𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Questo è il periodo dei voli nuziali di alcuni insetti dalle dimensioni ragguardevoli, nello specifico di quello che a mio avviso è il più affascinante e imponente. Il suo ronzio è facilmente udibile, trattandosi del coleottero più grande presente in Europa. E’ il 𝙘𝙚𝙧𝙫𝙤 𝙫𝙤𝙡𝙖𝙣𝙩𝙚 (𝘓𝘶𝘤𝘢𝘯𝘶𝘴 𝘤𝘦𝘳𝘷𝘶𝘴), originariamente incluso da Linneo nel genere Scarabeo. Fu il naturalista trentino Giovanni Antonio Scopoli (di cui seguirà spiegone), nel 1763, a collocare l’insetto in un genere tutto suo: Lucanus, per l’appunto. Ed è proprio il cervo volante che apre il suo trattato “𝘌𝘯𝘵𝘰𝘮𝘰𝘭𝘰𝘨𝘪𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘯𝘪𝘰𝘭𝘪𝘤𝘢”.
Inizio lo spiegone con un monito: il cervo volante è 𝙨𝙥𝙚𝙘𝙞𝙚 𝙥𝙧𝙤𝙩𝙚𝙩𝙩𝙖, è vietata la cattura, detenzione, commercio, uccisione, distruzione dei suoi habitat. E’ un animale assolutamente 𝙞𝙣𝙣𝙤𝙘𝙪𝙤, non morde, punge, succhia, trasmette patogeni. E’ solo grosso e rumoroso. Se vi dovesse volare addosso, osservatelo, invece di farvi prendere da un attacco di panico; volerà via senza mutilarvi. Se doveste trovarlo in casa, prendete un bicchiere di vetro, lo capovolgete sulla bestiola spaventata e gli infilate un cartoncino da sotto. Poi lo accompagnate fuori e ringraziate per la fortuna di averlo potuto vedere tanto da vicino. Sì, perché la specie è in 𝙧𝙖𝙥𝙞𝙙𝙞𝙨𝙨𝙞𝙢𝙤 𝙙𝙚𝙘𝙡𝙞𝙣𝙤, soprattutto per la distruzione dei suoi siti di accoppiamento, deposizione uova e crescita allo stadio larvale.
Sempre in questi giorni di convulsi incontri amorosi, potete notare l’accentuato dimorfismo sessuale tra maschi e femmine. Il maschio presenta il caratteristico 𝙥𝙖𝙞𝙤 𝙙𝙞 𝙢𝙖𝙣𝙙𝙞𝙗𝙤𝙡𝙚, simili ai palchi dei cervi, da cui il nome comune.
Anche le femmine sono dotate di mandibole, ma di dimensioni molto ridotte e con una funzionalità diversa. A loro servono per scavare le tane nel legno marcio (tronchi, rami, fusti, radici, soprattutto di latifoglie) in cui deporranno le uova fecondate. Una volta deposte le uova, la femmina sigilla l’ingresso del condotto e trascorre le sue ultime – poche – settimane di vita svolazzando per boschi e radure.
Ma torniamo alle mandibole dei maschi. Sono evidentemente ipertrofiche e ormai inadatte alla masticazione; l’evoluzione ha giocato un brutto scherzo (permettetemi la perifrasi) al cervo volante. Quello che una volta era un apparato che utilizzava per la nutrizione, oggi è utile “solo” ai fini riproduttivi. Gli entomologi affermano che ci sono due “stazze” di mandibole. Il cervo superdotato è evidentemente svantaggiato nella sopravvivenza per le difficoltà negli spostamenti e nella fuga da predatori. Ma è comunque un carattere sessuale che lo avvantaggia nella lotta per la conquista delle femmine.
Gli scontri fra maschi sono all’ordine del giorno – o, più correttamente, del crepuscolo – e si concludono spesso col maschio “meglio piazzato” che vince su quello meno prestante, che verrà sollevato e lasciato cadere miseramente dall’albero su cui si è svolto il duello. La femmina, colei che ha emesso i feromoni sessuali per attirare un papabile compagno (e scatenato la contesa), resta in attesa e poco in disparte, godendosi lo spettacolo.
E il cervo che presenta mandibole scarse? Confida nella sua agilità e nel passare inosservato. Ha anche investito meno nella crescita degli attributi, perché pare che durante lo sviluppo larvale il cervo maschio decida se sviluppare l’apparato mandibolare, investendo parecchie energie in questo progetto, oppure accontentarsi di una misura media, meno energivora. Ai fini riproduttivi, sempre secondo studi su larga scala, pare che avercele grosse (le mandibole) porti ad accoppiamenti più numerosi, sempre se ce la fai ad arrivare vivo alla stagione degli amori. Non commento oltre.
Passiamo allo stadio successivo. Le 𝙪𝙤𝙫𝙖 sono state deposte (tra 50 e 100) e le 𝙡𝙖𝙧𝙫𝙚 che escono dalle uova sono già dotate di forti mandibole, utili per scavare lunghe gallerie nel legno marcio o morto in cui si trovano. Ci resteranno per 3-8 anni e sarà proprio il numero di anni a determinare, almeno nei maschi, le dimensioni delle mandibole. Più tempo si dedicano alla crescita – e migliore è il cibo disponibile – e più grossi saranno da adulti.
Al termine dello stadio larvale, solitamente in autunno, si costruiscono un bozzolo dove avverrà la loro metamorfosi, suddivisa in due fasi. Dapprima passano da larva a pupa; poi da pupa a individuo 𝙖𝙙𝙪𝙡𝙩𝙤. Questo trascorre nel suo bozzolo tutta la stagione invernale, uscendone a tarda primavera, inizio estate, giusto per accoppiarsi. E morire, il maschio, poche settimane dopo. La femmina, dicevo sopra, può sopravvivere fino all’inverno. Ma la loro vita “adulta” e “all’aperto” è davvero breve.
Dimenticavo le misure, riferite a un maschio adulto: lunghezza 25-86 mm. (il range tra le misure mignon e extralarge è notevole) con qualche esemplare registrato di lunghezza 100 mm. Le femmine non arrivano ai 50 mm.
Il coleottero si ciba di legno per la quasi totalità della sua vita, quindi il suo habitat è fortemente legato alla disponibilità di tali risorse trofiche. L’individuo adulto si ciba invece della linfa che fuoriesce dalla corteccia delle piante o da frutta molto matura. A tal proposito vi invito ad osservare la foto a fondo spiegone (quella scattata da me): tra le mandibole si nota un ciuffetto di peletti arancioni. E’ la lingua con cui succhia i liquidi zuccherini che costituiscono la sua dieta.
Troviamo il cervo volante soprattutto nei boschi di latifoglie e in zone limitrofe, dove riesce a ripararsi anche dai predatori. Questi sono soprattutto gazze, gheppi, corvi e cornacchie e mammiferi come volpi, tassi e altri mustelidi. Per tornare al discorso delle mandibole più o meno imponenti, pare che gli individui maschi più massicci siano quelli più cacciati e graditi dai predatori.
E prima di passare alle note folkloristiche, sfato una leggenda metropolitana: il cervo volante 𝙣𝙤𝙣 𝙢𝙤𝙧𝙙𝙚. Le mandibole sono talmente pesanti che i muscoli, che dovrebbero serrarle, non ce la fanno. Invece le femmine, se proprio messe alle strette, possono pizzicare, e la forma appuntita delle loro pinzette può addirittura provocare qualche lesione alla pelle del malintenzionato. Ma ce ne passa, dal assestare un pizzico all’amputare un dito. Nel torinese, il coleottero è infatti chiamato “strumpa-dìj”: mozza-dita.
Invece appendere al collo degli infanti le mandibole di un maschio serviva a proteggerli dalle malattie. Allo stesso scopo la testa intera di un cervo volante è infilata in una catenella, che adorna le tipiche braghe in pelle dei bavaresi.
Per restare in Germania, l’insetto è chiamato anche “Hausbrenner” – ‘bruciacase’. Una superstizione medievale vuole il cervo volante come distributore notturno di tizzoni ardenti. Questi, cadendo sui tetti in paglia e scandole, avrebbero innescato numerosi incendi. Per giunta, il povero animale è dotato di vistose ‘corna’. Che aggiunte al fuoco, restituiscono agli occhi ignoranti e vagamente indottrinate l’immagine del maligno. In un testo datato 1842 si racconta delle battute di caccia da parte dei contadini tedeschi ai danni dei cervi volanti.
La mitologia latina (e greca) ha raccontato l’origine mitica dell’insetto, grazie alle ‘Metamorfosi’ di Ovidio.
Cerambo, pastore della Tessaglia, inventore della lyra (strumento a corde), nonchè favorito delle Ninfe che lui stesso delizia con musiche e canti, un giorno si ritrova trasformato in cervo volante. Zeus aveva appena allagato l’intero globo terrestre (i suoi famosi scatti di ira) e le Ninfe, per ringraziare Cerambo delle liete ore trascorse in sua compagnia, decidono di salvarlo dotandolo di ali.
Termino lo spiegone con l’etimologia del nome generico. “Lucanus” deriva dal latino “lucavus”, nominato per la prima volta da Plinio il Vecchio, ad intendere il “lucus”, cioè ‘bosco’.
Se volete dar un’occhiata a delle foto davvero straordinarie dell’animale, seguite questo link: https://m.facebook.com/groups/900676720358449/permalink/1674086766350770/
ᶠᵒᵗᵒ: ʰᵗᵗᵖˢ://ᵍⁱᵃqᵘⁱⁿᵗᵒᵖᵃˡᵉᵒⁿᵃᵗᵘʳᵃˡⁱˢᵗᵃᵈᵒᵗᶜᵒᵐ.ʷᵒʳᵈᵖʳᵉˢˢ.ᶜᵒᵐ/²⁰¹⁷/⁰²/⁰⁹/⁵¹⁵⁵/ ᵉ ᵐⁱᵃ