La Borsa del pastore

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Nei prati primaverili stanno fiorendo (e sfiorendo) alcune piante tipiche della vegetazione friulana. Oltre al tarassaco a cui ho già accennato qui: https://www.tangia.it/tarassaco/ possiamo notare la più dimessa 𝘽𝙤𝙧𝙨𝙖 𝙙𝙚𝙡 𝙥𝙖𝙨𝙩𝙤𝙧𝙚 (𝘊𝘢𝘱𝘴𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘣𝘶𝘳𝘴𝘢-𝘱𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘴). Si tratta di una brassicacea originaria dell’Europa meridionale che però ha colonizzato con successo tutte le regioni italiane. Cresce nei giardini e nei campi, lungo sentieri e ambienti ruderali, sopporta bene il calpestio e preferisce suoli umidi e azotati.

Il nome generico è il diminutivo del latino 𝘤𝘢𝘱𝘴𝘢 ( = piccolo contenitore adatto a contenere papiri, oggetti preziosi; cofanetto). Quello specifico fa riferimento alle bisacce in cui riponevano attrezzi e viveri i pastori del passato, per la forma delle 𝘴𝘪𝘭𝘪𝘲𝘶𝘦𝘵𝘵𝘦 (i frutti prodotti dalla pianta – vedi foto sotto – a forma di cuore, o di sacchetto, appunto). Il nome latino e italiano assegnato alla pianta non può competere col romanticismo evocato da quello anglosassone: “𝘮𝘰𝘵𝘩𝘦𝘳’𝘴 𝘩𝘦𝘢𝘳𝘵”. Ma quello più curioso e allusivo è friulano: 𝘙𝘶𝘣𝘦 𝘣𝘦𝘻 𝘪𝘯 𝘨𝘭𝘦𝘴𝘪𝘢 (rubare soldi in chiesa) – probabilmente sempre alludendo a una cassetta, quella delle offerte – e 𝘎𝘶𝘴𝘦𝘭𝘢𝘳 o 𝘗𝘪𝘯𝘵𝘪𝘯𝘦𝘭𝘢.

L’uso alimentare della pianta (le foglie giovani, a mò di insalata, dal vago sapore di cavolo; i semi, da cui estrarre olio commestibile) è documentato fin dall’antichità. Ma è la fitoterapia a farne ampio uso: le vengono ascritte numerose proprietà astringenti, vasocostrittrici, emostatiche e antiemorragiche. Per tale ragione, non è raro che la pianta sia utilizzata per il trattamento delle ferite e delle scottature, dell’epistassi e dei disturbi mestruali.

Alle foglie della pianta, in particolare, sono ascritte proprietà sudorifere e diuretiche; mentre ai fiori sono attribuite attività espettoranti ed emollienti. Le radici di borsa del pastore sono dotate di attività antibatteriche, esercitate soprattutto nei confronti dei batteri gram-negativi.

In alcuni diari, scritti da soldati impegnati sui vari fronti di combattimento durante la prima guerra mondiale, si trovano annotazioni che riportano l’uso della pianta come rimedio emostatico, in mancanza di sostanze più consone.

Ovviamente ha anche caratteristiche peculiari, altrimenti non ve ne avrei parlato. E’ una pianta 𝘱𝘳𝘰𝘵𝘰𝘤𝘢𝘳𝘯𝘪𝘷𝘰𝘳𝘢, nel senso che cattura, uccide e si nutre di piccoli insetti grazie ai semi che, caduti a terra e inumiditi dalle precipitazioni atmosferiche, si ricoprono di una sostanza appiccicosa che invischia irrimediabilmente gli avventati consumatori. Questi poi arricchiscono il terreno circostante di nutrienti, favorendone direttamente la germinazione del seme.

La stessa sostanza gommosa e tossica viene rilasciata dai semi caduti in acqua, uccidendo le larve presenti. Per completezza: ogni pianta è in grado di produrre 500’000 semi che vengono facilmente dispersi col vento o grazie agli animali.

Ultima nota cultural-popolare. Durante la fase di dentizione dei neonati si era soliti appendere al loro collo un sacchettino di stoffa rossa, contenente i semi della borsa del pastore, con lo scopo di alleviare il dolore. Allo spuntare del primo dentino, il sacchetto doveva essere poi gettato in un corso d’acqua.

ᶠᵒᵗᵒ: ᴬⁿᵈʳᵉᵃ ᴹᵒʳᵒ ᵖᵉʳ ᴰʳʸᵃᵈᵉˢ / ᵐⁱᵃ

Borsa del pastore, foto di Andrea Moro per Dryades
Borsa del pastore, foto di Andrea Moro per Dryades
Siliquetta della Borsa del Pastore, foto di Andrea Moro per Dryades
Siliquetta della Borsa del Pastore, foto di Andrea Moro per Dryades
Foto mia