𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Altro spiegone, altra pianta primaverile. Oggi accenno alla 𝙚𝙪𝙛𝙤𝙧𝙗𝙞𝙖 𝙘𝙖𝙡𝙚𝙣𝙯𝙪𝙤𝙡𝙖 (𝘌𝘶𝘱𝘩𝘰𝘳𝘣𝘪𝘢 𝘩𝘦𝘭𝘪𝘰𝘴𝘤𝘰𝘱𝘪𝘢) o erba verdona, che in questo periodo tinge i prati di un verde acceso, talvolta tendente al giallo. E’ una specie originaria dell’Eurasia, ma si è insediata ottimamente in tutta l’Italia. La troviamo in giardini, orti, campi abbandonati, zone ruderali, su suoli freschi e/o aridi.
Il nome generico è un omaggio ad Euforbo, medico greco attivo in Mauritania tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. Secondo Plinio il Vecchio, il medico scoprì le virtù fitoterapiche della pianta. Il nome del medico invece viene dal greco ‘ἐῧ’ (éu = bene) e da ‘φέρβω’ (phérbo = nutrire) cioè “ben nutrito”. Il nome specifico richiama una presunta capacità della pianta di rivolgere il fiore sempre verso il Sole: ‘ἥλιος’ (hélios = il sole) e ‘σκοπέω’ (skopéo = guardare). In realtà il movimento della corolla a caccia di raggi solari non trova conferma.
La pianta è davvero singolare, con un’infiorescenza che solo la fantasia della Natura ha saputo modellare (vedi foto sotto). Sembra un fiore dentro un fiore inserito in un altro fiore, una matrioska di fiori. In botanica il termine corretto per definirlo è 𝙘𝙞𝙖𝙯𝙞𝙤, cioè a coppa di spumante.
Tanto peculiare e tanto pericolosa per l’uomo. Tutta la pianta contiene un 𝙡𝙖𝙩𝙩𝙞𝙘𝙚 biancastro e vischioso, ovviamente tossico e irritante al solo contatto e può scatenare reazioni fotoallergiche. Pare sia addirittura in grado di amplificare gli effetti cancerogeni di alcuni composti, assunti in contemporanea, come ad esempio la nicotina delle sigarette. A contatto con gli occhi provoca forti dolori e danni che possono portare a cecità permanente.
Nella medicina popolare questa pianta trovava impiego come vermifugo, febbrifugo, antielmintico: l’olio dei semi si usava come purgante. Il lattice era inoltre impiegato per lenire gli effetti delle punture d’insetto; al giorno d’oggi è invece usato – con le dovute cautele – per la rimozione di calli e verruche.
Per contro, i mendicanti delle epoche passate, si procuravano volutamente ustioni e piaghe col lattice per impietosire eventuali offerenti. In alcune comunità tribali si effettuano ancora oggi tatuaggi scarnificanti che, coperti col lattice, provocano un dolore ‘rituale’ che permette a un giovane individuo il passaggio all’età adulta.
Non serve che vi avverta di non ingerire alcuna parte dell’euforbia. Invece il divieto non vale per il mondo animale. Ippopotami e cammelli si cibano della pianta senza alcun effetto negativo. Le capre la assaggiano, ma nel loro latte si trovano poi tracce delle tossine contenute nel lattice. E il formaggio assume un sapore acre e pungente.
E termino con una curiosità davvero singolare: il lattice delle euforbie è ricco di idrocarburi. Ai tempi della grande crisi petrolifera degli anni settanta queste piante sono state prese seriamente in considerazione come fonte vegetale di petrolio.
ᶠᵒᵗᵒ: ᴬⁿᵈʳᵉᵃ ᴹᵒʳᵒ ᵖᵉʳ ᴰʳʸᵃᵈᵉˢ / ᵐⁱᵃ