Il Cammino di Carlo Magno

Abito in Friuli da un po’, abbastanza per sapere che quando qui piove, piove sul serio: tanto, a lungo, senza sosta, senza pietà. E allora, cosa fare mentre fuori piove? Studiare, leggere, sfogliare, spulciare…ovvio, no? E più piove, più io leggo. Mi imbatto in blog, siti web, pagine Facebook, profili Instagram da cui carpisco informazioni, tracce, impressioni; abbozzo un piano di battaglia embrionale e lo sottopongo alle solite amiche svalvolate. Ottengo un buon riscontro con un cammino breve, intenso, giovane, ad ampio raggio e ambizioso: il Cammino di Carlo Magno.

Nasce nel 2018 grazie all’impegno di due ragazzi accomunati dalla passione dei trekking che si rifanno alla leggenda secondo cui Carlo Magno, dopo aver conquistato buona parte della Lombardia padana, risale la Val Camonica diretto in Trentino. Per celebrare le sue vittorie, il sovrano fa costruire numerose chiese, alcune ancora esistenti, come ad esempio quelle di Bienno ed Esine.

Il cammino parte da Lovere, splendida cittadina sulle sponde del lago d’Iseo, e raggiunge Ponte di Legno, a poca distanza dal Passo del Tonale, per una distanza complessiva di circa 95 km e un dislivello positivo di circa 3700 mt. Le tappe istituzionali sono 5, ma purtroppo noi abbiamo solo 4 giorni di ferie a disposizione. E dobbiamo anche raggiungere Lovere e rientrare da Ponte di Legno in tempo per non sgarrare sulla tabella di marcia. E allora parte la seria campagna di studio per far coincidere le nostre disponibilità e necessità con l’oggettiva percorribilità del cammino.

Essendo un cammino giovane, le strutture di accoglienza non sono ancora numerose e, soprattutto, non sono uniformemente distribuite lungo la traccia. Propongo tre tappe e mezza, di cui due da oltre 35 km, una più breve a cui poter aggiungere la visita ai parchi delle incisioni rupestri, e una finale da 12 km per raggiungere Ponte di Legno in tempo per permetterci di rientrare a casa entro la sera del quarto giorno.

Fin dall’inizio ho l’appoggio incondizionato di Gabriella, con cui ho percorso la Via Flavia, e di Marina, amica di tante escursioni in montagna, alla sua prima esperienza di cammino. Dopo aver pubblicizzato le nostre pessime intenzioni sull’app Blawalk e la pagina FB “Ragazze in gamba”, si aggiunge alla combriccola Federica, anche lei eccelsa camminatrice friulana.

Non ci resta che partire, ovviamente all’alba di un venerdì di fine maggio. Raggiungiamo senza intoppi Lovere, parcheggiamo in zona ospedale, facciamo un breve check-up di zaini, accessori, dispositivi, abbigliamento e buon umore e ci dirigiamo verso la partenza istituzionale: la Basilica di Santa Maria in Valvendra. Da qui in poi, i triangoli rossi del Cammino di Carlo Magno ci terranno compagnia pressoché ininterrottamente fino a destinazione.

I primi kilometri sono di puro asfalto e traffico, ma il panorama sul lago ripaga ampiamente questo inizio un po’ sofferto per noi crude montanare. Uscendo da Volpino, finalmente imbocchiamo un tratto di sentiero. Sfoderiamo i nostri bastoncini e ci spruzziamo di abbondante antizecche. Da friulane previdenti e un po’ prevenute, temiamo sempre la presenza sgradita di queste bestioline.

Castelfranco

Attraversiamo diversi borghi dalle evidenti caratteristiche urbanistiche medievali: strade strette, sinuose, delimitate da muretti a secco, abitazioni in pietra e legno, piccoli cortili fioriti e ben curati. Si succedono allegramente tratti asfaltati ad altri lastricati in pietra, a testimoniare l’impegno e lo sforzo dei locali per collegare i pochi centri abitati che nei secoli scorsi sorgevano su questi versanti brulli della valle.

Sentieri di campagna di Rogno

Sbuchiamo a Rogno e ci concediamo una breve sosta per una colazione fuori orario in un bar del paese. Chiediamo alla barista il timbro da apporre sulle credenziali, ma non abbiamo fortuna. Il Cammino di Carlo Magno, almeno qui, non è ancora una realtà conosciuta. Poco importa: rifocillate, riprendiamo il tracciato abbandonando volentieri la zona commerciale e la statale trafficata. Passiamo accanto a un edificio recentemente ristrutturato e leggiamo curiose le scritte apposte sulla facciata: Vicinia del Sale.

Bessimo

Scopriremo più tardi che si tratta di una comunità di mutuo soccorso, che vedeva nella distribuzione del sale, fra gli appartenenti alla vicinia, un gesto di tangibile sostentamento. Sembra che l’usanza, ormai simbolica, sia in vigore ancora oggi. Uno sterrato, che promette davvero bene, ci fa finalmente sudare: intuiamo il dislivello che ci attende per poter salire oltre il lago Moro e apprezzarne la vista dal belvedere panoramico.

Verso il lago Moro

Ma prima ammiriamo le abitazioni che punteggiano il versante della vallata: notiamo antichi casolari finemente recuperati, coi loro vigneti curati, i terrazzamenti ben manutentati grazie anche ai numerosi muretti a secco di contenimento, accanto a costruzioni recenti, ben inserite nell’ambiente rurale e di pregevole gusto estetico.

Il lago Moro

Il Lago Moro, di chiare origini glaciali, si distende placido e scuro sotto di noi. Custodisce un antica leggenda che vi invito a leggere qui: http://valledeisegni.it/it/storia/81. Noi scendiamo a Capo di Lago, attirate dal vocio di alcuni bimbi che si stanno rinfrescando presso l’area attrezzata balneabile. Ormai Boario è in vista e noi acceleriamo il passo per raggiungere il traguardo della prima tappa istituzionale.

Chiesa dei Santi Giuseppe e Gregorio Magno, Boario Terme

Il centro del paese non ci ispira troppo, ci tratteniamo solo il tempo per intravvedere il simbolo della Via Valeriana, che qui interseca il suo Cammino gemello, e inserirla nell’agenda delle imprese future. Consultando l’app e l’orologio ci rendiamo conto che affronteremo a breve una ciclabile pressoché priva di ombra e che il sole picchia alto in cielo.

Superiamo l’Archeopark, un parco tematico a cielo aperto che ricostruisce la vita delle popolazioni che hanno abitato la Valle Camonica. Ricordo con piacere la nostra visita, mia e dei miei figli, anni addietro, al museo, le attività proposte dallo staff e la visita ai parchi delle incisioni rupestri che abbracciano numerose zone limitrofe. Oggi non abbiamo tempo per trattenerci, purtroppo, ma non mancheremo di visitare i due parchi che il cammino attraversa.

Lungo la ciclabile, Gattaro

In mezzo alle mucche al pascolo, intravvediamo una piccola casupola in legno: scopriamo essere un infopoint che illustra un masso inciso poco distante. Le ragazze approfittano per pranzare, meritatamente. Io vado a dare un’occhiata al masso: resto sempre affascinata dalla fantasia e dall’ingegno di esseri umani che hanno lasciato tracce così determinate e indelebili della loro esistenza.

Sito archeologico Corni Freschi

Torno dalle ragazze e riprendiamo il cammino, attrezzandoci con berretti e cappellini: il caldo è davvero opprimente, nonostante il cielo si stia piano piano rannuvolando. Presso il River Oglio bike bar ci concediamo una bibita fresca e – meraviglia – otteniamo il nostro primo timbro. La barista è una fervente promotrice del Cammino di Carlo Magno, nonché di uno stile di vita ecologico e sostenibile.

Costeggiamo l’Oglio finalmente all’ombra di platani e salici. La malsana idea di toglierci scarpe e calzini, per affondare i piedi nelle fresche e invitanti acque del fiume, ci tenta fino a Esine. Il centro del paese è accogliente, fresco e offre molti scorci degni di nota.

Esine

La nostra fortuna sfacciata ci accompagna anche oggi e troviamo la chiesa di Santa Maria Assunta aperta. Si tratta di un monumento nazionale e comprendiamo subito il motivo: la sua prima edificazione risale al VI-VII secolo, gli interni sono un tripudio di affreschi e decorazioni, di una bellezza e cura notevoli.

Chiesa di Santa Maria Assunta, Esine
Chiesa di Santa Maria Assunta, Esine

Mentre ci prendiamo una breve pausa, ci raggiungono vari abitanti del luogo che, curiosi, ci interrogano sulle nostre intenzioni. Sanno del cammino e ci fanno i complimenti per la nostra decisione di percorrerlo, nonostante la distanza dalla nostra regione di residenza. Usciamo dal paese e riprendiamo un bel ciottolato in decisa salita che ci porta verso Berzo. Facciamo una breve capatina a visitare la chiesa della Santissima Trinità, con la sua facciata maestosa e austera.

Chiesa della Santissima Trinità, Berzo inferiore

Nelle intenzioni degli ideatori del cammino, ci toccherebbe la visita a Bienno. Gabriella e Federica sono stanche, vista anche la levataccia mattutina, e intendono proseguire dritte verso Breno, dove pernotteremo. Invece io e Marina accettiamo la sfida, non di scendere a Bienno, ma bensì di salire sul colle di Cristo Re. Abbiamo intravvisto quella che si rivelerà essere un’enorme statua dorata di Cristo Re, appunto, già da alcuni minuti e lo sterrato che sale lungo le pendici del colle ci esalta non poco.

Statua del Cristo Re

La statua, da atea convinta, non mi trasmette nulla, se non ostentazione e opulenza. Ma le chiesette costruite attorno mi lasciano senza parole: la facciata del santuario della Maddalena è un insieme gradevole di vari stili architettonici. L’interno è altrettanto affascinante. Il disegno geometrico del pavimento contrasta piacevolmente con gli affreschi che adornano le pareti e il soffitto. Lì accanto sorge anche la cappella e il monumento ai caduti della Valle.

Santuario della Maddalena
Santuario della Maddalena

Torniamo sullo sterrato, oltrepassiamo un allevamento di cavalli, proseguiamo a passo spedito tentando di raggiungere le ragazze. Entriamo a Breno proprio mentre Gabriella ci telefona per comunicarci che loro hanno già raggiunto l’albergo. Noi ci soffermiamo brevemente ad ammirare da lontano il castello di Breno e fantastichiamo di una visita alla costruzione l’indomani mattina.

Arriviamo all’Hotel Giardino stanche, soddisfatte e molto assetate. Ci godiamo tutte assieme uno Spritz Aperol in completo relax prima della doccia e della meritata cena. La notte trascorre tranquilla, con quattro ragazze placidamente addormentate che ricaricano le pile per la seconda tappa.

La colazione a buffet è abbondante; noi facciamo il carico di nutrienti per affrontare la seconda giornata con brio e raccogliamo un altro timbro. Constatiamo che durante la notte ha piovuto e infatti il cielo è ancora cupo, ma mentre sparecchiamo il nostro tavolo, spunta il sole. La solita fortuna che aiuta le audaci.

Usciamo da Breno per inerpicarci subito nel bosco; il terreno è fradicio, deve aver piovuto parecchio, e noi prestiamo particolare attenzione a non scivolare su radici o pietre lisce. L’aria è decisamente frizzante fintanto che il sole è ancora basso all’orizzonte. Camminiamo spedite lungo sterrati e ciottolati, quasi sempre all’ombra. Attraversiamo qualche centro abitato meravigliandoci di quante fontane incontriamo.

Breno

Anche il giorno precedente, non ci è mai mancata l’acqua fresca di una fontana lungo il tracciato. Sono reduce dalla Via degli Dei e dal Cammino delle Pievi e ricordo fin troppo bene quella pessima sensazione di sete imminente e l’impotenza di fronte a una borraccia vuota e un rubinetto secco. Il Cammino di Carlo Magno invece ci omaggia generosamente di acqua fresca e gorgogliante e non perdiamo occasione per svuotare le borracce e riempirle con quella appena sgorgata.

Tra Breno e Niardo

In un alimentari di Niardo ci facciamo preparare un panino che consumeremo all’ora di pranzo. Procediamo nuovamente lontane dalle strade trafficate e ammiriamo il panorama dei monti del Parco dell’Adamello e della Presanella. Raggiungiamo Nadro poco dopo mezzogiorno, individuiamo la biglietteria per acquistare il biglietto che ci permette di visitare il parco delle incisioni rupestri Foppe di Nadro, approfittiamo del cortile del museo per consumare il panino imbottito, ci facciamo timbrare le credenziali con la Rosa camuna e imbocchiamo il sentiero circolare del parco.

Abbandoniamo i nostri zaini presso l’area didattica, portandoci appresso solo il k-way. Il cielo si è coperto di nuvole e la temperatura è scesa di qualche grado, sembra che possa piovere da un momento all’altro. Ma noi siamo intrepide e, finalmente alleggerite, curiosiamo lungo il percorso ben segnalato. Raggiungiamo un gruppo di visitatori con accompagnatrice; non ci tratteniamo dal carpire qualche informazione aggiuntiva e qualche nozione preziosa per la comprensione del sito archeologico.

Su indicazione dell’accompagnatrice ci togliamo le scarpe e saliamo sui massi incisi. E’ davvero emozionante sfiorare i segni lasciati dagli abitanti di questi luoghi, così lontani nel tempo. Il calore dei massi è piacevole da percepire, i nostri piedi se la godono. Stiamo ovviamente molto attente a non toccare i solchi e a non calpestare i disegni. Facciamo a gara a vederne di più, a capire cosa volessero raffigurare nelle intenzioni dell’artista, a intuire l’impegno e il tempo dedicato alla realizzazione di queste preziose tracce.

A tratti pioviggina, ma non ci badiamo troppo: siamo ben protette dal bosco. A giro ultimato, ricarichiamo gli zaini in spalla e riprendiamo il cammino, con la vaga speranza di raggiungere l’alloggio prima che si aprano le cateratte. Attraversiamo il parco delle Naquane ma non ci fermiamo troppo, non avendo acquistato il biglietto. Usciamo dal parco e ci inoltriamo nel bosco, fittamente piantumato a castagni, chiamati giustamente gli alberi del Pane.

Si sale parecchio lungo un selciato di pietre colorate, interrotto da qualche rigagnolo di acqua.

Salendo verso Deria

Nei pressi di una centrale idroelettrica, in località Deria, scorgiamo le indicazioni per l’agriturismo “Il Riccio” che ormai dista poche centinaia di metri. Mentre imbocchiamo il viale d’ingresso, riprende a piovere. Fortuna sfacciata.

Agriturismo “Il Riccio”, Deria

Ci rilassiamo fino all’ora di cena nelle nostre camere, facciamo la doccia, mettiamo a stendere i panni sciacquati, accendiamo la stufa (fa freddino) mentre fuori piove abbondantemente. La cena è a kilometro zero; il gestore si rivela essere un vulcano di idee sia in cucina che nell’orto. Ma soprattutto ci sorprende coi suoi racconti dei viaggi e soggiorni attorno al globo: Israele, America latina, Thailandia, Scandinavia, Europa dell’Est. Ci congediamo quasi a malincuore, a tarda notte: dobbiamo recuperare le forze perché ci attende la tappa più dura, l’indomani.

La colazione viene consumata in fretta, abbiamo molti kilometri da percorrere e il meteo non promette nulla di buono. Mentre ci prepariamo pioviggina ancora, ma smette come per incanto quanto usciamo sul viale dell’agriturismo. Salutiamo il gestore dell’alloggio e imbocchiamo il sentiero nel bosco. Attraversiamo Grevo e Andrista; è domenica e la gente del luogo si reca a messa, qualcuno ci augura buon cammino. Ci rendiamo conto che, nonostante ormai siamo giunte in alta montagna, i paesi non sono svuotati e le abitazione abbandonate sono davvero poche: la gente continua ad abitare queste zone disagiate e a prendersi cura dei dintorni e dell’ambiente.

Grevo

Una delle spiegazioni che ci diamo è che il fondovalle brulica di industrie: i capannoni aziendali, per quanto sgradevoli a vedersi, consentono ai locali di lavorare a poca distanza e di restare nei loro luoghi, avere tempo e risorse sufficienti per manutentarli e abbellirli. Anche la corrente elettrica non manca: vediamo gli orribili tubi che convogliano, scendendo dai fianchi dei monti, l’acqua alle centrali più a valle. Il progresso chiede il conto in termini di boschi sfregiati e panorami deturpati.

Cedegolo

Passata Berzo Demo, torniamo a calpestare i nostri amati sentieri di montagna che, per certi versi ci ricordano il nostro Carso, con le pietre bianche e consumate dagli agenti atmosferici che affiorano dal manto del sottobosco, la vegetazione di media montagna, la traccia stretta abbastanza per poter appoggiare un solo piede per volta.

Berzo Demo

La cartellonistica ci rivela che siamo sul Percorso della Memoria, che racconta di come il castagno e i suoi prodotti abbiano rappresentato per secoli una fonte primaria di alimentazione e sostentamento. Un’epidemia di cancro della corteccia ha indotto i locali ad abbandonare i castagneti al loro destino. Di recente si è riscoperto il valore del castagno e molte piante ultracentenarie troneggiano ancora oggi nei boschi del Parco dell’Adamello.

A tratti pioviggina, ma noi ignoriamo le bizze del meteo e proseguiamo imperterrite. In verità teniamo a portata di mano i poncho, li indossiamo un paio di volte, salvo poi sfilarceli pochi minuti dopo. A Rino ci arrendiamo alla fame e alla pioggia intermittente e ci sediamo nel cortile di un’osteria, protette dagli ombrelloni che ci tengono all’asciutto. Ordiniamo un pranzo completo, con la speranza che nell’attesa spiova e si possa riprendere il cammino senza bagnarci troppo.

Mi rendo conto che, ancora prima di partire, le previsioni non erano delle migliori. Anzi, a seconda del sito interpellato si spaziava da 4 giorni di “diluvio ininterrotto” fino al “sereno-variabile”. Tutto sommato, fino a questo momento ci era andata pure troppo bene; un po’ di pioggia non potrà rovinarci l’avventura. E invece la fortuna ci bacia anche oggi e mentre paghiamo il conto e ci facciamo timbrare le credenziali, il forte vento soffia via i nuvoloni carichi di pioggia e torna addirittura a splendere il sole.

I resti della polveriera, Sonico

Visitiamo in silenzio ciò che resta della polveriera di Sonico, rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale, e la chiesa di San Lorenzo.

Chiesa di San Lorenzo, Sonico

Usciamo dal paese dando un rapido sguardo al santuario della Madonna di Pradella.

Santuario di Madonna della Pradella, Sonico

Torniamo a salire nel bosco e ci prepariamo psicologicamente alla lunga salita che inizierà a breve. Scaldiamo i motori e ci ringalluzziamo grazie agli incoraggiamenti delle persone, intente a digerire il pranzo domenicale, che incontriamo lungo il cammino. Incappiamo in una festa privata e veniamo invitate ad accomodarci. Rifiutiamo più che altro per mancanza di tempo, ma anche perché i nostri poveri ospiti non hanno ben presente con chi avrebbero a che fare: 4 ragazze, diversamente giovani ma pur sempre in gamba, friulane, resistenti a grappini e anche al cibo non propriamente dietetico, ostinate e caparbie. Saremmo capaci di svuotargli pentoloni e bottiglioni senza troppi problemi.

Edolo

Sbuchiamo a Mu, intravvedendo sulla sponda opposta rispetto al paese di Edolo, la strada in costante e impietosa salita che conduce a Monno. Indugiamo un po’, come turiste, nel paese di Edolo. Fotografiamo portoni lignei, addobbi appesi alle porte, giardini rigogliosi, vicoli e vialetti, statue e balconi fioriti. Il tutto per riprendere fiato e coraggio.

Edolo

Visto che ormai ci conosciamo e sappiamo limiti e peculiarità di ognuna di noi, ci diamo appuntamento direttamente a Monno. Ognuna di noi ci arriverà col proprio passo e rispettando la propria preparazione fisica. L’asfalto torna a tenerci compagnia e, grazie alla pioggia caduta poche ore prima, dispensa generoso afa e umidità.

Salendo verso Monno

Arrivate alla chiesa di San Brizio, io e Marina ci facciamo prendere dagli scrupoli: siamo sicure che i triangoli rossi del Cammino portino le nostre amiche dritte dritte in centro a Monno?

Chiesa di San Brizio, Monno

Ci fidiamo dell’intuito e del buon senso delle nostre compagne e proseguiamo, anche perché la salita, da quaggiù, sembra davvero interminabile. Dopo tanto sudore e parecchi mugugni arriviamo nella piazza del paese. Una signora ci rivolge la parola, vuole sapere da dove arriviamo e dove vorremmo andare. Le chiediamo ragguagli sulle previsioni meteo, oltre a raccontarle dei nostri progetti per l’indomani. Lei, scuotendo sconsolata la testa, ammette di non fidarsi più del bollettino meteo, che ormai le previsioni non hanno più alcuna credibilità. Tant’è che per oggi attendevano pioggia a dirotto mentre invece il sole sta picchiando forte.

Raggiungiamo il cortile della chiesa dei santi Sebastiano e Fabiano, ci sediamo sfinite all’ombra e spilucchiamo la merenda, aspettando l’arrivo delle ragazze. Non facciamo in tempo a finire le nostre barrette insulse che eccole, le donzelle, accaldate ma anche rinvigorite dall’averci raggiunte. Con nostra somma soddisfazione imbocchiamo una carrabile immersa nel bosco.

Fa più fresco, grazie all’altitudine e all’ombra offerta dalla vegetazione. Affrontiamo un continuo sali-scendi su sentieri sempre puliti e agevoli. Nonostante ciò, la stanchezza inizia a farsi sentire e ogni nuova rampetta che ci si para davanti genera qualche risata isterica o apprezzamento poco edificante. Quando intravvediamo dall’alto la statale, decidiamo di abbandonare il tracciato e imboccare una scorciatoia che ci permette di tagliare alcuni tornanti e un po’ di dislivello indesiderato.

Vezza d’Oglio

Raggiungiamo Vezza d’Oglio nel tardo pomeriggio, contattiamo la gestrice dell’alloggio e, mentre la attendiamo, ci godiamo una bibita fresca in centro. Cala il sole e la temperatura si abbassa improvvisamente. Siamo ben felici di esserci portate fin lì anche un pile, ché “non si sa mai”. L’alloggio “Fiocco di Neve” è molto confortevole, curato fin nei minimi particolari, rinnovato di recente e la signora che se ne occupa è molto disponibile. Ci facciamo portare una pizza a domicilio, ci facciamo la doccia e dichiariamo finalmente terminata anche questa giornata, con quasi 37 km e 1600 dsl+ macinati.

Durante la notte, serve dirlo?, piove. Mentre facciamo colazione ci infondiamo coraggio a vicenda: mancano meno di 12 km a Ponte di Legno, con un dislivello ridicolo. Cosa saranno mai un paio di ore sotto la pioggia? Per scaramanzia copriamo gli zaini fin da subito con l’antipioggia e teniamo il poncho a portata di mano.

Vezza d’Oglio

Saliamo su per il paese a farci timbrare le credenziali, e ci troviamo subito su una carrabile comoda che attraversa alcuni abitati, che recano evidenti segni di abbandono e incuria.

Vezza d’Oglio

Anche il bosco ha bisogno di lavori di manutenzione: alte cataste di tronchi tagliati costeggiano il sentiero. Incontriamo un residente che porta a spasso il suo cagnolino; ci spiega che hanno subito gli effetti devastanti del maltempo e che si lavora alacremente per riportare un po’ di ordine nella natura sconvolta. Anche noi conosciamo la violenza degli eventi naturali: il passaggio di Vaia è ancora oggi ben riconoscibile in Friuli e nel vicino Veneto. Di quante Vaia l’uomo moderno non ha conoscenza né coscienza? La natura non ha disegni, scopi o progetti. Crea e distrugge nello stesso istante.

La pioggerellina è un misto neve e fa freddo. Arrivate a Vione, il meteo ci offre una tregua, ma non ci fa tergiversare troppo.

Vione

Scorgiamo Ponte di Legno laggiù, a pochissima distanza. Acceleriamo il passo, siamo infreddolite, stanche e non vediamo l’ora di raggiungere il traguardo. La discesa verso il centro cittadino è quasi una corsa, ci dimentichiamo perfino di scattare la foto di rito. Torniamo in piazza e, tra una folata di vento e una secchiata di pioggia, riusciamo nell’intento: immortalare la nostra pazzia, costanza e perseveranza.

Sempre di corsa entriamo nel locale della stazione delle corriere, dove ci cambiamo gli abiti fradici e acquistiamo il biglietto per il viaggio di ritorno. Abbiamo il tempo per un tramezzino e un brindisi, a suggellare il compimento dell’impresa. La corriera ci raccatta al volo, piove ancora e non abbiamo voglia di bagnarci di nuovo. A mano a mano che scendiamo lungo la Val Camonica, il tempo migliora e a Lovere ci accoglie un cielo coperto ma pacifico. Raggiungiamo l’auto e senza ulteriori indugi, ci dirigiamo verso casa.

Il bilancio, inevitabile, è più che positivo: il Cammino di Carlo Magno è ampiamente raccomandabile, lo pubblicizzeremo in patria e anche oltre. La segnaletica è abbondante e rassicurante; il tracciato vario e mai noioso; le strutture ricettive sono tutto sommato all’altezza di un cammino così giovane; i residenti, salvo qualche défaillance, sono informati e entusiasti all’idea di ospitare una cammino; il sito web è affidabile e le informazioni sono precise, indispensabili e puntualmente aggiornate; i luoghi attraversati sono pregni di storia, di esperienze, di vite vissute, di bellezza, di cura e dedizione; le coperture GPS e internet sono buone ovunque e permettono anche al viandante solitario di non sentirsi mai realmente fuori dal mondo civile; la strutturazione del cammino, con l’attraversamento di borghi e paesini, consente di approvvigionarsi comodamente di cibo e liquidi, evitando al viandante di doversi caricare eccessivamente di viveri.

Noi ci facciamo sinceri complimenti, per come abbiamo affrontato anche questa sfida, gestito qualche piccolo intoppo, portato a termine l’avventura col sorriso sulle labbra. Ne avremo di cose da raccontare a casa; io lo faccio qui, augurandomi di aver trasmesso l’allegria, la meraviglia, la curiosità e l’amicizia che ci hanno accomunate lungo il Cammino di Carlo Magno.

Come sempre, ma mai abbastanza, ringrazio coloro che mi hanno spronata, invogliata, informata, supportata, aspettata a casa e accompagnata, di persona e col pensiero.

2 Risposte a “Il Cammino di Carlo Magno”

  1. Che super descrizione e che brave siete state!! Bellissime le foto e i particolari della vostra esperienza. Grazie per essere venute a trivarci❄️❄️❄️Fiocco di neve

    1. Grazie a Lei, l’accoglienza è stata perfetta, ci siamo sentite “a casa”. Consiglieremo il Suo alloggio a chi deciderà di percorrere il Cammino. Buone cose 🙂

I commenti sono chiusi.