𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
In Friuli VG sono stati istituiti 2 parchi naturali regionali, 13 riserve naturali regionali, 2 riserve naturali integrali, 1 area protetta marina, 38 biotopi regionali, 18 parchi comunali e intercomunali, 8 aree wilderness. Esistono poi il catasto dei prati stabili e quello degli alberi monumentali, nonché l’elenco dei siti di Rete Natura 2000 (SIC, ZPS, ZSC). Trovate tutto qui: https://www.regione.fvg.it/…/Aree_naturali_protette… Si nota che sto ancora studiando per l’esame regionale? Comunque non temete, ve ne parlerò a tempo debito (intendo delle aree protette).
E ora passiamo a cose più interessanti. Il 𝙢𝙞𝙢𝙚𝙩𝙞𝙨𝙢𝙤. Ve ne ho accennato a più riprese ed è arrivato il momento di fare qualche doveroso confronto fra le varie strategie che i viventi hanno adottato per sopravvivere più a lungo e meglio in Natura.
L’𝙖𝙥𝙤𝙨𝙚𝙢𝙖𝙩𝙞𝙨𝙢𝙤, se ricordate, è il fenomeno per cui una specie vivente “pericolosa” adotta colori sgargianti per avvertire potenziali predatori che stanno per commettere un fatale errore nel cibarsi di quell’esemplare. Interviene poi la specie “mimo”, che assume colorazioni simili delle specie tossiche, per richiamare nel predatore lo stesso disgusto, pur essendo innocua.
Si chiama mimetismo 𝙗𝙖𝙩𝙚𝙨𝙞𝙖𝙣𝙤 (H. W. Bates, naturalista inglese del XIX secolo) ed è sostanzialmente un 𝘪𝘯𝘨𝘢𝘯𝘯𝘰. Ma il successo del batesiano è strettamente correlato a un fattore numerico. Il predatore (ogni singolo individuo) deve aver provato a mangiare una preda aposematica. L’esperienza disgustosa non si trasmette per istinto o trasmissione culturale. Il merlo (animale preso a caso) che ingoia una falena tossica deve poter sopravvivere all’avvelenamento e ricordarsi, vita natural durante, della pessima esperienza. Solo così assocerà i colori sgargianti della preda al disgusto e allo scampato pericolo. Prendiamo ad esempio gli imenotteri dotati di pungiglione (api, vespe, calabroni) e i ditteri o sirfidi (che invece ne sono privi) che ne imitano i colori.
Fintanto che il merlo avrà mangiato solo questi ultimi, non comprenderà il segnale aposematico. Per lui, l’alternanza cromatica giallo/nero sarà associata a un pasto facile. Ma la volta che preda un calabrone e questo gli farà passare un brutto quarto d’ora, sempre che sopravviva, avrà imparato la lezione e si terrà a debita distanza sia dai calabroni che dai mimi ditteri e sirfidi. Il suo apprendimento però, come dicevo sopra, non lo può trasmettere alla progenie o al resto del gruppo sociale.
C’è poi il mimetismo 𝙢ü𝙡𝙡𝙚𝙧𝙞𝙖𝙣𝙤 (J. F. Müller, naturalista tedesco del XIX secolo), che interessa solo specie effettivamente “indigeste”. Si è notato che alcuni 𝘱𝘢𝘵𝘵𝘦𝘳𝘯 (motivi decorativi, schemi cromatici) sono molto più ricorrenti in specie dalle caratteristiche morfologiche simili (𝘛𝘳𝘪𝘤𝘩𝘰𝘥𝘦𝘴 𝘢𝘱𝘪𝘢𝘳𝘪𝘶𝘴, 𝘛𝘳𝘪𝘤𝘩𝘰𝘥𝘦𝘴 𝘢𝘭𝘷𝘦𝘢𝘳𝘪𝘶𝘴, 𝘊𝘦𝘳𝘤𝘰𝘱𝘴𝘪𝘴 𝘷𝘶𝘭𝘯𝘦𝘳𝘢𝘵𝘢, 𝘊𝘦𝘳𝘤𝘰𝘱𝘴𝘪𝘴 𝘴𝘢𝘯𝘨𝘶𝘪𝘯𝘰𝘭𝘦𝘯𝘵𝘢 – vedi foto sotto). Anche in questo caso, il numero fa la differenza.
Come per il batesiano che per il mülleriano, poter contare su un gran numero di individui, di diverse specie, che recano (a ragione perché effettivamente tossici, o a torto perché sono solo mimi) colori aposematici, significa che le predazioni – necessarie per associare l’evento negativo al colore – si spalmano su un gran numero di specie. Non serve che il predatore assaggi una ad una le diverse specie per ricordarsi il percolo scampato. E’ sufficiente l’esperienza singola, se il cacciatore è accorto. E il numero di individui sacrificati per consolidare l’aposematismo delle prede nelle risorse trofiche della preda rientra nella vasta e complessa 𝙘𝙖𝙩𝙚𝙣𝙖 𝙖𝙡𝙞𝙢𝙚𝙣𝙩𝙖𝙧𝙚 e nel 𝙘𝙞𝙘𝙡𝙤 𝙙𝙚𝙞 𝙣𝙪𝙩𝙧𝙞𝙚𝙣𝙩𝙞 più in generale.
ᶠᵒᵗᵒ: ʷᵉᵇ, ᵈⁱ ᵖᵘᵇᵇˡⁱᶜᵒ ᵈᵒᵐⁱⁿⁱᵒ