𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Alcune sere fa ho avuto la fortuna di assistere a un intervento di Angelo Floramo, in occasione della presentazione della nuova edizione de “Il Fiume che canta“. Il fil rouge dei suoi interventi dimostra la sua enorme passione per il territorio, per il nostro Fiume e per la lingua friulana. Sorvolo sulla nonna bavarese (avendo io un mamma elvetica, ne so qualcosa) ma ho preso mentalmente nota di alcuni spunti divertentissimi del monologo del professore.
Spulcia spulcia il web, ho trovato materiale per una serie sostanziosa di spiegoni sulle figure mitologiche della tradizione popolare del Friuli.
Eccone una: la 𝙇𝙚𝙩𝙤𝙖𝙣𝙚. Era una 𝘼𝙜𝙖𝙣𝙖, cioè appartenente alla schiera di figure femminili abitanti dei corsi d’acqua o grotte carsiche, dove la presenza di gocciolìo e ruscellamento è costante. Sono personaggi ambigui, sfuggenti, molto eteree e dal carattere bizzoso. Possono dimostrarsi riconoscenti con le persone che le aiutano, ma anche molto scontrose con chi dà loro fastidio. In alcuni racconti si accaniscono con la prole degli abitanti dei borghi limitrofi, facendo loro dispetti o inducendoli a comportamenti pericolosi, se non fatali.
Partiamo dal principio, che si perde nella notte dei tempi: era usanza riservare particolari cure alle donne che avevano appena dato alla luce un bimbo.
Per quaranta giorni non potevano toccare l’acqua, se non per berla. Niente bagno, niente bucato, niente pulizie (ci pensava la neo-nonna). E durante lo stesso periodo l’alimentazione che veniva riservata alle puerpere era particolarmente ricca e sostanziosa. Il che, tutto sommato, pare anche una buona pratica: riposo e recupero delle forze.
Allo scadere del 40esimo giorno, neo-mamma e neo-nonna si recavano in chiesa per la benedizione e potevano così riprendere ognuna le proprie attività quotidiane.
Ma, nel malaugurato caso che la madre fosse morta di parto, era impossibile impartirle la benedizione. Finiva quindi, suo malgrado, in una specie di limbo pagano, da cui poteva tornare sotto forma di Agana, nello specifico di Letoane. Questa creatura veniva vista, tutta vestita di bianco, a lavare ogni notte le lenzuola macchiate del proprio sangue.
E mentre non era impegnata a cancellare i segni del suo trapasso ingiusto, si nascondeva sotto al pelo dell’acqua. La sua chioma fluente richiamava i bambini che giocavano sulle sponde del fiume, il colore candido delle vesti li abbagliava, le forme sinuose delle onde li incuriosivano.
La Letoane non aspettava che il momento propizio per afferrare il piedino di un bimbo che si fosse spinto in acqua e trascinarlo sul fondo. Era la sua tremenda vendetta per un tragico destino subito.
Un’altra chiave di lettura ci racconta invece che fosse spinta dall’inarrestabile desiderio di ricongiungersi al proprio figlio, sperando ogni volta che quella che si stava avvicinando al corso d’acqua fosse la sua creatura, da cui era stata separata troppo presto.
Come conclude il prof. Floramo: “Pensate che queste erano le fiabe che le nostre nonne ci raccontavano. Ora capite perchè siamo persone adulte con grossi squilibri psichici”. To be continued.
ᴵᵐᵐᵃᵍⁱⁿᵉ: ʷʷʷ.ⁱˡᵖᵒᵖᵒˡᵃⁿᵒ.ᶜᵒᵐ/ᵃᵍᵃⁿᵉ⁻ˡᵉ⁻ᶠᵃᵗᵉ⁻ᵈᵉˡˡᵃᶜqᵘᵃ/