diarrea, debolezza muscolare, edema polmonare, aritmie, arresto cardiaco e morte. Nonostante la letalità della pianta, conosciuta già dagli antichi, essa era utilizzata nella medicina popolare come antidolorifico, sedativo, calmante, antireumatico. Le cure delle nevralgie del trigemino, quelle intercostali, la sciatica, la gotta e l’angina erano trattate con l’estratto dell’aconito. Nell’antica Roma, per Decreto del Senato, la pianta fu inserita nella lista nera delle „𝙘𝙪𝙧𝙚 𝙢𝙞𝙧𝙖𝙘𝙤𝙡𝙤𝙨𝙚“. Ad oggi, a causa della difficoltà del dosaggio e dell’elevato rischio di intossicazioni anche gravi, l’uso nell’erboristeria famigliare è caldamente sconsigliato.
Altri usi dell’aconito. Come già accennato alcune righe sopra, i guerrieri bellicosi del passato intingevano le punte di frecce e giavellotti nell’estratto della pianta, per renderne l’effetto più letale. Lo si usava nelle preparazioni di veleni di vario tipo, indispensabili nel controllo di animali ritenuti pericolosi (lupi e volpi). Nell’isola di Ceos il veleno permetteva alla società attiva e produttiva di ‘disfarsi’ in maniera elegante di anziani ormai inutili.
Pare che Medea abbia versato il succo di aconito nel vino di Teseo, per ucciderlo. Anche la regina Cleopatra sarebbe morta per aver ingerito estratto di aconito. Pietro Andrea Mattioli (Siena, 12 marzo 1501 – Trento, 1578) umanista, medico e botanico, riferisce che a Roma e a Praga si eseguivano studi sugli antidoti necessari a combatterne l’avvelenamento. A tale scopo, alcuni condannati a morte erano obbligati a ingerire preparati a base di aconito.
Nel folklore popolare, la pianta teneva lontani i vampiri e i lupi mannari. Nella mitologia nordica, è il simbolo dei cavalieri erranti, con il potere di renderli invisibili.
Ai nostri tempi, l’aconito è apprezzato come 𝙥𝙞𝙖𝙣𝙩𝙖 𝙤𝙧𝙣𝙖𝙢𝙚𝙣𝙩𝙖𝙡𝙚, per il colore così intenso dei fiori e per la sua rusticità; supera indenne i rigori invernali. Ovviamente è da evitare in zone frequentate o di grande passaggio.
Ultima curiosità: l’aconito, insieme al cardo dentellato (𝘊𝘢𝘳𝘥𝘶𝘴 𝘥𝘦𝘧𝘭𝘰𝘳𝘢𝘵𝘶𝘴), sono le uniche piante da pascolo che il bestiame evita accuratamente, lasciandone intatti e circoscritti ‘giardinetti’ blu.
ᶠᵒᵗᵒ: ᴬᶜᵗᵃᵖˡᵃⁿᵗᵃʳᵘᵐ