𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Le 𝘦𝘴𝘵𝘪𝘯𝘻𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘥𝘪 𝘮𝘢𝘴𝘴𝘢 sono un fenomeno ciclico che ha interessato numerose volte (almeno 5 quelle scientificamente acclarate e numericamente rilevanti) la Terra e segnato il passaggio da un’era geologica all’altra.
Cioè, l’uomo usa arbitrariamente e a posteriori questi eventi catastrofici per suddividere la 𝘴𝘤𝘢𝘭𝘢 𝘤𝘳𝘰𝘯𝘰𝘴𝘵𝘳𝘢𝘵𝘪𝘨𝘳𝘢𝘧𝘪𝘤𝘢 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘳𝘯𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘦 (che potete consultare qui: https://stratigraphy.org/ICSchart/ChronostratChart2022-02Italian.pdf ) in periodi storici e rendere quindi la successione di macroeventi geologici (e di conseguenza evolutivi e ambientali) di facile comprensione.
Le date più significative sono:
450 milioni di anni fa (85% delle specie viventi scompaiono); 375 mil. d.a.f. (82%); 250 mil. d.a.f. (96% di specie marine e 50% di specie terrestri scompaiono); 200 mil. d.a.f. (76%) e 65 mil. d.a.f. (75% delle specie viventi, insieme ai dinosauri non aviani, spariscono).
La sesta estinzione di massa la stiamo vivendo noi (e forse ne siamo i diretti responsabili, ma questo è un terreno delicato e molto complesso, che non affronto oggi). Numerosi studi affermano che nei prossimi 20/30 anni potremmo perdere per sempre il 40% delle specie di esseri viventi presenti oggi sulla Terra (tra batteri, virus, vegetali, funghi, animali), tralasciando quelle migliaia di specie già perse irrimediabilmente negli ultimi 12’000 anni, da quando cioè l’uomo ha iniziato a modificare l’ambiente per renderlo più adatto alle sue esigenze.
Ma di fronte a queste prospettive catastrofiche, ci sono anche alcune estinzioni meno “spiacevoli”. La scomparsa del virus del vaiolo dalla Terra è sicuramente un evento di cui essere lieti. Però, dal punto di vista biologico, prettamente ecologico ed etologico, l’estinzione del virus del vaiolo (con cui abbiamo vissuto per migliaia di anni) ha lo stesso “peso” della scomparsa del Dodo o del Triceratopo.
La Terra non ospiterà mai più quelle creature ed è l’uomo che scientemente ne ha interrotto la sopravvivenza.
E non la chiama “𝘦𝘴𝘵𝘪𝘯𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦” ma “𝘦𝘳𝘢𝘥𝘪𝘤𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦” evidenziando come ci siano, anche nella definitiva scomparsa di esseri viventi, creature di serie A e di serie B; e pure il lessico attribuisce toni meno catastrofisti quando si 𝘦𝘳𝘢𝘥𝘪𝘤𝘢𝘯𝘰 individui “dannosi per l’uomo e le sue attività”.
Al centro del pensiero moderno e occidentale (o all’apice della catena alimentare, a seconda dei punti di vista) ci siamo ritagliati una comoda postazione di comando, da dove classifichiamo – quasi indisturbati – il grado di utilità e preziosità del regno naturale.
La cimice, a che serve? Le zecche, che utilità hanno? Le piante tossiche, chi le mangia? Non sono cibo per noi o per altri viventi di cui noi possiamo nutrirci. Non producono nulla che torni utile alla specie umana. Anzi, spesso e volentieri causano danni, trasmettono malattie, sono fastidiose.
La semplice considerazione che, se queste specie esistono da millenni e hanno occupato una loro nicchia ecologica vincente, non ci tange. Abbiamo le conoscenze e le tecnologie per decretarne il definitivo tramonto.
Concludo lo spiegone, accennando all’argomento che tratterò domani: un’altra specie vivente che è sull’orlo dell’estinzione (o eradicazione) determinata, voluta e perseguita dall’uomo… il piccolo drago di Medina.
Sarà l’ennesimo spiegone splatter che indurrà il lettore attento e sensibile al digiuno e potrà essere riletto ogniqualvolta parenti e amici ci inviteranno ad abbuffate natalizie. Buon 24 dicembre.
