𝙻𝚞𝚜𝚎𝚟𝚎𝚛𝚊: 𝚕𝚊 𝚟𝚒𝚝𝚊 𝚗𝚎𝚐𝚕𝚒 𝚜𝚝𝚊𝚟𝚘𝚕𝚒
Gli stavoli sorgevano isolati, oppure raggruppati e ogni abitazione aveva accanto la stalla per le mucche, l’ovile per pecore e capre, un casotto per la latteria e più tardi anche il pollaio ed il porcile; sopra ogni stalla c’era il fienile, che serviva a doppio uso: raccoglieva il fieno e serviva da camera da letto agli alpigiani, che dormivano comodamente sul foraggio profumato di menta.
Il fieno veniva preparato in appezzamenti puliti dai sassi, chiamati “braide” e doveva servire a sostentare le mucche, quando il cattivo tempo non permetteva di lasciarle pascolare all’aperto. Se il tempo era buono, le mandrie uscivano due volte al giorno: mattina e sera.
Le provviste dovevano essere portate dai paesi a valle; la legna per la cucina ed il riscaldamento si trovava nei boschi, l’acqua alle fonti, meno in Tasaoro, dove gli alpigiani dovevano sciogliere la neve compressa, a tempo opportuno, in una caverna sotterranea. Le mucche erano di razza pregiata alpina ed il formaggio ricercatissimo.
La vita, agli stavoli, passava quieta e serena. Le alpigiane, poiché erano quasi ovunque le donne che si dedicavano all’alpeggio aiutate dai ragazzi, accudivano ai lavori della casa e della stalla, alla fienagione, alla semina ed alla raccolta di patate. Lavoravano cantando ed i giovani riempivano l’aria dei loro gridi giocondi: Ih!…Ih!….Huui!….Ih!….Huui!… che l’eco portava lontano. Erano giorni beati quelli…i mesi più belli dell’anno!
I ragazzi si occupavano della pastorizia. Imparavano a mungere per tempo ed anche a fare tutti i lavori della stalla, aggiustare il letto alle bestie, spazzolare loro il pelo con la spazzola di ferro, pulire la stalla, scoparla con la scopa di legno che si preparavano da soli con rami di corniolo, portare con carriole il letame. Agli stavoli legavano le mucche e le avviavano al pascolo, poi le scioglievano quando le conducevano nella stalla.
Fin dai tempi remoti gli uomini si dedicavano ai lavori del bosco, dai quali ricavavano molta legna da ardere, da costruzione e da mobilificio. Siccome non esistevano strade carrozzabili né mezzi di trasporto, i tronchi venivano trasportati a Tarcento e Molinis (specialmente in quest’ultima località) via fiume. Siccome i boschi più efficienti si trovavano a Musi, a destra e sinistra delle sorgenti del Torre, lì presso dette sorgenti avevano il punto d’arrivo i portatori a spalla o con gerle e più tardi le teleferiche.
Grandi cataste di legna erano giornalmente in attesa di essere fluitate. Dopo la costruzione della diga in Crosis e la prima strada carrozzabile, il fluitaggio s’arrestò a Vedronza o a Pradielis. Le legna venivano gettate in acqua e seguite da vicino da un gruppo di uomini armati di ramponi (bastoni a cui erano attaccati grandi uncini di ferro) che spingevano i pezzi che si inceppavano nei massi, distaccavano quelli che s’accavallavano o spingevano i lenti e ritardatari.
A Tarcento ed a Molinis, ai punti d’approdo, altri operai li attendevano, li arpionavano e li tiravano a riva. Per questo lavoro si mobilitava molta gente. A volte si mobilitavano paesi interi, anche donne e ragazzi, specialmente quando si trattava di lavori per la chiesa, a beneficio delle comunità o di singole famiglie bisognose.
ᴰⁱᵈᵃˢᶜᵃˡⁱᵉ ᵖʳᵉˢᵉⁿᵗⁱ ⁿᵉˡ ᵐᵘˢᵉᵒ ᵉᵗⁿᵒᵍʳᵃᶠⁱᶜᵒ ᵈⁱ ᴸᵘˢᵉᵛᵉʳᵃ
ᶠᵒᵗᵒ: ʷᵉᵇ