𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Alcuni giorni fa ho partecipato a un convegno sui grandi carnivori (e non solo) organizzato dal CAI. Estremamente interessante, soprattutto le specie incluse in quel “non solo”. L’animale, o meglio, il singolo individuo che ha attirato la mia attenzione e simpatia è il 𝙘𝙖𝙨𝙩𝙤𝙧𝙤 (𝘊𝘢𝘴𝘵𝘰𝘳 𝘧𝘪𝘣𝘦𝘳).
E’ un roditore di dimensioni medio/grandi: lungo 80-100 cm con la coda, 15-20 kg di peso per l’adulto. In Europa è stato praticamente portato all’estinzione, alla fine del XIX secolo, dall’uomo che lo ha cacciato per secoli indiscriminatamente per la pelliccia e il castoreo, una secrezione ghiandolare che si riteneva avesse proprietà medicamentose. Negli anni 1920 e ’30 restavano davvero pochi esemplari nei paesi scandinavi e baltici.
Una massiccia campagna di reintroduzione, che ha interessato numerose nazioni europee (Russia, Svizzera, Germania, Croazia, Scozia), ha preso il via tra il 1920 e il 2009. Ma è quella austriaca, datata 1976 e svolta utilizzando castori polacchi, che più interessa al Friuli VG (e all’Italia intera).
Il 17 novembre 2018 un escursionista in gita nella piana di Fusine avvista dei segni di rosicchiatura su un tronco. La Guardia Forestale, avvertita tempestivamente, incarica Renato Pontarini (fotografo e studioso di natura) di dotare di fototrappola il sito. Il responsabile della rosicchiatura non ci mette nemmeno mezz’ora per farsi immortalare; l’emozione di vedere un 𝙘𝙖𝙨𝙩𝙤𝙧𝙤 𝙢𝙖𝙨𝙘𝙝𝙞𝙤 𝙖𝙙𝙪𝙡𝙩𝙤, che scorrazza tra le piante inquadrate dalla macchina fotografica è enorme. E’ il primo della sua specie che torna in Italia, di sua spontanea volontà, dopo 450 anni di assenza.
E da dove arriva? Inizialmente si pensa a un’origine slovena. Ma i campioni di DNA prelevati lo classificano “austriaco”. E i segni che ha lasciato nei siti frequentati prima di stabilirsi a Fusine, indicano che ha utilizzato il torrente 𝙎𝙡𝙞𝙯𝙯𝙖, risalendolo controcorrente, come corridoio ecologico per arrivare in Friuli. Deve essere davvero caparbio perché oltre a fronteggiare la corrente di un corso d’acqua a tratti anche impetuoso, ha superato pure importanti barriere architettoniche (ad esempio condotte in cemento con salti di alcuni metri). Molto probabilmente ha seguito le orme di una lontra, monitorata in precedenza. La lontra però ha bypassato il tunnel, mentre il castoro ci è transitato in mezzo.
Un secondo individuo viene avvistato nel 2020 in Val Pusteria, ma l’ospitalità non dev’essere stata di suo gradimento: se n’è tornato nel Gailtal da cui proveniva.
Invece il nostro “𝙋𝙤𝙣𝙩𝙖” da cinque anni gode della relativa calma e poca antropizzazione della piana di Fusine. Ha immediatamente iniziato a trasformare l’ambiente, costruendo dighe e abbattendo alberi e arbusti. Ci mette poco meno di due settimane per erigere un primo sbarramento alto 1 metro e largo 5. Rosicchia e schianta alberi sia per raggiungere le tenere fronde fogliate, molto più gradite delle cortecce – che comunque non disdegna – ma anche per regimentare il flusso dei torrenti.
Le sue dighe trattengono l’acqua, dando vita a specchi lacustri in cui il castoro trova altro nutrimento e può costruire la propria tana. Ricordo che il castoro è un erbivoro esclusivo e non si ciba di pesci. Ma ne favorisce il ritorno, proprio perché gli specchi d’acqua da lui costruiti ospitano in breve tempo specie animali fin ad allora assenti: anfibi (rospi, rane, tritoni, salamandre; ne ho parlato qui: https://www.tangia.it/se-lo-costruisci-lui-tornera/ ) e rettili (natrici e bisce). Ma anche i predatori delle suddette specie tornano a farsi vivi nei territori colonizzati dal castoro: aironi, lontre, puzzole.
L’arrivo del roditore ha insomma innescato a cascata tutta una serie di eventi che, dal punto di vista naturalistico e biologico, sono eccezionali.
C’è il rovescio della medaglia, come sempre: le dighe di Ponta trattengono ingenti quantità di acqua, che possono tracimare inondando strutture e campi coltivati. Una lungimirante campagna di prevenzione, tramite la costruzione di canali di sversamento o argini, nonché di informazione della popolazione hanno, ad oggi, permesso che il castoro non venga disturbato nelle sue faccende quotidiane e, al contrario, sia stato scelto come animale simbolo del Tarvisiano.
Gli studiosi sperano che arrivino altri soggetti, altrettanto caparbi, per formare una subpopolazione vitale che colonizzi, in dispersione, anche le zone limitrofe. A tal proposito si pensa di costruire passerelle e ponti naturali, che permettano di mitigare gli effetti delle barriere, create dall’uomo, altrimenti difficilmente valicabili. O di abbatterle, venendo incontro a un trend europeo di rimozione di dighe, sbarramenti, ostacoli e rinaturalizzare i corsi d’acqua compromessi. A tal proposito, consiglio la lettura dell’articolo al link (grazie Mattia): https://www.rinnovabili.it/ambiente/politiche-ambientali/barriere-sui-fiumi-europa/amp/
Termino lo spiegone con alcune caratteristiche della specie: ha i piedi palmati, che gli facilitano il nuoto, e la coda lunga e appiattita, che usa come timone. Passa metà del suo periodo di veglia a pulirsi e lisciarsi il pelo, ricoprendolo della secrezione prodotta dalle ghiandole presenti sul suo didietro. Questa gli permette di isolare perfettamente la pelliccia dall’ambiente liquido.
Non va nemmeno in letargo, preferendo passare gran parte del periodo invernale nella tana e riducendo di molto le uscite in ambiente esterno. E’ un animale tendenzialmente notturno anche se, per farsi riprendere dalle fototrappole, non disdegna le apparizioni diurne. Guardatelo qui: https://www.telefriuli.it/cronaca/il-castoro-ponta-sguazza-nellacqua-di-un-laghetto-del-friuli/
ᶠᵒᵗᵒ: ᵁᵈⁱⁿᵉ ᵗᵒᵈᵃʸ