Legrosega

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

La notte del 5 gennaio assume diversi significati antropologici a seconda dell’area geografica interessata dalle tradizioni popolari che la animano. Le storie degli avvenimenti che si svolgerebbero quella sera sono numerose e hanno quasi sempre uno scopo moralizzatore. Le metafore, narrate con parole semplici ma efficaci ed ascoltate con curiosità e incredulità, colgono spesso nel segno. Vi racconto della Legrosega, una figura mitologica presente nella valle del Vajont. A fondo spiegone il link allo scritto originale; la mia è solo una versione riadattata.

E’ la sera uggiosa e gelida di un 5 gennaio di molti anni fa. Dalla fitta nebbia appare una figura di donna, gravata e curva sotto il peso degli anni. Scende lungo le viuzze lastricate verso il centro del paese di Casso. La vecchia è imbacuccata nei suoi abiti spessi, il suo respiro forma volute biancastre nell’aria umida, la sua ombra la segue fedelmente. Gli occhi, arrossati, o forse infuocati, scrutano le modeste abitazioni del paese.

Intravvede un barlume di fioca luce spandersi da dietro una tenda; la vecchia intuisce il calore e il benessere emanato dal focolare scoppiettante. Si avvicina alla finestra e scorge una figura di giovane donna, Maria, intenta a filare il fuso nonostante l’ora tarda. Proprio in quel momento le campane della chiesa parrocchiale suonano l’ora: dieci rintocchi. La vecchia si allontana, in direzione della chiesa.

La giovane donna appoggia il fuso sul tavolo e, avendo percepito occhi indiscreti alla finestra, le si avvicina per sbirciare eventuali presenze o movimenti sul viottolo che rasenta la sua dimora. Non scorgendo nulla, si rimette a filare, tentando di terminare un lavoro necessario al mantenimento suo e dei suoi due figlioletti, orfani di padre. Maria non avverte stanchezza, è fin troppo consapevole che l’economia domestica dipende anche dalla quantità e qualità del lavoro che riesce a svolgere nelle lunghe ore notturne.

La campana suona nuovamente. La ragazza conta i rintocchi: sono le dieci e mezza. Proprio in quell’istante sente bussare alla porta. Sobbalzando dalla paura si avvicina all’uscio e chiede sottovoce: “Chi è?”. La risposta non tarda ad arrivare: “Sono la tua ‘comare’; sono venuta a farti visita perché stasera non riesco a prendere sonno”. Maria apre la porta e fa cenno alla vecchia di far meno rumore possibile, chè i figlioli sono già a dormire.

La vecchia incalza: “Cosa stai facendo?”. Maria risponde: “Neanch’io sono stanca e approfittavo della notte per filare”. La vecchia la ammonisce con voce cupa: “Lo sai che la sera della Befana non si lavora e non si va a spasso?”. Maria si giustifica: “Aspettando che mi venga sonno, mi porto avanti con le faccende”. Così la vecchia le offre il suo aiuto, in modo da dividersi il compito.

Maria accetta, sospettosa di tanta benevolenza, ma bisognosa anche della collaborazione offerta dalla vecchia. Le due donne filano per lungo tempo, con la vecchia che brontola a più riprese e scuote la testa. Suggerisce di smettere e di andare a dormire. Ma la giovane, approfittando smaccatamente della sua presenza, continua a filare. La vecchia alza lo sguardo su Maria, con occhi infuocati, viso arrossato e respiro affannoso. A questo punto la giovane si spaventa e le chiede se stia bene.

Invece l’anziana donna non risponde, la fissa in silenzio con sguardo torvo e minaccioso. Maria, spaventata, si lascia sfuggire il fuso dalle mani tremanti. Questo rotola sotto al tavolo, scomparendo alla vista della giovane donna. Fa per abbassarsi, ma alla luce fioca del focolare non riesce a scorgere il fuso. Si infila sotto al tavolo, scostando la tovaglia. Un riverbero proveniente dal ciocco di legno ardente illumina le gambe della comare.

Maria intravvede gli zoccoli che la vecchia ha al posto dei piedi e le gambe da capra, malamente coperte della pesante gonna che la donna indossa. Terrorizzata, si rialza e, mantenendo la calma, dice alla vecchia: “Vado nello sgabuzzino a prendere altra lana, così finiamo il lavoro prima dell’alba. Aspettami qui, torno subito”. L”anziana la segue con occhi furenti.

La giovane, appena fuori dalla stanza, si lancia verso la cameretta dei figli addormentati. Si infila a letto tra le due anime innocenti e, afferrato un rosario, inizia a pregare. La vecchia non tarda ad accorgersi dell’inganno. Non avendo più bisogno di celare la sua vera natura, la Legrosega si avvicina alla cameretta dei bimbi. I suoi zoccoli fanno scricchiolare rumorosamente le assi di legno del pavimento. Maria prega incessantemente e promette che mai più avrebbe lavorato la notte dell’Epifania.

La Legrosega è ormai nella stanza da letto e, intravvista Maria stesa tra i figli, le si avvicina. Gli occhi infiammati e il respiro gelido della vecchia attanagliano la giovane donna. Con voce roca e furibonda la Legrosega ammonisce Maria: “E’ solo perché sei stesa tra i tuoi due angioletti che ti risparmio. Altrimenti ti avrei bastonata fino a farti diventare farina di fieno”. Terminata l’invettiva, la vecchia scompare in una nuvola di nebbia gelida.

Ancora oggi si sente il monito della Legrosega echeggiare per la valle del Vajont. Canta: “𝘨𝘪𝘯𝘨𝘪𝘯 𝘨𝘪𝘯𝘨𝘪𝘯 𝘨𝘪𝘯𝘨𝘪𝘯 𝘴𝘵𝘰𝘧𝘧 𝘥𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘯𝘦 𝘥𝘦 𝘤𝘳𝘪𝘴𝘵𝘪𝘢𝘯𝘪𝘯, 𝘵𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘱é𝘳𝘦 𝘱𝘢𝘳 𝘤𝘩𝘦𝘴𝘵𝘦 𝘴𝘵𝘳𝘢𝘥𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘵𝘪 𝘵𝘰𝘴à𝘵 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘶𝘰𝘪 𝘮𝘢𝘨𝘯𝘢𝘮𝘦”. A ricordaci che la punizione del sonno eterno coglie chi la notte dell’Epifania si attarda ai lavori o si sollazza girovagando senza meta.

Qui il racconto originale: https://www.ecomuseovajont.net/la-legrosega/

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Donne intente a filare, archivio Ugo Pellis