Chi non ha mai sentito nominare la Parenzana, la storica tratta ferroviaria che, serpeggiando lungo buona parte della penisola istriana, metteva in comunicazione Trieste con Parenzo, toccando numerosi paesi costieri e dell’entroterra? Attiva dal 1902 al 1935, è stata abbandonata, finendo nel dimenticatoio per alcuni decenni e permettendo al trascorrere del tempo e alla natura di accelerarne progressivamente il deterioramento.
Nel 2002 la Regione istriana e l’Ufficio Amministrativo per il Turismo, in collaborazione con l’Associazione per la ristrutturazione della Ferrovia Parenzo-Capodistria-Trieste, idea il progetto »Parenzana, Sentiero della salute e dell’amicizia«, che si propone di rivitalizzare tutto il tracciato ferroviario e renderlo fruibile a pedoni e ciclisti.
Ed eccoci arrivati alla ciclabile “Parenzana” che sento nominare da anni, ma che, fino all’autunno 2023, non mi aveva intrigato più di tanto. Poi conosco Fabrizio Masi, di Viaggiare Slow, che mi mette la classica pulce nell’orecchio. E inizio a documentarmi, anche perchè vengo raggiunta da numerose richieste di delucidazioni e inviti a organizzare un’escursione lungo la ormai famosa ciclabile.
Mi decido, come è mio solito, su due piedi di approfittare di (soli) tre giorni ottobrini relativamente tranquilli, mi informo sommariamente, scarico tracce, acquisto una bicicletta all’altezza dell’avventura, mi doto dell’indispensabile attrezzatura e parto.
E mi sento di aggiungere, alle premesse sopra elencate, alcuni presupposti che caratterizzano solitamente i miei sopralluoghi, ferie, imprese. Adoro viaggiare da sola; così ho modo di ideare e plasmare a mia immagine lo svolgimento degli eventi, cambiare idea, pentirmi di aver cambiato idea, scoprire angoli inimmaginabili, stupirmi in silenzio della bellezza (o bruttezza) di ciò che ho il privilegio di osservare, riposare dove mi è più utile senza badare troppo alle comodità offerte dall’alloggio, mangiare quando ho fame.
Ho anche la fortuna, col mestiere che faccio, di poter valutare quel che osservo, con occhi da “turista” (nel significato migliore del termine) e da professionista. Valuto istantaneamente (o per lo meno ci provo) gli aspetti logistici, paesaggistici, i gradi di difficoltà, costi e benefici e la valenza storico-culturale di un ambiente. Riesco facilmente ad immaginarmi contemporaneamente nella veste di cicloturista, ansioso di esplorare luoghi nuovi, e di guida, pronto ad assistere l’accompagnato. Posso quindi presagire la soddisfazione, ma anche l’impegno fisico e mentale che caratterizzeranno l’evento.
Ed è per questo che riporto qui le mie impressioni e perplessità, ma illustro anche l’entusiasmo e la meraviglia che mi hanno pervasa durante i tre giorni della “mia” Parenzana.
Andiamo per ordine, cioè dal parcheggio dove avrei lasciato l’auto. Chiedo a un’amica, Aura, se ci sia possibilità di lasciare il mio rottame, poco appetibile, in un posto auto nei pressi di Muggia e di ritrovarlo, possibilmente ancora funzionante, tre giorni dopo. Posso quindi consigliare serenamente il piccolo parcheggio del porto di Lazzaretto, nei pressi del cippo commemorativo del CamminaItalia del CAI (anche se la Parenzana classica parte dalla foce del rio Ospo, a Muggia).
Come il coniglio che esce dal cilindro, estraggo dunque il mio bolide a due ruote dal bagagliaio, lo riassemblo, appendo le borse, ricontrollo l’indispensabile e parto, abbandonando quasi subito il suolo italico. La traccia mi indica Ancarano, come prossima meta, che raggiungo in poco tempo, percorrendo la viabilità ordinaria e approfittando, per alcuni metri, del marciapiede per sottrarmi al traffico automobilistico. Vengo avvolta da miasmi che provengono dai canali di scolo che costeggiano la ciclabile cittadina. Fortuna che ho scaricato delle mappe offline che confermano che sto percorrendo una pista dedicata alle due ruote. La segnaletica è poca, a tratti assente, a volte ingannevole per chi non è pratico del luogo. Costeggio infiniti magazzini stipati di veicoli a motore, ancora imballati, pronti per essere distribuiti nell’entroterra. Raggiungo Capodistria e mi rilasso alla vista di ben due corsie ciclabili asfaltate, una per ogni senso di marcia.
Costeggio il mare fino ad Isola, di cui attraverso il centro storico spingendo la bicicletta. Il fondo in ciottolato regolare ma sconnesso non permette disattenzioni. Mi dirigo verso Strugnano, sempre su ciclabile asfaltata finalmente dotata di segnaletica, e scorgo in lontananza Pirano, che visiterò al rientro. Evito anche il centro di Portorose, pur di raggiungere velocemente Sicciole, dove pranzo, svuotando la macchinetta che distribuisce snack e bibite.
Le saline di Sicciole meriterebbero una visita tutta dedicata all’area naturalistica; dopo averne preso nota, proseguo costeggiando la zona umida e cercando di riconoscere fauna e flora tipicamente lagunare. Valico anche il confine croato e abbandono la pista asfaltata seguendo la cartellonistica ufficiale della Parenzana.
La traccia, su sterrato grossolano e piuttosto sconnesso, inizia a salire. La pendenza non è sgradevole, lo sono di più le pietre affioranti, dilavate da recenti fenomeni meteorici. E’ evidente il ruscellamento e i tratti di pietrame grezzo si alternano a depositi di sabbia, che provocano improvvisi e involontari arresti. Devo prestare particolare attenzione a come procedo, evitando massi anche di 10/15 cm di diametro e radici viscide. Prendo coscienza che incontrerò ben pochi cicloturisti: è mercoledì, il bollettino meteo promette acquazzoni, e sono partita piuttosto tardi da Muggia.
Raggiungo la periferia di Buie, valuto se sia il caso di entrare nel centro cittadino e procacciarmi la futura cena, ma proseguo imperterrita e fiduciosa che a Montona troverò qualcosa da mettere sotto ai denti. Tra continui saliscendi e sempre su fondo sconnesso, procedo molto più lentamente di quanto vorrei. Il timore di infortunarmi e la progressiva rigidità nelle braccia, mi costringono ad aumentare l’assistenza elettrica, per lo meno in salita. In discesa ho il dilemma opposto: scendo troppo velocemente e devo costantemente azionare i freni. “Prima si frena di destro, poi di sinistro” continuo a ripetermi. Dopo una ventina di chilometri, raggiungo quasi sollevata, ma con le dita anchilosate, Grisignana, uno dei punti più elevati della tappa odierna. Compio una piccola deviazione verso il centro storico che merita davvero, sia per l’aria antica che si respira che per gli ampi panorami di cui si gode dal punto belvedere.
Riprendo la ciclabile, stavolta in costante discesa. La stanchezza si fa sentire e mi ritrovo a parlare da sola chiedendomi “ma chi me l’ha fatto fare?”. Poi mi si apre dinnanzi lo spazio immenso dei rilievi istriani, dei fitti boschi, delle vallate scavate da torrenti primordiali, di cocuzzoli occupati da piccoli centri rurali, ognuno col suo svettante campanile che ci ricorda, nelle architetture e nei materiali utilizzati, tempi remoti e genti antiche.
Incontro ben due boscaioli, armati di motosega e machete (o attrezzo simile). Mi inquietano non poco; si fa brevemente largo il pensiero che preferirei incontrare l’orso. Saluto e accelero. Ho intravvisto Montona, che si staglia arrogante su uno sperone roccioso. Valuto il dislivello, la carica della batteria, l’orario e il grado di fame che mi attanaglia. Potrei visitarla l’indomani o ignorarla, ma la cittadina di attira e la presenza di una ciclabile asfaltata mi rilassa. Raggiungo il castello sudando non poco. Essendo centro turistico, la folla di gitanti è numerosa e scomposta. Passeggio per la cittadella medievale spingendo la bici.
Il cielo si è annuvolato e sta calando il Sole, per cui mi affretto a ridiscendere e raggiungere il borgo di Granzetti, dove ho prenotato l’alloggio per la notte. All’arrivo, dopo aver sistemato la bici e messo in carica la batteria, mi viene comunicato che l’agriturismo, adocchiato per la cena, opera a regime ridotto. Toni, il proprietario, sarà felice di farmi un panino. Raggiungo il locale a piedi; Toni, dopo due cordiali chiacchiere, mi offre un grappino all’erba luigia, che cancella la stanchezza mentale. Torno all’alloggio con un “bauletto” di pane, riccamente imbottito di formaggio caprino locale e peperoni sottaceti artigianali. Tiro due somme a stomaco pieno: 90 km, 900 metri di dislivello positivo, 8 ore in sella, spalle indolenzite, fondoschiena dolorante, dita indurite, tanta bellezza, emozioni altalenanti, insperate soddisfazioni immagazzinate.
Il mattino successivo, giovedì, mi accoglie carico di nubi. Passo velocemente in rassegna l’abbigliamento antipioggia, più per scaramanzia che per paura di aver scordato qualcosa. Uscita da Granzetti, eccola, la ciclabile. Ancora sconnessa, punteggiata di buche e pozzanghere, ma anche magnifica con i muraglioni naturali scavati per la posa della ferrovia. Immagino il passaggio del treno, il suo sbuffare vapore ben oltre le spigolose rocce carsiche, il rumore della locomotiva che si infrange nelle gallerie e lo sferragliare dei viadotti percorsi dal convoglio. I punti panoramici allestiti e la cartellonistica, molto più frequenti in questo tratto, giustificano le mie numerose pause per recuperare la condizione fisica ottimale. Oltrepasso Visinada; la ciclabile costeggia occasionalmente viabilità asfaltata, che mi attira anche perché poco trafficata. Opto quindi per qualche chilometro di strada col fondo compatto, per rilassare un po’ spalle e dita, sempre impegnate a tenere saldi manubrio e freni.
La delizia dura poco: la Parenzana torna a calcare viottoli di campagna, rossi di terra e gialli di pietre affioranti. Uliveti a perdita d’occhio aggiungono una tonalità di verde finora assente. Mi avvicino a un cartellone che pubblicizza le grotte di Baredine. Prendo nota anche di questa attrazione turistica, ma non la visito. Il cielo plumbeo e il forte vento che solleva polvere e provoca instabilità, mi fanno desiderare di essere già arrivata a Parenzo.
Raggiungo la cittadina, che segna la fine della ciclabile istituzionale, nel primo pomeriggio, giusto in tempo per approfittare del mercato e acquistare alcuni prodotti locali, che sgranocchio in piazza. Abbandono la temporanea calma e quiete offerta dal centro storico, e mi dirigo verso nord, destinazione Umago, dove pernotterò. Decido di percorrere la ciclabile costiera. E mentre per la Parenzana qualche informazione l’avevo colta spulciando il sito di Viaggiare Slow e quello istituzionale della ciclabile, per la costiera non ho memorizzato alcuna notizia.
Parto quindi abbastanza all’arrembaggio, confidando che “tanto più impegnativa della Parenzana, non potrà essere; in fin dei conti costeggia le spiagge rocciose dell’Istria”. Beata ignoranza e supponenza. Mi accorgo ben presto che sulla costa deve aver piovuto, anche parecchio, nei giorni precedenti. Ampie e profonde pozze mi sbarrano la strada. Scendo, spingo, usando la bici come puntello per non finire coi piedi in ammollo: l’acqua è fangosa e non si vede il fondo delle pozzanghere. Ma il rovescio della medaglia sono i magnifici panorami sul mare, le onde che, sempre più impetuose, si infrangono sugli spuntoni rocciosi, il gioco di riflessi delle nubi sullo specchio dell’acqua, la brezza che spazza il litorale, incurante degli incauti ciclisti (sempre pochissimi) che si avventurano lungo i suoi sentieri.
Inizia a cadere la pioggia, a tratti titubante e schiva, altre volte scrosciante e prepotente. Approfitto dei numerosi lounge bar e caffè, sparsi a distanza regolari lungo la costa, per ripararmi e tenermi asciutta. Consulto la cartina sul cellulare: Umago è a un tiro di schioppo ma preferisco non avventurarmi sotto l’acquazzone, lungo sentieri che non conosco. Attendo pazientemente e mi godo l’impressionante spettacolo del mare in burrasca, il rumore assordante della risacca che trascina al largo i ciottoli, il balenare dei timidi raggi del Sole sulle creste delle onde.
Il cielo si ripare e ne approfitto per macinare i pochi chilometri che mi separano da Umago. Arrivo in paese giusto in tempo per ripararmi dall’ennesimo scroscio. Mezz’ora di acqua che tenta di raggiungermi da ogni parte. Ma io mi rintano sotto una tettoia malferma e mastico lentamente il börek vegetariano acquistato poco prima. Com’è iniziato, così termina l’acquazzone e mi addentro nella cittadella veneziana, quasi deserta, accompagnata dagli ultimi raggi del Sole. L’atmosfera è davvero suggestiva e occhi, mente e spirito si riempiono di stupore per come la natura e l’ingegno umano possano creare connubi intramontabili.
Torno rapida all’alloggio per fare il check-in e prima che si riaprano le cateratte. I numeri di questa tappa: 80 km, 540 metri di dislivello positivo, 7 ore di pedalata. Presagisco una notte tempestosa (ma ho i tappi auricolari) e una mattinata funestata da altra pioggia.
E infatti, l’ultima giornata delle mie vacanze mi accoglie con un cielo carico di nubi, che gettano generosamente acqua tutt’attorno. Attendo un’ora riparata sul terrazzino dell’alloggio. Consulto le app meteo e mi rassegno a vestirmi da palombara. Pantaloni idrofughi, giacca antivento, poncho idrorepellente, gilet alta visibilità, guanti da neve, sacchetti freezer a salvare i piedi dal contatto con le scarpe fradice dal giorno prima. Saluto Umago e decido di non proseguire per la ciclabile, preferendo la viabilità ordinaria.
Ma, com’è mio solito, basta uno scorcio spettacolare sul fronte delle nubi che ancora attanagliano Umago, che ho già cambiato idea e mi ributto sulla costiera, che si presenta ora più agevole e dal fondo compatto. Mai scelta fu più azzeccata. Lascio il maltempo alle mie spalle e raggiungo Salvore, noto per il suo faro, attraversando campeggi, distese di roulottes e villaggi turistici ormai deserti e silenziosi. Pochi chilometri più a est intercetto la Parenzana, a ritroso, in direzione Sicciole.
E torno a calcare tracce dissestate, ma ormai conosciute. Quindi non soffro come all’andata e mi gusto tutti gli ambienti percorsi. Raggiungo dapprima Portorose, poi il centro storico di Pirano, dove mi concedo un piatto di tagliatelle ai funghi e riparto. Ma sia la mia mappa che la segnaletica verticale presente in città mi inducono a imboccare la strada sbagliata e manco la ciclabile in uscita. Giro a vuoto, tentando di cogliere qualche cartello e di intuire la direzione delle stradine in cui mi infilo. Ci si mettono anche le orde di turisti e qualche cantiere stradale; fatto sta che mi ritrovo su una strada ad alto scorrimento in ripida discesa, coll’asfalto bagnato, invaso dal fogliame e reso sconnesso dalle radici dei platani che rasentano la corsia. Invoco i Santi Pagani di Tolkien e raggiungo, sana, salva ma parecchio provata, Strugnano. Da lì è tutta vita.
Costeggio Isola, Capodistria e Ancarano, recuperando anche l’equilibrio nervoso e le facoltà mentali. Mi convinco, in un impeto di pessimismo o scaramanzia, che all’arrivo presso il porticciolo di Lazzaretto, troverò l’auto vandalizzata o addirittura sequestrata. E invece, il rottame è lì, che mi aspetta. L’avventura è conclusa, ho percorso anche gli ultimi 70 chilometri e 520 metri di dislivello positivo in 5 ore, ma ho ricavato anche una messe enorme di informazioni, spunti, impressioni che mi serviranno a scrivere questo articolo. Ho soprattutto raccolto emozioni, sensazioni e ricordi che serberò con cura nel mio cuore.
Un ultimo paragrafo per raccontarvi le conclusioni a cui sono giunta al termine del mio viaggio.
- La segnaletica, specie nel tratto sloveno e lungo la costiera croata, è carente e crea confusione. Lungo la Parenzana invece, a parte qualche incrocio incerto, è posizionata strategicamente e illustra con cura i punti interessanti attraversati. Raccomando caldamente di scaricare i file digitali (gpx, kml) delle tracce e le relative cartine offline sul proprio cellulare.
- Il fondo della Parenzana è soggetto agli eventi atmosferici e la manutenzione non è puntuale (ciò vale anche per la vegetazione, arrembante e invadente). Bisogna quindi valutare con cura i bollettini meteo dei giorni precedenti l’evento e consultare con continuità le condizioni correnti.
- Le cosiddette ciclabili a traffico misto (con le auto e i camion che sfrecciano accanto) sono difficilmente individuabili e il rispetto per il ciclista non è sempre osservato. Anzi, pare che il turista su due ruote, che si muove lungo strade asfaltate, ma ciclabili, scateni nell’automobilista l’urgenza di testare i clacson. Al contrario, sugli attraversamenti (rotonde, incroci) il ciclista può avventurarsi quasi alla cieca, sicuro che l’automobilista si fermerà senza indugio.
- La Parenzana, tranne nel tratto Buje – Visinada – Montona, non è mai troppo distante dai centri abitati. La costiera, invece, tocca praticamente tutti i centri abitati litoranei.
- Il sito “Parenzana” elenca anche i punti di assistenza tecnica e di ricarica per bici in difficoltà. I punti acqua non sono segnalati, ma la puntuale presenza di centri abitati, bar, fontane, cimiteri, rendono la ricerca di liquidi non troppo difficile. Invece i distributori di snack sono carenti, compensati, come sopra, da ristorazione variamente distribuita.
Concludo con l’invito a percorrere la Parenzana classica solo se dotati di spirito di adattamento, di avventura e frugalità; e di una bicicletta performante e correttamente allestita. Per chi si lamenta delle – a volte – deprecabili condizioni delle ciclabili friulane, consiglio di optare per percorsi alternativi, che possono regalare comunque scorci ed emozioni importanti, ma che non impegnano così pesantemente il fisico e la mente.