𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
I miti e le leggende dell’antichità sono spesso strettamente connesse al mondo animale e vegetale. E ce ne rendiamo conto quando abbiamo l’occasione di rileggerli con occhi maturi, col senno di poi, magari a distanza di anni dal primo “incontro”. Le vituperate ‘versioni’ dal latino, su cui ho sudato sette camicie, ora mi appaiono in tutta la loro bellezza.
Vi racconto una favola, tratta dalle 𝙈𝙚𝙩𝙖𝙢𝙤𝙧𝙛𝙤𝙨𝙞 di Ovidio, i cui protagonisti sono una coppia di anziani – 𝘍𝘪𝘭é𝘮𝘰𝘯𝘦 𝘦 𝘉𝘢𝘶𝘤𝘪 -, la loro oca e due divinità dell’Olimpo greco.
I due vecchietti vivono i loro ultimi anni di vita in dignitosa povertà materiale, allevando l’oca come una figlia, ma godendo di una ricchezza interiore fatta di reciproca complicità e tenero amore.
Nel frattempo, Zeus e il figlio Ermes, annoiati dalla vita agiata delle divinità, decidono di scendere sulla Terra per assaggiare un po’ di terrena mondanità. Si travestono accuratamente da mendicanti e tentano di farsi accogliere nelle case del paese scelto come mèta. I ricchi residenti non gli aprono nè la porta nè il cuore, tant’è che i due se ne risentono.
Sconsolati, bussano all’uscio di Filemone e Bauci. Questi li invitano ad accomodarsi, a riposarsi presso la loro umile dimora. Filemone offre lor due sgabelli scricchiolanti, Bauci li ricopre con pelli logore ma comode. Nonostante i due anziani non dispongano di abbondanti riserve di legna, Filemone accende il fuoco per poter scaldare la povera cena ai viandanti. Bauci raccoglie il cavolo per la minestra e il radicchio nel piccolo orto. Anche la dispensa viene ‘alleggerita’, pur di non far mancare nulla agli ospiti. Mentre si cuoce la cena, Bauci allestisce due letti, con lenzuola lise ma fresche di bucato.
Durante la cena, Filemone versa il vino nei bicchieri dei commensali, ma ben presto si accorge che il livello nella brocca non scende mai. Il vecchietto arguto intuisce di avere due divinità per cena e, vergognandosi per la sua condizione umile e la tavola miseramente imbandita, decide di sacrificare la cosa più preziosa che abbia: l’oca.
Questa, ovviamente non è dello stesso parere e fugge, andando a ripararsi proprio nel grembo di Zeus. Il dio rassicura l’anziano che il sacrificio è stato apprezzato ma non necessario. Assunte le loro sembianze solite, le due divinità avvertono i coniugi che la città sarebbe stata sommersa di lì a poco, per punirne gli abitanti sdegnosi ed empi.
La coppia si appresta a raggiungere la cima del monte indicato da Zeus, arrancando e sostenendosi a vicenda, per avere salva la vita. Fanno giusto in tempo a vedere i flutti inghiottire le opulente abitazioni. La loro misera casupola, invece, viene risparmiata e – anzi – si sta trasformando in un tempio dorato.
Filemone e Bauci, sconvolti dal prodigio e riconoscenti, cadono in ginocchio di fronte al dio. Questi, prima di salutare gli anziani, intende esaudire un loro desiderio. Gli anziani ne formulano due; desiderano diventare sacerdoti e custodi del tempio appena sorto e coltivare il culto delle divinità greche. L’altro: di salutare entrambi la vita terrena nello stesso istante per non dover provare il dolore del distacco dal compagno.
Zeus esaudisce entrambi i desideri, lasciando i due anziani vivere ancora a lungo e in salute.
Giunto il momento del loro saluto alla vita terrena, seduti insieme sull’uscio del tempio, i due anziani coniugi vedono compiersi un altro prodigio. I lunghi capelli bianchi di Filemone si trasformano in fronde, mentre a Bauci crescono delle radici. L’uno diviene una 𝙦𝙪𝙚𝙧𝙘𝙞𝙖, l’altra un 𝙩𝙞𝙜𝙡𝙞𝙤 e i loro rami s’intrecciano e si stringono, a suggellare un amore che li avrebbe tenuti uniti fino alla fine dei giorni.
ᴰⁱᵖⁱⁿᵗᵒ: ᴶᵃᶜᵒᵇ ᴶᵒʳᵈᵃᵉⁿˢ ⁻ ᴶᵘᵖⁱᵗᵉʳ ᵃⁿᵈ ᴹᵉʳᶜᵘʳʸ ⁱⁿ ᵗʰᵉ ᴴᵒᵘˢᵉ ᵒᶠ ᴾʰⁱˡᵉᵐᵒⁿ ᵃⁿᵈ ᴮᵃᵘᶜⁱˢ