Cjarsovàlas

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Il Friuli VG continua a stupirmi per la vastità e varietà di luoghi, forme viventi e storie che ospita e custodisce. Li custodisce a volte con estrema cura e cautela, tanto da rivelarli solo di rado e – spesso – casualmente. Sono accidentalmente “cascata” su una mappa topografica che indica la presenza di un villaggio protostorico (o eso-storico, come ho scoperto durante le mie letture in merito) alle pendici meridionali del monte Cucco, lungo la strada per malga Valmedan.

La toponomastica del luogo è già un programma: 𝘾𝙟𝙖𝙧𝙨𝙤𝙫𝙖𝙡𝙖𝙨, 𝘾𝙟𝙖𝙨𝙪𝙚𝙡𝙖𝙨 oppure 𝘾𝙖𝙨𝙚𝙧𝙤𝙡𝙚𝙨. A seconda di chi lo pronuncia. Ci troviamo in comune di Arta Terme, tra le frazioni di Rivalpo e Valle. Più precisamente nell’anfiteatro naturale creato dal rio Plombs e un suo affluente di sinistra. Tra i due corsi d’acqua, una distesa di terrazzamenti, a quota 1300 metri s.l.m., che agli occhi dei primi studiosi saliti lassù, erano sembrati poco naturali.

Ma andiamo per ordine, come d’abitudine.

La zona è frequentata fin dalla preistoria; vari ritrovamenti lo testimoniano. Ma tutta la Carnia è stata a più riprese “invasa” e “conquistata” da numerosi popoli arrivati da lontano. Per citarne alcuni e in modo molto approssimativo: i 𝘾𝙖𝙧𝙣𝙞 di origine Celtica scesi dal nord, ad occupare tutta la pianura friulana, salvo essere ricacciati tra i monti dai Romani. Gli 𝙀𝙪𝙜𝙖𝙣𝙚𝙞 saliti da sud-ovest, a loro volta scacciati dai Carni e rifugiatisi in Carnia, come popolazione residuale. Gli 𝙎𝙡𝙖𝙫𝙞 in espansione dall’est, di cui restano tracce anche orali. Ad esempio il mito del “𝘣𝘦𝘤 𝘥’à𝘶𝘳”, ovvero il caprone bianco con le corna dorate, che ha in 𝘡𝘭𝘢𝘵𝘰𝘳𝘰𝘨 il suo corrispondente slavo. E allargando l’orizzonte si può giungere fino ai miti greci di Giasone, Medea e il vello d’oro.

I toponimi che recano o alludono a termini come “pagàns” o “gàns” o addirittura “salvadis” in Carnia si contano a decine. “Pagàns” deriva dal latino “Pagus”, villaggio. Un piccolo centro residenziale esterno alla città, periferico, abitato per lo più da clan famigliari autogestiti e soprattutto non cristianizzati. Il cristianesimo, in Carnia, è arrivato molto tardi. Sia per la frammentazione dei collegamenti che per una certa resistenza culturale e ideologica delle popolazioni rurali. Ed ecco che i “pagàns” diventano coloro che abitano in comunità ristrette e isolate, autosufficienti economicamente (salvo qualche scambio o baratto di merci difficilmente reperibili) e di religione animista. Mantengono un’aura leggendaria, le loro esistenze hanno un sapore mitologico, ma radicato nel tessuto sociale e tradizionale dei luoghi in cui hanno vissuto.

Sono stati oggetto di studio fin dal XIX secolo. Ne tratta Giovanni Gortani, zio di Michele, in un trattato sui “𝘗𝘢𝘨𝘢𝘯𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘓𝘦𝘨𝘨𝘦𝘯𝘥𝘦” del 1894. Giovanni Marinelli nella “𝘎𝘶𝘪𝘥𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘊𝘢𝘳𝘯𝘪𝘢” del 1898. Alfredo Lazzarini nel 1904, insieme a Luigi Gortani (padre di Michele), disegna la piantina che vedete in foto, inclusa nel trattato “𝘓𝘦 𝘳𝘰𝘷𝘪𝘯𝘦 𝘥𝘪 𝘊𝘩𝘪𝘢𝘴𝘦𝘳𝘶𝘢𝘭𝘪𝘴 𝘪𝘯 𝘊𝘢𝘳𝘯𝘪𝘢”.

Passiamo alle fonti storiche, quelle scritte, che fissano date e luoghi. Tra i registri del capitolo di san Pietro in Carnia datati 1408, viene ritrovato un necrologio, cioè un elogio di un defunto stilato per indurre alla sua commemorazione protratta nel tempo. Vi si citano “𝘪 𝘱𝘳𝘢𝘵𝘪 𝘢 𝘴𝘶𝘥 𝘥𝘦𝘭 𝘮𝘰𝘯𝘵𝘦 𝘊𝘰𝘤𝘤𝘰, 𝘤𝘰𝘯 𝘭𝘦 𝘊𝘢𝘴𝘢𝘳𝘰𝘭𝘦𝘴”. Tutti questi toponimi indicano abitazioni dismesse, diroccate e ormai allo stato di ruderi. Quindi, se nel 1408 erano già ruderi, devono essere stati abitati ben prima.

Nei pressi di questo insediamento di “pagàns”, si trovano i resti di una “𝘚𝘵𝘢𝘪𝘱𝘢”. Un ricovero o rifugio, in lingua longobarda. E le fonti storiche la datano al 1550. La staipa era posta a nord, lungo uno dei terrazzamenti ricavati dai “pagàns”. L’utilizzo di tali strutture ha sollevato alcuni dubbi. Molto probabilmente non erano finalizzati a ricavare terreno per il pascolo, visti i notevoli salti da un terrazzo all’altro. Le bestie avrebbero potuto riportare danni. Piuttosto, considerata anche l’esposizione a sud e l’assenza (allora) di copertura arborea, erano terreni dedicati alle coltivazioni. Quel poco che poteva crescere a quella altitudine e stagionalità.

Avanziamo fino al secolo scorso. Negli anni precedenti la seconda guerra mondiale i terrazzamenti di Cjarsovalas sono di proprietà quasi esclusiva delle famiglie di Valle. Ciò si spiega col fatto che l’edificazione della frazione di Valle è successiva a quella di Rivalpo. Evidentemente agli abitanti di Rivalpo i terreni scoscesi del Cucco non interessavano: si erano accaparrati già gli appezzamenti migliori e più promettenti. Suddetti terrazzamenti sono anche molto frazionati e non permetto l’edificazione di uno stavolo che servisse da ricovero stagionale per le famiglie che vi si fossero trasferite durante la stagione estiva.

Era abitudine, allora, spostare l’intero nucleo famigliare dal paese ai prati alpini, ad accudire le bestie al pascolo. Ma in assenza di strutture adeguate, i residenti dovevano salire ai prati e scenderne più volte a settimana. Gli unici animali destinati alle alte quote erano le manze, che potevano essere nutrite con erba di scarsa qualità. I terrazzamenti comunque erano fondamentali per l’economia di sussistenza delle genti di Valle: fieno, legname, frutti e funghi del bosco, cacciagione.

Testimoni narrano che nel 1930 i ruderi delle casupole diroccate erano ancora ben visibili: ci giocavano i bambini. E narrano anche, ma si tratta probabilmente di una leggenda, che l’ultimo abitante di Cjarsovàlas sia sceso dal villaggio dopo la morte del suo intero nucleo famigliare, caduto preda di un branco di lupi. Pare si sia convertito al cristianesimo e abbia trascorso gli ultimi anni della sua vita a Valle.

E veniamo al 2018, anno in cui la Sovrintendenza Archeologia e Belle Arti finanzia una campagna di scavi e studi. Affidandosi alla cartina del Lazzarini, gli studiosi si concentrano su alcune delle casette di Cjarsovàlas, o meglio, ciò che ne resta. Sono tutte costruite secondo uno schema standardizzato: pianta rettangolare, con la base seminterrata e i 4 lati rinforzati con muretti a secco, a formare uno zoccolo alto circa 1 metro. Dal lato settentrionale esce un corridoio, anche lui seminterrato, che termina con una scalinata che permette di raggiungere il livello del terreno. Le ipotesi più accreditate indicano una struttura esterna, che si appoggia sullo zoccolo in pietra, fatto di tronchi incastrati col sistema blockbau. All’interno dell’abitazione altri tronchi verticali sorreggono il tetto, in legno. I basamenti dei tronchi reggenti sono stati individuati, mancano invece indizi su suddivisioni in ambienti interni.

L’unica costruzione simile, in Friuli VG, con cui fare parallelismi e confronti, è 𝘊𝘢𝘴𝘵𝘦𝘭 𝘙𝘢𝘪𝘮𝘰𝘯𝘥𝘰, a Forgaria nel Friuli (seguirà spiegone). Ma ai “pagàns” vengono attribuite anche le tombe rupestri, cioè luoghi di sepoltura scavati nella roccia. Fanno parte pure loro degli edifici esostorici, cioè collocate al di fuori della storia. E le troviamo a 𝘓𝘢𝘶𝘤𝘰 (seguirà spiegone). Le loro datazioni storiche sono difficili, ma indicativamente collocabili tra la tarda età romana e il primo medioevo.

Durante la campagna di scavi a Cjarsovàlas vengono trovati pochissimi reperti, specie all’interno delle abitazioni. Nelle aree esterne, invece, qualcosa si trova. Ma in numero molto ridotto; si fa presto largo l’ipotesi di visite mirate e continuate di tombaroli, comprovate anche da episodi reali di illeciti accertati dalle forze dell’ordine. In aggiunta, gli archeologi riscontrano un cambio di destinazione d’uso: da abitazione (la nr. 15) a carbonaia in tempi moderni, che ha ovviamente cancellato tutto ciò che c’era prima. In sintesi, il sito restituisce 25/30 reperti attribuibili ai “pagàns”. Si tratta di chiodi metallici, un ferro per zoccolo di bovino, una lama di coltello, un acciarino, una guaina per un coltello di tipo “a serramanico”, 5 frammenti di ceramica. Tutti i reperti indicano un lasso temporale collocabile tra l’Alto medioevo (500 d.C. – 1000 d.C.) e il Basso medioevo (1000 d.C. – 1492 d.C.).

Termino lo spiegone promettendone ulteriori, sperando che siano graditi e suscitino curiosità, interesse e desiderio di approfondire qualche argomento. Ovviamente io mi impegno a scovare i luoghi descritti e ad accompagnarci chi avesse piacere di osservare coi propri occhi i luoghi che hanno plasmato e forgiato non solo il territorio, ma anche la storia dei nostri avi e le tradizioni che caratterizzano la nostra splendida regione.

ᴹᵃᵖᵖᵃ: ᴳᵒʳᵗᵃⁿⁱ & ᴸᵃᶻᶻᵃʳⁱⁿⁱ ⁽ᵗʳᵃᵗᵗᵃ ᵈᵃˡ ʷᵉᵇ⁾

Mappa di Cjarsovàlas, di Lazzari e Gortani
Mappa di Cjarsovàlas, di Lazzari e Gortani