𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Per il nono Presidio Slow Food, torno ai formaggi. Stavolta tocca al Ç𝙪ç 𝙙𝙞 𝙢𝙤𝙣𝙩, un formaggio di malga, (o “d’alpe”) a pasta semicotta, prodotto con latte di vacche transumanti che soggiornano durante la stagione estiva tra i pascoli montani della Carnia, Val Canale, Canal del Ferro e delle Dolomiti Friulane, fino a giungere alle zone montane del fiume Livenza, al confine con il Veneto. Sono zone tradizionalmente legate all’economia pastorale, storicamente documentate grazie a testi risalenti al patriarcato di Aquileia che ancora prima dell’anno 1000 definiva regole precise per lo sfruttamento dei pascoli alpini e la produzione del “𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘥𝘪 𝘥𝘪 𝘮𝘰𝘯𝘵” detto “ç𝘶ç”. Le malghe erano assegnate a rotazione alle famiglie dedite alla pastorizia e transumanza; risultava quindi poco probabile ottenere la gestione della stessa per più anni consecutivi.
La procedura tradizionale prevede che le vacche – brune alpine e pezzate rosse – pascolino in 𝙢𝙖𝙡𝙜𝙖, cibandosi di 𝙚𝙧𝙗𝙚 𝙥𝙧𝙤𝙛𝙪𝙢𝙖𝙩𝙚 𝙙𝙞 𝙨𝙩𝙖𝙜𝙞𝙤𝙣𝙚. Sono ammesse integrazioni di fieni locali e/o cereali. Il latte viene munto a orari regolari, all’uscita delle vacche dalla stalla – 5 di mattina – e al loro rientro, alle 17 di sera. I malgari che le gestiscono confermano che sono animali abitudinari, con ritmi temporali ben scanditi. E simpatie, tant’è vero che riposano sempre negli stessi spazi e accanto alle stesse “vicine di stallo”.
Il latte della sera precedente va miscelato nella caldaia di rame (𝘤𝘫𝘢𝘭𝘥𝘦𝘳𝘪𝘦), a crudo o parzialmente scremato, con quello intero munto in mattinata. E’ consentita l’aggiunta di latte caprino ma in quantità inferiori al 15%. Si scalda il latte fino al raggiungimento di 32°C – 36°C su fuoco a legna. Le mura di pietra, tipiche delle malghe e dal caratteristico odore di affumicato, sono ricche di microflora indispensabile alla caseificazione. Il 𝙘𝙖𝙜𝙡𝙞𝙤 di vitello è aggiunto dopo mezz’ora circa, a discrezione del casaro esperto. Quest’ultimo rompe la cagliata manualmente in grani piccoli come chicchi di riso con un attrezzo apposito, chiamato “𝘭𝘪𝘳𝘢”. Si riporta la cagliata ad una semicottura di 44°C – 47°C per mezz’ora circa.
Non sono ammessi nel disciplinare del Presidio additivi chimici e fermenti lattici industriali; per innescare la fermentazione è consentito soltanto il latto-innesto autoprodotto.
Terminata la fase di riposo della cagliata sul fondo della caldaia, la si estrae con l’aiuto di teli di lino e si sistemano le forme in apposite fascere. Queste sono poi appoggiate su delle assi di legno inclinate e pressate con l’utilizzo di una grossa pietra e di un disco detto “𝘥𝘪 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘴𝘢𝘵𝘶𝘳𝘢”, spurgando i liquidi in eccesso. Le forme sono rivoltate e rigirate più volte durante il giorno. L’indomani sono poi immerse in 𝙨𝙖𝙡𝙖𝙢𝙤𝙞𝙖 satura, dove resteranno per 24 ore.
La 𝙨𝙩𝙖𝙜𝙞𝙤𝙣𝙖𝙩𝙪𝙧𝙖 consiste in un periodo di almeno 45 giorni, durante i quali le forme sono conservate nel “𝘤𝘦𝘭â𝘳”, giornalmente girate, pulite e spazzolate. Col latte munto da una ventina di vacche si ottengono 5 – 6 forme al giorno, che vanno a ruba in brevissimo tempo. Alcune malghe riescono a stagionare il Çuç di mont per 12 mesi, periodo utile perché il formaggio raggiunga le sue caratteristiche organolettiche migliori. Una minima parte della sua produzione viene destinata ad una stagionatura di 24 mesi.
Il formaggio presenta, già dopo due mesi, un elevato profumo di erbe aromatiche di pascolo e un leggero retrogusto amarognolo, molto piacevole. Il gusto ricorda alpeggi di montagna e fiori estivi. Poiché il formaggio è prodotto turnando i pascoli, si ottengono ad ogni cagliata formaggi dalle caratteristiche diverse e peculiari. Il colore è tipicamente “𝙜𝙞𝙖𝙡𝙡𝙤 𝙢𝙖𝙡𝙜𝙖”, paglierino carico, che tende ad ingiallirsi con stagionature lunghe. L’occhiatura è regolare e rada, ma non uniforme, ulteriore espressione della tipicità del prodotto. La consistenza è elastica e piacevole al palato, per l’alto tenore di proteine e massa grassa. A lunghe stagionature corrispondono maggiore compattezza e formazione di lieve granulosità con cristalli nella pasta.
La produzione del Çuç di mont ha luogo dalla fine di maggio alla fine di settembre.
Gli abbinamenti con vini friulani è perfetto. In base alla stagionatura, gli esperti consigliano i rossi: per il fresco un Merlot o un Cabernet giovani, non troppo tannici; per la media stagionatura un Refosco dal Peduncolo Rosso o un Terrano più deciso; per lo stagionato uno Schiopettino di Prepotto o un Pignolo dalla struttura robusta. Per restare sui bianchi: Ribolla gialla per il fresco; il Friulano per il semistagionato; il Pinot grigio per lo stagionato.
Le malghe che ad oggi producono il Çuç di mont sono le stesse che hanno apprezzato l’impegno del Presidio Slow Food per il “𝘧𝘰𝘳𝘮𝘢𝘥𝘪 𝘧𝘳𝘢𝘯𝘵“, di cui sono già ferventi e convinti promotori e produttori. Il formaggio, fino a pochi anni fa poco conosciuto e valorizzato, vede una nuova generazione di casari che recuperano alpeggi abbandonati, tecniche antiche, ricette autentiche e saperi della tradizione storica.
Il Presidio si pone l’obiettivo di valorizzare il formaggio, collegando ogni tipicità alla malga di provenienza e invitando i consumatori consapevoli a recarsi negli alpeggi. I malgari sono pronti ad accoglierli, facendo loro conoscere il prodotto e il mestiere che ne è la base. Il Çuç di mont ha esordito come formaggio Slow food nell’edizione di Cheese di Bra (Cn) del 2017.
Le malghe che lo producono e che si sono prodigate per la salvaguardia dell’autenticità imponendosi un disciplinare molto rigido, rispettoso delle tradizioni e della naturalità del prodotto, sono tre:
– Malga Costa Cervera (1131 mt), Polcenigo (PN), gestita dalla giovanissima Annalisa Celant, pronipote del “Patriarca delle Malghe”
– la Pozof, gestita da Pietro Gortani (1538 mt), Ovaro (UD)
– la Losa, gestita da Luca Petris (1765 mt) Ovaro (UD)
L’invito ad assaggiarlo e a commentarne qualità, gusto e sapore è sempre valido.