𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Si racconta che la piana di Osoppo, secoli e secoli fa, fosse un enorme lago, alimentato dalle acque del paleo Tagliamento. Lo spiegone sul colle di Osoppo ne fa cenno. La presenza di un esteso corpo idrico di acque dolci, delimitato a sud dai primi rilievi dell’anfiteatro morenico, è comprovata da indagini geologiche. La leggenda racconta però anche della scomparsa del lago, attribuendola al drago di Osoppo.
A quei tempi, dalla superficie del vasto lago instauratosi nell’odierna piana di Osoppo, spuntano solo poche isolate cime: il colle di Osoppo svetta, ma è in buona compagnia dei vicini colli Vergnal, san Rocco e Gnima. Proprio sul cocuzzolo del colle Gnima incontriamo l’eremita, che si è sistemato in una grotta naturale, perseguendo uno stile di vita spartano e privo di ogni agio.
Nelle acque del lago invece imperversa il drago di Osoppo. Una bestia enorme che sputa fuoco e solleva onde impressionanti e venti fortissimi ogni volta che si alza in volo. L’eremita è costretto a rifugiarsi, quando vi riesce, nella grotta, per non soccombere ad ogni battito di ali del drago. Altre volte, presago dell’arrivo della tempesta, si lega a un masso o a un tronco, pregando di avere salva la propria vita.
Ma l’uomo non si lamenta, accetta di buon grado le intemperanze del suo “vicino di casa”. Lui si accontenta di qualche erba commestibile, di uova di folaga cadute dal nido, dei pochi pesci che saltano nella sua rete da pesca. Un giorno, uscendo dalla grotta, nota un germoglio di piantina sbucata proprio nei pressi dell’antro. Se ne meraviglia, perché fin ad allora il cocuzzolo del colle, sferzato dai venti e dalle onde provocate dal drago, non aveva ospitato altra forma di vita, oltre alla sua.
Ringraziando la divina provvidenza, sistema un piccolo supporto accanto alla piantina, in modo che possa aggrapparvisi. Nelle settimane successive l’eremita se ne prende amorevolmente cura, osserva il germoglio crescere, mettere foglioline, allungare e irrobustire l’esile fusto. “E’ una rosa!” esclama il giorno in cui la piantina rivela la propria specie di appartenenza. L’eremita non vede l’ora di assistere allo sbocciare del fiore ed intanto aumenta le attenzioni per la pianta. Acqua fresca a cadenza regolare, qualche parola gentile di incitamento, un pò di ombra nelle giornate più assolate.
Ed ecco che giunge il giorno tanto atteso. Le foglioline del bocciolo gonfio lentamente disvelano il prezioso contenuto: la rosa allarga lentamente i propri petali e rilascia il profumo lieve e dolce tanto sognato dall’eremita. Il pover’uomo non fa in tempo a riempirsi le narici del dolce effluvio che il drago, spinto da fame e stizza, si solleva in volo sopra al lago.
La tromba d’aria investe l’eremita, atterrandolo. Ma è l’onda d’acqua, che travolge tutto, a causare il danno maggiore. La pianta è ridotta a un misero fusto scorticato. Foglie, petali e rametti sono sparsi lì attorno. L’eremita, seppur profondamente addolorato, non proferisce parola. Sistema alla meno peggio il fusto della rosa su una nuova spalliera, confidando nella divina provvidenza.
E il miracolo si ripete. Dal fusto malconcio spuntano nuove foglioline e, a distanza di qualche giorno, un nuovo bocciolo. L’eremita, oltre alle cure assidue prestate alla pianta, si prepara ad affrontare il drago. Pensa alle parole da rivolgere alla bestia, per convincerla ad essere meno impetuosa nei suoi movimenti. Sale sulla barchetta e si dirige determinato verso l’insenatura del lago dove alloggia l’animale.
Lo chiama con toni gentili, come si confà a un eremita. Il drago emerge dall’acqua e si dimostra subito scontroso. Il dialogo tra i due è uno scambio di richieste, proferite dall’eremita, e di derisione da parte del drago. La bestia non capisce cosa ci sia di prezioso in una pianta fiorita. Con tutta la vegetazione che cresce rigogliosa lungo le sponde del lago, perché mai l’eremita dovrebbe curarsi di una rosa.
L’eremita tenta invano di scalfire il cuore di pietra del drago, descrivendo i colori dei petali e il profumo del fiore. All’ennesima minaccia di colpire l’uomo con una fiammata, questi rimonta sulla barchetta e abbandona la bestia alla propria grettezza. Mentre rema per tornare al suo antro, invoca la provvidenza divina affinché faccia rinsavire il drago di Osoppo.
Dio ascolta le preghiere del buon uomo e intercede presso il drago: “Vattene in un altro lago e lascia l’uomo in pace con la sua rosa”. Il drago replica che un lago così ampio e accogliente non è facile da trovare. Dio non cede e ingiunge alla bestia di partire. Il drago infastidito, inizia a scomporsi. Batte ali e coda, soffia e sbraita, si agita e fa ribollire le acque del lago.
L’eremita nel frattempo, prevenendo l’ira dell’animale, ha allestito una palizzata difensiva che protegga la rosa e lui stesso. Vento e onde, stavolta, non raggiungono né la pianta né l’eremita. Provocano invece lo sgretolamento di un costone roccioso che fungeva da diaframma e tratteneva le acque del lago. Nasce così il Passo della Tobina, da cui fuoriescono le acque del lago, che si riversano verso sud, in direzione del mare.
Il drago, rimasto all’asciutto, minaccia vendetta, ruggisce e strepita. Dio, impietosito al pensiero della grama fine che avrebbe fatto di lì a poco il drago, lo trasforma in una salamandra, dagli sgargianti colori nero e giallo. E lo rassicura: “Una salamandra delle tue dimensioni può accontentarsi di uno stagno e delle acque cristalline del Tagliamento, per vivere. Buona esistenza”.
Se passeggiate fra le sorgenti chiamate “Sorgive dai Bars”, nella piana di Osoppo, potreste imbattervi in una salamandra pezzata. Portatele rispetto, non solo per la peculiarità della specie animale a cui appartiene, ma perché secoli fa avrebbe potuto incenerirvi con un solo sbuffo di alito.
ᶠᵒᵗᵒ: ʰᵗᵗᵖˢ://ⁱᵗ.ʷⁱᵏⁱᵖᵉᵈⁱᵃ.ᵒʳᵍ/ʷⁱᵏⁱ/ᴰʳᵃᵍᵒ ⁽ᶠʳⁱᵉᵈʳⁱᶜʰ⁻ᴶᵒʰᵃⁿⁿ⁻ᴶᵘˢᵗⁱⁿ⁻ᴮᵉʳᵗᵘᶜʰ, ᴾᵘᵇˡⁱᶜ ᵈᵒᵐᵃⁱⁿ, ᵛⁱᵃ ᵂⁱᵏⁱᵐᵉᵈⁱᵃ ᶜᵒᵐᵐᵒⁿˢ⁾
