𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
A pronunciare la parola “liana” viene in mente Tarzan che si lancia tra le fronde della giungla dell’Africa centrale. Eppure, anche in Friuli VG, o meglio, lungo tutto l’arco alpino cresce una forma di liana: la 𝙘𝙡𝙚𝙢𝙖𝙩𝙞𝙙𝙚 𝙖𝙡𝙥𝙞𝙣𝙖 (𝘊𝘭𝘦𝘮𝘢𝘵𝘪𝘴 𝘢𝘭𝘱𝘪𝘯𝘢), unica liana autoctona collocabile nell’ambiente alpino e prealpino.
E’ chiamata anche ‘vitalbino dei sassi’ per la sua presenza “invadente e avvolgente” su supporti rocciosi.
Il nome generico deriva dal greco ‘klematis’, diminutivo di ‘klêma’ (tralcio di vite), in riferimento al portamento della pianta. Quello specifico indica l’areale di distribuzione.
Come accennato sopra, vegeta bene in ambiente montano o submontano, tra dai 600-700 metri ai 2400 metri, e va dalla Scandinavia alla Siberia, sino all’America del nord, con un’ansa che scende in Europa centrale e Caucaso, includendo l’arco alpino italiano. Preferisce terreni calcarei, ombreggiati e freschi, boschi radi, boscaglie, cespuglieti, con vegetazione e rocce su cui potersi arrampicare.
Infatti, la pianta emette ogni anno tralci lunghi e flessuosi che superano anche i due metri di lunghezza. La capacità di “arrampicarsi” è data dalla particolare 𝙨𝙚𝙣𝙨𝙞𝙗𝙞𝙡𝙞𝙩𝙖’ 𝙖𝙡 𝙩𝙖𝙩𝙩𝙤 della parte basale del picciolo fogliare (ne ho accennato qui: https://www.tangia.it/le-piante-sono-intelligenti/ ); in questo modo riescono a girare una o due volte attorno all’ostacolo che urtano inavvertitamente grazie al fusto “scandente”. Cioè un fusto privo di cirri o radici avventizie, tipiche invece dell’edera o della vite americana. Se la clematide è molto rigogliosa e il supporto non è il tronco di un grosso albero, può ostacolare la crescita della pianta di sostegno arrivando fino a soffocarla.
La pianta si riconosce facilmente in questo periodo grazie alla fioritura, che si protrae fino a luglio. I 𝙛𝙞𝙤𝙧𝙞 sono di colore lilla, viola, porpora o azzurrini, a forma di campanella pendula formata da 4 sepali. Dalla parte centrale del fiore scendono numerosi stami bianchi alla cui base è secreto il nettare. Gli impollinatori, interessati al liquido zuccherino, devono infilarsi nel fiore dal basso, divaricando gli stami e “imbrattandosi” di polline che poi trasporteranno verso altri fiori. I 𝙨𝙚𝙢𝙞 maturi (vedi foto) – detti acheni – sono dispersi, al pari del tarassaco, dal vento, essendo dotati di un ciuffo di peli fini che ne facilita la librazione in aria.
Per analogia con altre piante “rampicanti” che vengono raccolte nello stesso periodo (marzo-maggio), ricordo che anche il 𝙜𝙚𝙩𝙩𝙤 𝙜𝙞𝙤𝙫𝙖𝙣𝙚 della clematide è edibile, ma sempre in quantità misurate. La pianta infatti è 𝙩𝙤𝙨𝙨𝙞𝙘𝙖 per la presenza di protoanemonina, ma l’apice del giovane tralcio ne contiene molto poca. E ricordo anche che si raccoglie solo ciò che si conosce alla perfezione o ci si fa accompagnare da personale qualificato.
ᶠᵒᵗᵒ: ᴾⁱᵉʳᶠʳᵃⁿᶜᵒ ᴬʳʳⁱᵍᵒⁿⁱ ᵉ ᴳⁱᵃᶜᵒᵐᵒ ᴮᵉˡˡᵒⁿᵉ ᵖᵉʳ ᴬᶜᵗᵃ ᴾˡᵃⁿᵗᵃʳᵘᵐ & ᵐⁱᵃ