L’anello di Pinzano, detto anche Pinz-anello

Qui vi propongo un’escursione facile, appagante, panoramica e, a tratti, anche avventurosa. L’anello di Pinzano, identificato col sentiero CAI822, è di recente realizzazione – l’inaugurazione risale all’ottobre 2015 – ma i sentieri che gli danno forma esistono dalla notte dei tempi. La zona di Pinzano al Tagliamento è sede di insediamenti fin dal neolitico, si afferma come strategico crocevia in epoca romana, entra nelle mire politiche del patriarcato di Aquileia, resta di proprietà della famiglia Savorgnan fino all’inizio del 19esimo secolo.

Per i particolari storici e artistici, Vi rimando al sito del comune di Pinzano al Tagliamento e della locale Somsi, che hanno sezioni ricche di particolari e aneddoti di interesse culturale.

Quello che vi propongo io è il percorso in senso orario, lasciando la salita al castello per ultima. Al tramonto, se doveste riuscire a calcolare bene i tempi, l’atmosfera è davvero unica. Il sole tramonta tra le antiche rovine, dietro al “Colat”, piccola altura dirimpettaia del colle del castello.

Ma anche l’alba, goduta da lassù, ha un suo fascino. Quindi dipende da voi, dalle vostre gambe ancora fresche o già provate, dall’ora in cui decidete di affrontare il sentiero, per riuscire ad apprezzare questa tappa fondamentale dell’anello.

Ma, come al solito, partiamo dall’inizio. Lasciamo l’auto parcheggiata in piazza al paese e ci dirigiamo verso via Castello, facilmente identificabile grazie a un pozzo collocato in mezzo alla sede stradale, e a un cartello indicante “Costabeorchia”. Saliamo lungo la strada asfaltata per decidere, una volta in cima, se affrontare fin da subito il castello (e magari percorrere l’anello in senso antiorario, o ridiscendere per riprendere il sentiero in modalità oraria). Fin da subito la segnaletica è evidente, ben posizionata e manutentata. Sarà difficile perdersi, d’ora in poi.

Percorriamo ancora mezzo km di strada asfaltata, per poi finalmente imboccare, piegando a sinistra, il tracciato sterrato che s’inoltra nel bosco. L’ombra è presente lungo quasi tutto il sentiero e non mancheranno le occasioni per rinfrescarsi anche grazie ai numerosi guadi, fontane, sorgenti. Il fondo del sentiero è morbido, tipicamente di sottobosco, ma fate attenzione alle radici affioranti. Alcuni gnomi curiosi si affacciano al bordo del sentiero.

Noterete che la manutenzione e la cura del sentiero è quasi maniacale. Spesse volte abbiamo incontrato persone intente e sistemare i guadi, a migliorare la percorribilità delle discese, a mettere in sicurezza i tratti meno agevoli, a falciare o decespugliare la vegetazione. I saliscendi continui rendono la traccia divertente, anche perchè richiedono sempre un minimo di attenzione.

Vista la lontananza dalla strada, è possibile raccogliere numerose erbe spontanee, a seconda della stagione. Bruscandoli, aglio ursino, tamus, fiori e bacche di sambuco, fragoline di bosco. Ovviamente si raccoglie solo ciò che si conosce alla perfezione.

Un primo guado, solitamente poco gonfio d’acqua, preannuncia la zona “umida” dell’anello, più bassa rispetto alle altitudini medie del sentiero. Il fondo si fa un pò più scivoloso, a seconda delle precipitazioni cadute nei giorni precedenti. Comunque, anche in piena estate e con la pioggia che si fa desiderare, la zona resta ricca di rigagnoli, pozze e terreno intriso d’acqua. Poco oltre un altro guado, da affrontare con cautela, ci permette di attraversare il torrente Gerchia.

Attraversiamo la zona paludosa, saltando qualche altro corso d’acqua effimero, per giungere all’improvviso alla cascata “Sflunc”.

Non è altissima, ma l’acqua in caduta libera crea comunque giochi di riflessi e rifrazioni unici. Qualcuno azzarda anche un bagno improvvisato. A seconda delle precipitazioni dei giorni precedenti, la cascata si gonfia fino a gettare schizzi a discreta lontananza, oppure si riduce a un timido rigagnolo. Per proseguire, tocca attraversare nuovamente il Gerchia, per poi inerpicarsi su per il costone destro.

Consiglio di attraversare il foro scavato nella pietra, tipicamente conglomerata, prestando attenzione agli abitanti delle nicchie ricavate nella roccia.

Al di là della mini-galleria, si costeggia il Gerchia nel suo tratto superiore e lo si attraversa ancora un paio di volte.

Affrontiamo ora la lunga e dolce salita al borgo di Costabeorchia, restando sempre all’ombra di imponente vegetazione soprattutto caducifoglie. Passiamo accanto a molte costruzioni ormai in rovina, ma che, in tempi non lontanissimi, ospitavano le genti del luogo, molto probabilmente pastori e boscaioli. Recentemente è stata liberata dai rovi la borgata di Samontan e offre un bel colpo d’occhio sul passato.

Per poter godere di un panorama che ripaga di tutta la fatica, bisogna percorrere la ripida clapadorie che richiede ancora un piccolo sforzo. La piazzetta della borgata Molimes è simpaticamente arricchita da mascheroni animali e non solo.

Il glicine fiorito, che troneggia sul ingresso ai terrazzamenti dell’azienda agricola “Il borgo delle mele“, è davvero notevole.

Riprendiamo il sentiero, ancora in salita lungo la scalinata di cemento, per tornare nel bosco. I pendii sono sapientemente trattenuti da opere umane e impediscono che la forte pendenza faccia franare detriti sulle abitazioni sottostanti. Un paio di punti panoramici, laddove la vegetazione lo permette, ci fanno individuare un’ampia sezione del letto del Tagliamento e dei paesi “di cà da l’aghe” che lo costeggiano verso sud. In sequenza riconosciamo il Mont di Muris, San Pietro di Ragogna, Villuzza, San Daniele del Friuli e Dignano col suo inconfondibile ponte.

Ancora qualche minuto di sentiero immerso nel bosco e scolliniamo il monte Molimes, per scendere velocemente verso la strada che collega “Davour la mont” con Costabeorchia. Dopo circa 200 metri, il sentiero sterrato riprende sulla sinistra, in discesa e attraversa il “Plan da la bolp”. A mio modesto parere, inizia qui la parte di anello più selvaggia. Si apprezzano la vegetazione rigogliosa ma anche le formazioni geologiche, il fondo a tratti sabbioso, poi nuovamente roccioso, e un pò di pantano che non guasta. Sbuchiamo in località Cjà Ronc, appena dopo aver calpestato un’antica clapadorie ripulita di recente.

Foto tratta dalla pagina FB “Itinerari Pinzano al Tagliamento”

Percorriamo un altro tratto di strada asfaltata, fino a raggiungere la trafficata provinciale della Val d’Arzino. La attraversiamo e per sicurezza scavalchiamo il guard-rail. Proseguiamo verso est, fino a riprendere il sentiero che, deviando verso destra, ci riporta nel bosco. La traccia costeggia molti punti di interesse storico, segnalati tramite opportuna cartellonistica e curati dal Museo della Grande Guerra di Ragogna. Possiamo visitare, deviando dal sentiero CAI, postazioni, casematte, polveriere costruite negli anni precedenti lo scoppio della prima guerra mondiale ma anche costruzioni più recenti, risalenti agli anni della guerra fredda. I cartelli informativi sono molto accurati, i sentieri puliti e ben segnalati, anche le deviazioni per scoprire reperti storici sparsi nel bosco sono indicati con precisione.

Percorrendo l’anello nei mesi primaverili, è possibile assistere alla fioritura rigogliosa dei “dente di cane”, pianta presente lungo tutte le Alpi italiane, ma comunque ritenuta rara.

Restiamo sul sentiero 822 e ci arrischiamo a scendere verso un promontorio che ci permette di abbracciare, con lo sguardo rivolto verso nord, un ampio tratto del Tagliamento.

Ma i panorami mozzafiato non mancano nemmeno dal Col Piòn, poco più avanti. Si tratta di un pianoro, a sbalzo sulla stretta di Pinzano, punteggiato di postazioni della Guerra Fredda, che ospita anche l’ossario germanico eretto per onorare i caduti austroungarici della Grande Guerra. In realtà non fu completato, tantomeno utilizzato come ossario. Per molti anni è stato abbandonato a sè stesso, alle intemperie e alla natura che si è reimpossessata dei suoi spazi. In occasione delle manifestazioni organizzate per il centenario della Grande Guerra, è stato liberato dalla vegetazione, ripulito e dotato di cartelloni informativi, donandogli nuovamente una veste dignitosa.

La zona attorno al colle è recintata perché ospita le caprette dell’azienda Capramica che ha sede a Pinzano. Le capre mantengono l’area pulita, libera dall’esuberante vegetazione, e danno un tocco di genuina rusticità a una zona che – non è difficile da immaginare – è stata luogo di sanguinosi scontri e drammi umani. Poco sotto di noi si trova il ponte di Pinzano, ricostruito più volte in seguito ad episodi storici, quali la ritirata dell’esercito italiano causato dalla rotta di Caporetto e la grande piena del novembre del 1966. L’odierna costruzione è ad arcata unica, collega le due ex-province di Udine e Pordenone, grazie a 185 mt di cemento armato precompresso, e svetta a 30 mt dalla superficie del Tagliamento.

Ricordiamo sempre con rispettoso silenzio che qui si svolse una delle più cruente battaglie combattute per rallentare l’avanzata dell’esercito austroungarico in terra friulana: il monte di Muris (o di Ragogna, che dir si voglia) si staglia di fronte alla stretta di Pinzano e lascia pochi dubbi sulla sua strategicità nello scacchiere bellico. Il ponte di Cornino, poco più a nord, e il ponte di Pinzano rappresentarono le uniche due possibilità di attraversamento del Tagliamento, in straordinaria piena in quei giorni tra ottobre e novembre 1917.

Noi torniamo sul sentiero, salutiamo le allegre e voraci caprette che, in primavera, sono accompagnate dai capretti appena nati, e usciamo dal recinto. In vista della strada che sale dal ponte, svoltiamo a destra, in discesa. Raggiungiamo dopo poco il “Pociùt”, immerso in una zona semipaludosa, costellata di pozze e dal letto del rio Bearzi che ci scorre placido. Risaliamo verso la provinciale e, prestando attenzione, la attraversiamo in direzione della fontana posta di fronte.

Foto di Michela Nenis

Affrontiamo l’ultima salita, ma anche la più appagante, breve e decisa, per raggiungere ciò che resta del castello di Pinzano. La zona sommitale è recintata, al pari del Col Piòn, perchè anche qui pascolano liberamente le caprette e i loro amici asinelli.

Come anticipato all’inizio, la vista che si gode da quassù è notevole.

Verso nord si riconoscono in sequenza i paesi di Clauzetto, Vito d’Asio, Anduins per poi proseguire individuando Flagogna, San Rocco e Cornino e, giù in fondo, Gemona adagiata sul suo conoide di deiezione. Si nota anche il monte Molimes, scollinato pochi km prima, col borgo di Costabeorchia alle sue pendici. E’ ben visibile, più in basso, il Col Piòn e tutto il letto del Tagliamento che scende ampio verso il mare. L’area offre panchine e tavolini per agevolare il meritato riposo e i ciuchini ci tengono una discreta compagnia.

Per completare l’anello ridiscendiamo dalla sommità e riprendiamo il sentiero 822 che, aggirando il colle da sud, ci fa uscire dal recinto e riporta al parcheggio situato in piazza.

L’anello si presta ad essere percorso praticamente da tutti, è sufficiente una minima dimestichezza con vari terreni e sentieri non sempre agevolissimi. Soprattutto dopo piogge insistenti, si dovranno prevedere guadi un pò più gonfi del solito, ma anche dovessimo mettere i piedi in acqua, i restanti km non giustificano una ritirata. I bambini possono essere ingolositi con la promessa di un tuffo nelle acque della cascata “Sflunc”; agli appassionati di storia recente tutta la zona attorno all’ossario propone numerose scoperte e spunti di riflessione; agli amanti di fotografia si offriranno scorci pittoreschi, natura sgargiante, flora colorata e fauna per nulla scontata; coloro che cercano un pò di silenzio e tranquillità troveranno sentieri poco battuti e dall’aria ancora selvaggia.

Abbiamo percorso ca. 10 km per un dislivello cumulativo di 400 mt, tra storia, cultura e natura. Senza nulla togliere a zone turistiche più blasonate e altrettanto meritevoli, ricordiamoci che si trovano piccoli e grandi gioielli anche dietro casa, lontani dalla ressa e dalle orde di turisti.