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Il Friuli VG non Γ¨ stato solo territorio di passaggio, ma anche di assimilazione e interiorizzazione di leggende, racconti e miti multiculturali. L’elenco dei protagonisti del folklore popolare friulano (e non solo) Γ¨ lungo e variegato. Alcuni spiegoni fa ho accennato al π€π«π’ππ€π«πΆπ΅, spiritello notturno pestifero, che impedisce la respirazione della sua vittima.
Oggi tocca alla ππππ©π πππ§ππ£ππͺπ‘π, anch’essa spirito della notte, temuta soprattutto dai bambini, a cui nonne e nonni non risparmiavano storie truci e ammonitrici.
I racconti che la elevano a rango di protagonista, la descrivono come una donna con i tratti somatici caratteristici della strega: pancia grossa, didietro accentuato e basso. Questo di giorno; invece di notte la donna si trasformava in gatta con occhi fiammeggianti, uno di colore verde e l’altro giallo. La coda lunga, spesso annodata per facilitarle i movimenti, e grossa come la corda usata per legare le vacche. Il pelo, ovviamente rosso fuoco, pieno di nodi e infeltrimenti, cosparso di parassiti di vario genere: pulci, pidocchi, scorpioni. E artigli, deformi e anneriti dallo sporco, talmente affilati e potenti, da poter fare a fette anche un adulto. Figuriamoci un bambino.
Pare che durante il giorno la donna si aggirasse per i paesi, bussando alle porte per chiedere un tozzo di pane o un sorso di latte. Quando la padrona di casa, affacciatasi all’uscio con un lattante in braccio, si fosse permessa di maltrattare la mendicante, questa sarebbe tornata di notte, sotto forma di gatta, appunto. Avrebbe fatto perdere il latte alla madre scortese e soffocato il neonato.
Ma anche i bambini piΓΉ cresciutelli avevano motivo di temerla. Se la gjate marangule li avesse incontrati di notte, da soli, tra i vicoli del paese o lungo i sentieri di campagna, avrebbero passato un pessimo quarto d’ora.
La gatta, appostata tra i tronchi e sui rami degli alberi posti a fianco dei sentieri, si sarebbe gettata sulle teste dei malcapitati, arruffandosi tra i loro capelli – nel migliore dei casi – oppure facendoli a pezzi con gli affilati artigli. Rientrare rapidi all’imbrunire e non avventurarsi per il paese oltre il tramonto era sicuramente una decisione sensata.
La bestia era ampiamente utilizzata anche per indurre i bimbi a coricarsi senza troppe lagnanze. βViΓ΄t che e ven le gjate maranguleβ (attento che arriva la gjate marangule) era l’ammonimento che i genitori ripetevano in occasione di addormentamenti difficili.
I racconti popolari legano la figura della gatta anche alla notte dei defunti. Narrano che le famiglie contadine, la sera del 31 ottobre, si riunivano attorno al focolare domestico per pregare il rosario in onore dei morti. La gjate marangule si aggirava per le viuzze del villaggio, scrutando dalle finestre le persone intente a recitare le preghiere. Se si accorgeva che qualche bambino stava ciondolando, era distratto o addirittura appisolato, lei sarebbe tornata a notte fonda per mangiarlo in un sol boccone.
Per dare spessore e credibilitΓ alla figura della gatta, sono stati raccolte e trascritte numerose testimonianze giunte fino ad oggi dal passato. E in occasione del “Risonanze Festival”, svoltosi a Malborghetto-Valbruna a giugno del 2022, Γ¨ stata eseguita in anteprima assoluta la composizione per orchestra d’archi “La Gjate Marangule” composta dall’artista friulano Davide Pitis.