A cavallo fra luglio e agosto dell’ormai lontano 2019, ho avuto la fortuna e la sconsideratezza di partecipare a una manifestazioni unica nel panorama delle gare da ultratrail. Lo scopo è nobilissimo: raccogliere fondi da destinare a progetti di integrazione giovanile, attraverso l’avviamento all’attività sportiva. Il percorso è quello ben noto della Traversata Carnica, con qualche licenza gestionale dovuta alla devastazione della tempesta Vaia, che ha reso impraticabili e poco sicuri alcuni passaggi della traccia originaria.
Partenza: San Candido all’alba di un giovedì. Arrivo: Tarvisio, ex-stazione centrale, in un pomeriggio domenicale. In mezzo: 193 km (eh sì, non sono 177k, il nome trae volutamente in inganno) e 11’460 mt dsl+ da percorrere nel minor tempo possibile, in completa autonomia alimentare e di orientamento.
A inframmezzare questo immane sforzo fisico e di volontà, tre pernottamenti (il termine adatto sarebbe: tentativo di riposare alcune ore su un materassino scomodissimo, infilata in un sacco a pelo claustrofobico e ogni notte più umido, evitando contorsionismi per non infastidire i tuoi coinquilini, trattenendo ogni emissione gassosa e/o liquida) in tende presso altrettanti campi base, piantati a fondo valle rispetto al sentiero istituzionale.
Squadre di tre atleti…atleti?…pazzi, squilibrati, pronti a tutto pur di sopravvivere alla giornata. Colazioni, cene e ristori alcolici postgara organizzati dallo staff – eccezionale – che accudisce gli atleti e trasporta pure i loro borsoni da un campo al successivo. Docce offerte da qualsiasi fonte d’acqua messa a disposizione dalla natura e/o dalle strutture ricettive localizzate nei pressi del campo base.
Unico gadget tecnologico che collega gli atleti al mondo civilizzato: il chip GPS che serve al Deus ex machina della manifestazione, tale Marcello Bortolotti, per seguire in remoto le sue disgraziate cavie da laboratorio. Marcello è anche colui che dà il via alla gara, elargisce alcune pillole di saggezza e qualche info contingente sulle condizioni del tracciato, ma è soprattutto colui che accoglie, come un genitore premuroso, ogni squadra di trailers presso il campo base.
Poche altre regole: raggiungere il campo base entro 12 ore dalla partenza, non farsi male (almeno non troppo), non perdersi (almeno non troppo), non abbandonare, per nessun motivo, un compagno di squadra, non lasciare segni del nostro passaggio nella natura che abbiamo la fortuna di attraversare e ammirare.
La gara l’ho portata a termine, ho visto panorami magnifici e ho conosciuto persone meravigliose. Ma, soprattutto, ho imparato molte cose: quelle semiserie sono elencate qui sotto:
– in cima ci si arriva, prima o poi
– anche a valle ci si arriva, pure il trailer lento
– i volontari, gli organizzatori, le scope con la loro dedizione, pazienza, motivazione e allegria vanno ringraziati, baciati e abbracciati, ma dopo la doccia
– non si disturbano le mucche austriache, bisogna aggirarle e ignorarle
– la montagna é sì democratica, ma non sempre la maggioranza ha ragione
– le ultrasessantenni che sembrano toste sono tostissime, invece
– espletare bisogni idraulici nel prato col buio pesto é pericolosissimo: potrebbero scambiarti per fauna selvatica e prenderti a sassate
– anche le marmotte hanno problemi di sovrappeso
– le felpe e i cerotti non sono mai abbastanza
– i malgari austriaci non comprendono la gestualità italica: mostrare loro la borraccia vuota non produce alcun effetto
– in compenso, gli stessi malgari austriaci elargiscono inviti a pranzo, in casa loro, appena intuiscono le origini teutoniche di un componente della squadra
– i parenti (e gli amici), specie se partecipi attivamente, sono “risorse” eccezionali
– grana padano vs. barrette energetiche: 1 – 0
– dove non bastano le gambe, arriva la grappa alla pera
– i sassolini nelle scarpe vanno tolti sempre, anche se immaginari/metaforici: almeno riprendi fiato
– la tenda da tre posti non garantisce posto per tre trailers (che entrarono a Innichen trotterellando)
– i toprunnes consumano a fine gara 1 lt di birra ogni 16,66 km su terreno misto; poi esistono i graprunners che sanno sopperire ai fusti vuoti
– la forza risultante dalla condivisione della follia non é una semplice somma, ma un’elevazione di potenza
– le preoccupazioni odierne sono le preoccupazioni di ieri, ma con meno km da percorrere
– il ciuccio della camelbak non dev’essere sterile, nemmeno troppo pulito, per permettere al trailer spartano di dissetarsi
– i ruscelli, le fontane, gli spissolatoi capitano sempre a fagiolo
– le risate, soprattutto quelle isteriche, sono causate dalla rarefazione dell’ossigeno; anche le visioni mistiche, nonostante l’ateismo
– le accelerazioni del ritmo in ascesa sono conseguenza diretta del rifiuto di fermarsi in rifugio a bere una birra
– il ritorno a casa segna la fine dell’avventura e l’inizio delle lavatrici da caricare
Le cose serie che imparato le serbo con gelosia e cura: mi tengono compagnia avendomi resa una persona – forse – più determinata, fiduciosa nelle mie possibilità, più tollerante nei confronti del prossimo, più ponderatamente goliardica nell’affrontare le nuove avventure in cui mi fiondo, più grata verso chi mi permette di continuare ad emozionarmi facendo quel che adoro fare.