𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Vi è mai capitato di svegliarvi nel cuore della notte, con un peso indefinibile sul petto che impedisce la normale respirazione? Oppure sullo stomaco, tanto forte da togliervi il fiato? No, non è colpa della “brovade e musèt” che vi siete scofanati per cena. E’ il 𝙘𝙟𝙖𝙡𝙘𝙟𝙪𝙩.
Il cjalcjut? Esatto, lui, uno degli 𝙨𝙗𝙞𝙡𝙛𝙨 della mitologia friulana, insieme ai Guriuts, ai Vencui, ai Maçarots, ai Omenuts, ai Skrat, ai Orcui e via discorrendo, solo per restare sul genere maschile. Pare che il cjalcjut stia in cima all’elenco delle creature inquietanti e dispettose, per quel suo vizio di sedersi a cavalcioni sul petto o lo stomaco (oppure sul collo, ma solo i più malevoli) del malcapitato di turno. Lui si diverte, ci gode proprio, a vedere il poveretto annaspare, ansimare e svegliarsi di soprassalto per “fame di ossigeno”, ma non ha istinti omicidi. A lui sono imputabili anche il risveglio difficoltoso, l’umore nero durante la giornata e gli incubi sognati di notte. Ovviamente non si fa vedere, è invisibile.
Però qualcuno afferma di averlo riconosciuto, mentre gironzola per casa. Infatti, a differenza dei suoi cugini sblifs, lui è sedentario e occupa le nostre abitazioni. E ogni tanto smette il suo travestimento per palesarsi. Lo si descrive come un vecchio uomo raggrinzito, magro, ossuto, peloso e con occhi sporgenti e dita ad artiglio, vestito con una calzamaglia. Altri, che hanno intravisto il cjalcjut, lo descrivono come una bestia somigliante a un gatto nero, ma senza fornire troppi dettagli. Oppure mezzo uomo e mezza bestia. E’ tutta colpa della mancanza di ossigeno e del buio, se del folletto nessuno riesce a fare una descrizione precisa.
Certa è solo la sua nascita: il futuro cjalcjut nasce “𝙘𝙤𝙣 𝙡𝙖 𝙘𝙖𝙢𝙞𝙘𝙞𝙖”, cioè ancora avvolto nella placenta materna. Questo evento, rarissimo, conferisce doti straordinarie al neonato, che potrà, nell’ordine, rendersi invisibile, trasformarsi in animale, entrare dalle serrature delle porte, dispensare incubi ai dormienti. Altre origini lo vorrebbero imparentato coi vampiri; solo così si spiegano i lividi e i fori lasciati sulla pelle dopo la visita notturna del folletto.
𝙋𝙧𝙚𝙫𝙚𝙣𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚. Per impedire al cjalcjut di entrare nella camera da letto, è sufficiente infilare una foglia di vite o di ulivo nella serratura della porta. Posizionare mele cotogne o melograni nella camera. Appendere corone di aglio alla porta. Formare con dello spago tre croci sovrapposte che vanno messe nei cassetti per tre notti consecutive e poi bruciati di buon mattino. Anche raccogliere le erbe che formano il “𝘮𝘢𝘻𝘻𝘰 𝘥𝘪 𝘚𝘢𝘯 𝘎𝘪𝘰𝘷𝘢𝘯𝘯𝘪” la sera del 23/06 sembra sortire lo stesso effetto.
𝙍𝙞𝙢𝙚𝙙𝙞, se il cjalcjut ormai è entrato in camera. Fare la pipì appena svegli in un contenitore e tapparlo immediatamente: il cjalcjut verrà così intrappolato nel contenitore. Rovesciargli addosso la coperta e colpirlo con pugni e calci; lui si trasformerà in pietra, rubino o seme. Afferrargli il mignolo e stringerlo con vigore. Spalancare la finestra e favorire il ricambio d’aria: il folletto uscirà lesto dalla camera. Invitarlo a portare sale e pepe; l’indomani, all’ora di pranzo il cjalcjut si presenterà alla porta di casa con quanto richiesto. Scaraventare una ciabatta contro la porta, ma col rischio di trovarsi l’indomani mattina uno stomaco di vacca al posto della ciabatta.
Tralasciando, senza ridicolizzare, l’aspetto folkloristico del personaggio e dei suoi simili, proviamo a capirne la figura sociale e antropologica. Il cjalcjut era associato, ad esempio, agli attacchi di asma che affliggevano le popolazioni meno abbienti. Personificavano anche il bisogno di intravvedere il male in una figura tangibile e, quindi, contrastabile. Infatti, per interrompere le “invasioni” dei cjalcjuts, bastava affidarsi alla benedizione di un sacerdote o alle preghiere dei fedeli.
Il nome assegnato al folletto deriva senz’ombra di dubbio dal verbo “𝘤𝘫𝘢𝘭𝘤𝘫à” = schiacciare, opprimere. Trova numerose varianti, linguisticamente e dal significato etimologico simili, in mezza Europa. Calcaròt (Tirolo), Calca-viela (Francia meridionale), Calca-mar (Francia settentrionale), Pestàt (Slavia friulana), Morà (Val Resia), Pesàntola (Muggia e Istria), Matrizza e Cinciùt (Trieste), Cascugnit (Carnia), Vencul (Pedemontana pordenonese).
E se gli è stata dedicato pure un brano (lo potete ascoltare qui: https://www.youtube.com/watch?v=2qfNDH9dyDA mentre il testo è questo: https://www.farcoro.it/2014/12/20/cjalcjut/ ) un pò di timore reverenziale glielo possiamo riservare.
Termino con un aneddoto che strapperà sicuramente un sorriso.
“𝘔𝘪𝘰 𝘯𝘰𝘯𝘯𝘰 𝘥𝘪𝘤𝘦𝘷𝘢 𝘥𝘪 𝘢𝘷𝘦𝘳𝘦 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦 𝘭’𝘪𝘯𝘤𝘶𝘣𝘰 (𝘪𝘭 𝘤𝘫𝘢𝘭𝘤𝘫𝘶𝘵). 𝘌𝘳𝘢 𝘥’𝘪𝘯𝘷𝘦𝘳𝘯𝘰 𝘦 𝘪𝘭 𝘭𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘦𝘳𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘪𝘤𝘰 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘭𝘵𝘳𝘪. 𝘔𝘪𝘰 𝘯𝘰𝘯𝘯𝘰 𝘤𝘦𝘳𝘤𝘢𝘷𝘢 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘯𝘦𝘳𝘦 𝘴𝘷𝘦𝘨𝘭𝘪𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘥𝘦𝘳𝘦 𝘪𝘭 𝘤𝘫𝘢𝘭𝘤𝘫𝘶𝘵 𝘦, 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘱𝘱𝘦𝘯𝘢 𝘭𝘰 𝘴𝘦𝘯𝘵ì 𝘪𝘯𝘤𝘰𝘮𝘪𝘯𝘤𝘪𝘢𝘳𝘦 𝘢 𝘱𝘳𝘦𝘮𝘦𝘳𝘨𝘭𝘪 𝘪𝘭 𝘱𝘦𝘵𝘵𝘰, 𝘢𝘧𝘧𝘦𝘳𝘳ò 𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘦, 𝘨𝘭𝘪𝘦𝘭𝘦 𝘢𝘷𝘷𝘰𝘭𝘴𝘦 𝘪𝘯𝘵𝘰𝘳𝘯𝘰 𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦 𝘢 𝘤𝘰𝘭𝘱𝘪𝘳𝘭𝘰 𝘤𝘰𝘯 𝘪 𝘱𝘶𝘨𝘯𝘪 𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘦 𝘨𝘪𝘯𝘰𝘤𝘤𝘩𝘪𝘢.𝘐𝘭 𝘤𝘫𝘢𝘭𝘤𝘫𝘶𝘵, 𝘪𝘯 𝘮𝘦𝘻𝘻𝘰 𝘢𝘭𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘦, 𝘨𝘳𝘪𝘥𝘢𝘷𝘢 𝘦 𝘥𝘪𝘤𝘦𝘷𝘢: “𝘓𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘮𝘪, 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘮𝘪!…”; 𝘦 𝘮𝘪𝘰 𝘯𝘰𝘯𝘯𝘰, 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘴𝘪 𝘴𝘵𝘢𝘯𝘤ò 𝘥𝘪 𝘱𝘪𝘤𝘤𝘩𝘪𝘢𝘳𝘭𝘰, 𝘨𝘭𝘪 𝘥𝘪𝘴𝘴𝘦: “𝘋𝘪𝘮𝘮𝘪 𝘤𝘩𝘪 𝘴𝘦𝘪 𝘦 𝘪𝘰 𝘵𝘪 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘰”. 𝘔𝘢 𝘯𝘰𝘯 𝘤𝘪 𝘧𝘶 𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯𝘢 𝘳𝘪𝘴𝘱𝘰𝘴𝘵𝘢. 𝘈𝘭𝘭𝘰𝘳𝘢 𝘪𝘭 𝘯𝘰𝘯𝘯𝘰 𝘴𝘤𝘪𝘰𝘭𝘴𝘦 𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘦 𝘦 𝘷𝘪𝘥𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘪 𝘦𝘳𝘢 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘰𝘭𝘵𝘢𝘯𝘵𝘰 𝘶𝘯𝘢 𝘴𝘱𝘪𝘨𝘢 𝘥𝘪 𝘧𝘳𝘶𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰. 𝘌𝘷𝘪𝘥𝘦𝘯𝘵𝘦𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘪𝘭 𝘤𝘫𝘢𝘭𝘤𝘫𝘶𝘵, 𝘴𝘦𝘯𝘵𝘦𝘯𝘥𝘰𝘴𝘪 𝘪𝘯𝘵𝘳𝘢𝘱𝘱𝘰𝘭𝘢𝘵𝘰, 𝘴𝘪 𝘦𝘳𝘢 𝘵𝘳𝘢𝘴𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘯 𝘶𝘯𝘢 𝘴𝘱𝘪𝘨𝘢 𝘥𝘪 𝘧𝘳𝘶𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘯𝘰𝘯 𝘧𝘢𝘳𝘴𝘪 𝘳𝘪𝘤𝘰𝘯𝘰𝘴𝘤𝘦𝘳𝘦; 𝘮𝘢 𝘪𝘭 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰 𝘥𝘰𝘱𝘰 𝘨𝘪𝘳𝘢𝘷𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘪𝘭 𝘱𝘢𝘦𝘴𝘦 𝘶𝘯 𝘵𝘢𝘭𝘦 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰 𝘧𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘦 𝘱𝘪𝘦𝘯𝘰 𝘥𝘪 𝘭𝘪𝘷𝘪𝘥𝘪!”
ᶠᵒᵗᵒ: ᴱʳⁱᵏᵃ ᴿᵒⁿᶜʰⁱⁿ ᵖᵉʳ ᴹᵒⁿᵒⁿ ᴮᵉʰᵃᵛⁱᵒᵘʳ
