Capodanno in Friuli

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Siamo giunti a Capodanno. Quel giorno, stabilito dal calendario gregoriano, che segna il termine di un anno e decreta l’inizio di un altro. Il calendario è una convenzione tipicamente umana; in natura si seguono l’alternarsi della luce e del buio, il succedersi delle stagioni e, su scala molto ampia (e di cui nessun animale può ragionevolmente avere percezione), quello delle ere glaciali. Il 31/12 resta comunque una buona scusa per festeggiare o un momento per fare bilanci.

Vediamo un pò come si affrontava Capodanno in Friuli occidentale qualche anno fa. Le informazioni le ho trovate qui: https://propordenone.org/la-loggia-on-line/

Innanzitutto andavano saldati tutti i debiti, sia economici che di prestazione e morali. Bisognava anche aver terminato tutti i lavori lasciati in sospeso nei mesi precedenti. Dover iniziare l’anno nuovo con un fardello di questioni arretrate, poteva solo portare sfortuna. Recita il detto: 𝘈 𝘴𝘢𝘯 𝘚𝘪𝘭𝘷𝘦𝘴𝘵𝘳𝘪, 𝘰𝘨𝘯𝘪𝘥𝘶𝘯 𝘪𝘭 𝘷𝘶𝘦𝘴𝘵𝘳𝘪.

L’ultima giornata dell’anno, nelle comunità contadine, era una normale giornata di lavoro. Almeno fino a mezzogiorno, ognuno si dedicava alle proprie attività. Nel pomeriggio, semmai, ci si dedicava a una visita in osteria dove scambiare quattro chiacchiere con amici e conoscenti. Dopo qualche ‘𝘵𝘢𝘪𝘶𝘵’ si era pronti per recarsi dai parenti a scambiarsi gli auguri. Quanto sopra valeva per l’universo maschile.

Quello femminile invece non conosceva granché requie. Proprio in previsione di parenti in visita, le donne si affaccendavano a preparare dolcetti di varia foggia. Dall’azione si risale al tipo di leccornia prodotta: “𝘤𝘳𝘶𝘴𝘵𝘶𝘭â” 𝘰 “𝘧𝘳𝘪𝘵𝘶𝘭â” prevedeva crostoli e frittelle. Invece “𝘧â 𝘤𝘰𝘭à𝘴 𝘤𝘶𝘭 𝘨𝘰𝘵” era la preparazione di biscottini a ciambella, ricavati taglaindo l’impasto con due bicchieri di diametro diverso. Ma c’era anche il 𝘴𝘶𝘧𝘭𝘪𝘵, che probabilmente era un dolce al cucchiaio fatto di farina, zucchero e vino.

E mentre le donne di casa si accingevano a preparare anche la cena, i loro compagni di vita si divertivano a giocare a bocce. Il clima, in tal senso, era un alleato. Una bella distesa prativa, pianeggiante, con la vegetazione completamente gelata regalava momenti di spasso e risate ai gaudenti bocciatori.

Era anche buona norma che le donne in età da marito si dedicassero alla pulizia della casa, delle pentole e delle panche di legno. Questa operosità sarebbe stata notata dai giovani del paese, che nell’anno venturo avrebbero potuto chiederle in sposa.

La funzione religiosa, con scopo di ringraziamento per chi dall’alto ha elargito qualche benedizione durante l’anno appena trascorso, poteva svolgersi anche nelle case, con un semplice ma sentito Rosario. In chiesa invece era prassi cantare il Te Deum. Di ritorno ci si dedicava finalmente ai bagordi festaioli, per chi ovviamente se li poteva permettere.

Tempo addietro la cena di San Silvestro era solamente un pò più abbondante del solito. Avete presente la cena “tipo” di una famiglia che vive di sussistenza nel Friuli arcaico di qualche decennio fa? ‘Un pò più abbondante’ significava che invece di una fetta di 𝘮𝘶𝘴𝘦𝘵, si poteva fare il bis. Accompagnava la carne, un piatto sostanzioso di minestra di fagioli.

Al cucina, il luogo deputato per la trasformazione di quel poco di cui la gente disponeva in cibi apprezzati, era la grande cucina delle case coloniche. Ci si viveva in numerosi nuclei famigliari, quindi fantasia e mani operose non mancavano. Al centro della stanza, il 𝘧𝘰𝘨𝘰𝘭â𝘳, a scaldare mani, piedi e pietanze. Prima di esse, la famiglia si ritrovava nelle stalle riscaldate dal bestiame; riscaldamento eco-sostenibile.

In anni più recenti si è sentito di integrare i festeggiamenti con frizzi e lazzi più moderni: la tombola. Trattandosi di un gioco di mera fortuna, privo di strategie o contenuti, tutti i partecipanti erano di pari grado, qualunque fosse la loro estrazione sociale o età. I premi erano soprattutto cibo, piccoli oggetti utili alla vita quotidiana, un capo di abbigliamento oppure, nelle famiglie meno abbienti, i soli applausi. Era gradito anche il “𝘮𝘶𝘤𝘦𝘵𝘪” 𝘰 “𝘴𝘦𝘮𝘰𝘭𝘦” che prevedeva che i giocatori indovinasse sotto a quale mucchietto di semola fosse nascosto un soldino.

Le carte da gioco sono state apprezzate fin dalla loro introduzione. Tresette, briscola, scopa, sette e mezzo, quelli più partecipati. Sono poi arrivati i giochi da tavolo su scacchiera: scacchi, dama, tria.

Ma vediamo quali erano le pietanze preparate con maestria e servite durante i festeggiamenti del Capodanno in Friuli. Frutta secca per sopire i primi morsi di fame in attesa della portata principale: noci, nocciole, arachidi, fichi secchi, uva passa, carrube. Poi castagne secche e nespole col vino bianco. Polenta e formaggio salato, accanto al muset; oppure riso cucinato nel latte da offrire a bambini e anziani per augurare abbondanza, alla stregua delle lenticchie.

I dolci, spesso preparati la mattina stessa, concludevano degnamente una cena di festa. Pinza, crostoli, fritole, petut (polpettine di acqua e farina di mais o segale fritte nel burro) erano accompagnati da vin brulè e caffè, spesso di orzo o cicoria.

La serata proseguiva tra canti e balli, per tirare almeno mezzanotte. Si formavano più o meno improvvisate orchestrine paesane itineranti. Chi con la fisarmonica a bocca, chi con l’organetto intonava la melodia. Seguivano gli accompagnamenti di un violino, un clarinetto e un contrabbasso – il liròn – per allietare le compagnie. Quando anche i musicanti si erano stancati, toccava alle barzellette che strappando non poche risate, segnavano la fine dei festeggiamenti. E tutti a letto, chè il nuovo anno attendeva gli uomini e le donne di buoni intenti e tante speranze.

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