𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Alcuni giorni fa sono passata accanto a un edificio singolare, che si staglia lungo l’argine sinistro del Tagliamento. Difficile non notarlo, ma solitamente si passa oltre senza nemmeno chiedersi di cosa si tratti (o trattasse, visto lo stato in cui versa l’immobile). La curiosità ha avuto la meglio anche stavolta, ed eccovi lo spiegone odierno.
Si tratta della 𝙛𝙞𝙡𝙖𝙣𝙙𝙖 di 𝘿𝙞𝙜𝙣𝙖𝙣𝙤 e la trovate a ridosso del ponte che collega il comune udinese alla dirimpettaia Spilimbergo.
A metà del XIX secolo, l’industria serico-cotoniera prende piede anche in Friuli VG (spiegone qui: https://www.tangia.it/il-gelseto/ ), tanto che nel 1857 l’attività viene avviata pure a Dignano, grazie allo spirito imprenditoriale della famiglia Fabris.
L’attività passa poi alle famiglie Clemente e Corradini. Un incendio dell’edificio originario ne causa la temporanea chiusura nel 1878, provocando a cascata anche il drastico impoverimento della popolazione locale. I pochi introiti sicuri, di cui una famiglia locale poteva disporre, erano quelli ricavati dal lavoro in filanda. Per darvi qualche numero: negli anni ’20 del secolo scorso erano impiegate 250 lavoratrici, anche bambine di 12 anni, oltre a giovani e donne adulte, mentre padri e mariti erano emigrati oltreoceano.
Nel 1921 gli imprenditori Bernardo e Lorenzo Banfi costruiscono un edificio maestoso ex-novo in posizione strategica, lungo la roggia di Sant’Odorico. Questa si distacca dal corso del Tagliamento all’altezza di Villanova di San Daniele e convoglia parte dell’acqua verso lo stabilimento. L’acqua serviva come forza motrice e materia prima per la lavorazione della seta. Il fabbricato dei Banfi è composto da tre livelli con tetto a falde e copertura a shed, di tipo “belga”, che permette ampia illuminazione degli interni e corretta aerazione, pilastri in acciaio, muratura in cemento armato e una ciminiera alta 30 metri (su cui in passato hanno nidificato le cicogne; n.d.T.).
Attorno al 1940 l’età minima per lavorare in filanda si innalza a 14 anni. Le poche ex-operaie della filanda ancora in vita raccontano di un lavoro duro, ma anche di solidarietà femminile e condivisione. Le lavoratrici giungevano anche dal Veneto, soggiornando all’interno del complesso industriale. I pochi momenti di svago erano allietati da preghiere e canti.
Primi passi significativi verso le “pari opportunità” e una certa indipendenza femminile, che in Friuli prenderà serio avvio tra le due guerre mondiali.
La filanda resta attiva fino al 1960, quando l’industria tessile subisce una rapida contrazione, costringendo numerose aziende a chiudere i battenti. Viene poi alternativa usata come deposito e allevamento avicolo.
Fino a pochi anni fa Margherita Zarpello, moglie dell’ultimo proprietario della struttura, Luigi Serafini, vigilava su di essa, con affetto e dedizione. Ma il tempo, e soprattutto la pioggia, può più della dedizione, tanto che nel 2021 parte del tetto dell’edificio è crollato.
Nel frattempo è stato attivato un progetto di recupero dell’intera struttura, che vorrebbe destinare la adiacente 𝘎𝘢𝘭𝘦𝘵𝘵𝘪𝘦𝘳𝘢 a alloggi per persone fragili. La progettazione sarà completata a primavera 2023, mentre i lavori dovrebbero partire a gennaio 2024.
Mi pare opportuno precisare che la filanda di Dignano rappresenta oggi l’unico esempio, così ben conservato e meritevole di ristrutturazione, di architettura industriale legata alla filiera dal baco alla seta. Una visita, anche solo rasentando le imponenti mura di recinzione, la merita sempre. La prossima volta che attraversate il ponte, fermatevi e ammirate l’opera dell’ingegno umano e la potenza della natura.
Per farvi un’idea del complesso (e farvi venire un pò di pelle d’oca), vi consiglio la visione del video https://www.youtube.com/watch?v=ktgum9D6ozY
ᶠᵒᵗᵒ ⁽ᶠⁱˡᵃⁿᵈᵃ⁾: ᵐⁱᵃ; ⁽ᵇʳᵉᵛᵉᵗᵗᵒ⁾: ʷʷʷ.ˡᵒᵐᵇᵃʳᵈⁱᵃᵇᵉⁿⁱᶜᵘˡᵗᵘʳᵃˡⁱ.ⁱᵗ/ᵃʳᶜʰⁱᵛⁱ/ˢᵒᵍᵍᵉᵗᵗⁱ⁻ᵖʳᵒᵈᵘᵗᵗᵒʳⁱ/ᵉⁿᵗᵉ/ᴹᴵᴰᴮ⁰⁰⁰⁷ᴱ⁷/