Carpino nero

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Dopo lo spiegone sul carpino bianco (qui: https://www.tangia.it/charme-o-carpino-bianco/) vi pare che potevo lasciarvi ignoranti sul 𝙘𝙖𝙧𝙥𝙞𝙣𝙤 𝙣𝙚𝙧𝙤 (𝘖𝘴𝘵𝘳𝘺𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘱𝘪𝘯𝘪𝘧𝘰𝘭𝘪𝘢)? Certo che no, anche perché non sono proprio “fratelli”, appartenendo a due generi diversi. Se il carpino bianco appartiene a quello ‘Carpinus’, il nero appartiene all’ ‘Ostrya’. Sottigliezze tassonomiche a parte, vediamo cos’altro li distingue e come riconoscerli.

Il carpino nero lo troviamo con distribuzione submediterraneo-pontica (asia minore), in tutta l’Italia ad eccezione della Valle d’Aosta. In Friuli VG cresce nel suo optimum tra i 0 e 700 mt. s.l.m. con ampie lacune nella Bassa per la distruzione dei boschi. Alcuni isolati esemplari si sono spostati verso altitudini maggiori, fino ai 1000 mt. s.l.m. Preferisce boschi e boscaglie di latifoglie, suoli ben drenati, calcarei o dolomitici (tollera quelli silicei, rifugge le argille) da molto poveri a ricchi di sostanza organica. E’ tendenzialmente termofilo (ama i climi caldi) e xerofilo (ama gli ambienti aridi), è particolarmente resistente alle gelate.

Il nome scientifico gli è stato assegnato nel 1772 da Giovanni Antonio Scopoli, di qui trovate spiegone qui: https://www.tangia.it/giovanni-antonio-scopoli/ . Il generico “Ostrya” deriva dal greco ὄστρειον óstreion = ostrica: riferimento ai frutti formati da capsule agglomerate simili a conchiglie; altre teorie associano il nome a “ostro-drys” albero a legno duro come l’osso. Lo specifico “carpinifolia” significa che ha foglie simili al carpino (bianco). Catone invece lo chiamava “carpinus atra”, carpino nero dal colore del suo legno. In friulano è chiamato Cjarpin o Germiscli. Ricordo che i toponomi o antroponimi quali Carpenedo, Carpenedolo, Carpenara, Ciarveniera, Carpenato hanno chiara origine nel nome comune della pianta.

Il suo portamento dipende molto dal clima e dal substrato in cui si trova a crescere. Un’umidità atmosferica alta ne accelera il ciclo vegetativo; pendii ripidi o versanti di forre determinano una crescita arbustiva. Resiste bene agli incendi e all’inquinamento. E’ ottima pianta pioniera, anche su suoli molto poveri proprio per l’alta capacità di cacciare polloni, quindi assai adatta a rinsaldare terreni scoscesi e soggetti a scivolamento.

La pianta adulta, in condizioni favorevoli, può raggiungere i 15/20 metri di altezza e un diametro del fusto di 80 cm. Il 𝙩𝙧𝙤𝙣𝙘𝙤 ha andamento dritto e cilindrico, a differenza del cugino “bianco” che può essere profondamente scanalato. La 𝙘𝙤𝙧𝙩𝙚𝙘𝙘𝙞𝙖, nell’individuo giovane, è bruno-rossastra e presenta numerose lenticelle orizzontali bianchicce. Il tronco maturo invece ha corteccia ruvida, fessurata e con evidenti placche longitudinali facili a distaccarsi.

L’impianto radicale è robusto e abbondantemente micorrizato. Ospita in una simbiosi mutualistica – da cui entrambi gli individui traggono benefici – numerose specie di funghi (micorrize) che ricevono dal carpino sostanze nutritive indispensabili alla loro sopravvivenza, favorendo al contempo l’assorbimento da parte delle radici, di macro e microelementi presenti nel terreno.

Il carpino nero fiorisce in aprile, ancora prima che spuntino le foglie. Il fiore maschile è un amento pendulo, raggruppato in triplette, simili a quelli del nocciolo. Quello femminile è un amento stroboliforme (somiglianti a pigne) corto, dapprima eretto, poi pendulo. La fecondazione è affidata al vento, basta agitare i rami coperti di amenti, per notare la polverina gialla che si libera dai fiori maschili.

Il frutto, o più precisamente l’𝙞𝙣𝙛𝙧𝙪𝙩𝙩𝙚𝙨𝙘𝙚𝙣𝙯𝙖, è quella pannocchietta pendula, molto simile al frutto del luppolo (𝘏𝘶𝘮𝘶𝘭𝘶𝘴 𝘭𝘶𝘱𝘶𝘭𝘶𝘴), formato da tante piccole cupole vescicolose, coperte da peli irritanti, visibile già a maggio. E’ dapprima verde e si nasconde fra il fogliame. Poi, schiarendosi, appare più evidente. Ogni vescicola contiene un seme, detto achenio. La dispersione è affidata nuovamente al vento, grazie alla forma a vela delle vescicole, una volta mature. Ogni folata ne stacca alcune dalla pannocchietta centrale, disperdendosi su ampie superfici.

Anche le foglie si differenziano parecchio dal cugino bianco. Sono ad apice acuminato e margine doppiamente dentato. La forma è leggermente convessa e spuntano alterne, sui rami, e il picciolo è breve. Al tatto sono vellutate.

L’utilizzo del carpino nero è numeroso e molteplice. Le foglie costituivano prezioso nutrimento, anche da secche, per il bestiame. Il legname, particolarmente duro, pesante, flessibile e resistente, era apprezzato nella produzione di oggetti legati all’economia rurale e casalinga: manici di attrezzi, raggi e mozzi di ruote, giocattoli, componenti di telai artigianali, mestolame, paleria. Le fabbriche di produzione di bottoni ne facevano amplissima richiesta.

Essendo inadatto alla lavorazione industriale, per la fibra molto corta, è stato convertito in legname da brucio, con un buon potere calorico. Nei secoli passati, quando i boschi erano ancora gestiti, il carpino era governato a ceduo, per l’elevata capacità di cacciare polloni e fornire produzione costante e regolare di legna da ardere. Anche la carbonella da carpino era un derivato apprezzato.

La corteccia regalava calde tonalità di arancione, rosso e rosa ai tessuti tinti.

La medicina popolare non poteva esimersi dall’utilizzare una pianta multitasking. Castore Durante (XVI sec.) l’indicazione terapeutica che consigliava di “𝘣𝘦𝘳𝘦 𝘭’𝘢𝘤𝘲𝘶𝘢 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘪𝘭𝘭𝘢𝘵𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘧𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘢𝘳𝘳𝘦𝘴𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘪 𝘥𝘰𝘭𝘰𝘳𝘪 𝘤𝘰𝘭𝘪𝘤𝘪, 𝘭𝘢 𝘥𝘪𝘴𝘴𝘦𝘯𝘵𝘦𝘳𝘪𝘢 𝘦𝘥 𝘪𝘭 𝘮𝘢𝘭 𝘤𝘢𝘥𝘶𝘤𝘰, mentre “𝘪 𝘤𝘢𝘳𝘣𝘰𝘯𝘪 𝘢𝘤𝘤𝘦𝘴𝘪 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘭𝘦𝘨𝘯𝘰, 𝘦𝘴𝘵𝘪𝘯𝘵𝘪 𝘪𝘯 𝘢𝘤𝘦𝘵𝘰 𝘦𝘵 𝘣𝘦𝘷𝘶𝘵𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘷𝘢𝘯𝘰 𝘢 𝘤𝘩𝘪 𝘴𝘱𝘶𝘵𝘢 𝘪𝘭 𝘴𝘢𝘯𝘨𝘶𝘦”. In realtà, anche in tempi moderni, preparati (decotti e macerati glicerici) di foglie e gemme di carpini si rivelano utili per contrastare dissenterie e infiammazioni intestinali, bronchiti, tracheiti e sinusiti; per uso esterno invece i decotti servono per benefiche lavande in tutti i tipi di infiammazione.

Si piantavano carpini nei giardini di casa o come siepi urbane per proteggere le abitazioni dal vento, dalle tempeste e dagli spiriti maligni. In tempi moderni, a corroborare alcune credenze popolari, i filari di carpino offrono un’innegabile protezione frangivento. Piantarne a gruppi di tre, magari in un angolo del giardino, crea un’area di lettura fresca, ombreggiata e gradevole.

ᶠᵒᵗᵒ ⁱⁿ ˢᵉⁿˢᵒ ᵃⁿᵗⁱᵒʳᵃʳⁱᵒ ⁽ᵃᵐᵉⁿᵗᵒ ᶠᵉᵐᵐⁱⁿⁱˡᵉ ⁺ ᶠᵘˢᵗᵒ ᵍⁱᵒᵛᵃⁿᵉ⁾: ˢⁱˡᵛᵃⁿᵒ ᴿᵃᵈⁱᵛᵒ ᵖᵉʳ ᴬᶜᵗᵃ ᴾˡᵃⁿᵗᵃʳᵘᵐ; ⁽ᶠᵘˢᵗᵒ ᵐᵃᵗᵘʳᵒ⁾: ᴬⁿᵈʳᵉᵃ ᴹᵒʳᵒ ᵖᵉʳ ᴰʳʸᵃᵈᵉˢ; ⁽ᵃᵐᵉⁿᵗⁱ ᵐᵃˢᶜʰⁱˡⁱ⁾: ᴹᵃʳⁱⁿᵉˡˡᵃ ᶻᵉᵖⁱᵍⁱ ᵖᵉʳ ᴬᶜᵗᵃ ᴾˡᵃⁿᵗᵃʳᵘᵐ; ⁽ᶠᵒᵍˡⁱᵉ ᵉ ᶠʳᵘᵗᵗⁱ⁾: ᴬⁿᵈʳᵉᵃ ᴹᵒʳᵒ ᵖᵉʳ ᴰʳʸᵃᵈᵉˢ

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