𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Del borgo di Praforte (il borgo Vecchio, ci tengono a sottolineare gli ex-residenti) restano ben poche tracce che solo la tenacia e caparbietà di alcuni anziani del posto mantengono a imperitura memoria di scellerate decisioni prese nemmeno tanti anni fa.
Il toponimo indica un prato, e infatti il borgo si è sviluppato al limitare del bosco, in posizione esposta a sud, sulle pendici erbose del monte Ciaurlec. L’aggettivo “forte” molto probabilmente indica “aspro, accidentato, ripido”, oppure “tenace”, o ancora “ostico”. Un’altra origine potrebbe essere quella derivata da un antico cognome (Fort o Forte), comunemente in uso in Friuli.
Ma il Prato Forte nulla ha potuto contro le assurde logiche di potere e di politica estera.
Nonostante la zona fosse già stata duramente colpita dallo spopolamento e dall’emigrazione, ci si misero anche le strategie militari, a decretare la parola “fine” alla sopravvivenza dell’abitato.
Negli anni ’60, con l’avvento della Guerra Fredda, in Friuli VG vennero identificate a tavolino ben tre linee difensive che avrebbero dovuto contrastare un’ipotetica invasione da parte dei paesi del blocco orientale. Le prime due linee – Valli di Natisone e Valle del Torre – sarebbero anche potute cadere, sacrificando i territori eventualmente occupati dalle truppe nemiche.
Invece sulla terza linea che passa per il Ciaurlec (e quindi per Praforte) si sarebbe dovuto arrestare l’avanzata degli invasori, a ogni costo. L’attività militare in zona divenne improvvisamente intensa, con esercitazioni, installazione di poligoni, osservatori, bunker.
La vicinanza del borgo alle zone militari rappresentò un problema di sicurezza pressante e reale. In zona si narra ancora di quel pacifico maiale ucciso dalle schegge di un proiettile di artiglieria.
I vertici militari conoscevano bene l’ostinazione e la caparbietà del popolo friulano e si adoperarono, con le buone inizialmente, a dislocare i pochi residenti di Praforte. Le promesse di condizioni di vita migliori in un insediamento costruito ad hoc, lontano dal poligono di tiro, non convinsero praticamente nessuno.
Non erano trascorsi molti anni dall’evento disastroso del Vajont e il solo nominare frane, smottamenti e altri dissesti idrogeologici scatenava legittima paura. Fu allora stilata ad arte una perizia geologica che definiva le pendici del Ciaurlec e nello specifico i terreni soprastanti il borgo ad altissimo rischio di frana.
I recalcitranti e protestanti abitanti di Praforte vennero sgomberati anche con la forza e “traslocati” a Praforte Nuovo, nei pressi di Paludea.
Nemmeno il terremoto del 1976 ha scalfito le abitazione rimaste vuote. Figuriamoci la temuta frana, che non ha mai avuto luogo.
Appurato, in tempi recenti, che la perizia era fasulla e stilata con ben altri fini, che con la salvaguardia della popolazione residente nulla aveva a che fare, a eredi e discendenti è stato concesso di tornare alle fatiscenti abitazioni. Alcuni di loro si stanno alacremente adoperando per restaurare e ripristinare quello che la natura ha pietosamente custodito per decenni.
Tutta l’area del poligono di tiro invece è stato recintata da centinaia di paletti di ferro e chilometri di filo spinato ormai arrugginiti, in attesa che si compia la bonifica. Anche i cartelli che avvertono i pochi escursionisti, che transitano da quelle parti, della presenza di ordigni inesplosi, sono ridotti a cimeli arrugginiti, da decenni ormai.
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