𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Il Friuli VG è interessato direttamente da due 𝘳𝘦𝘨𝘪𝘰𝘯𝘪 𝘣𝘪𝘰𝘨𝘦𝘰𝘨𝘳𝘢𝘧𝘪𝘤𝘩𝘦 (seguirà spiegone approfondito) e lambito da altre tre. Questa molteplicità di influssi microclimatici permette alla nostra regione di annoverare diversità altissime di specie vegetali e animali che vi dimorano stabilmente o solamente in transito (per quanto riguarda la fauna). E caratterizza anche periodi vegetativi molto diversi fra esemplari della stessa specie presenti, ad esempio, in collina rispetto a quelli dislocati in montagna.
La settimana scorsa in val Resia ho incontrato un 𝙡𝙞𝙜𝙪𝙨𝙩𝙧𝙤 (𝘓𝘪𝘨𝘶𝘴𝘵𝘳𝘶𝘮 𝘷𝘶𝘭𝘨𝘢𝘳𝘦), ancora in fiore. In pianura la fioritura della pianta è – secondo siti botanici autorevoli – collocata tra aprile e giugno. Lo steso discorso vale, ad esempio, per il sambuco che in questo periodo presenta periodi vegetativi che vanno dalla fine della fioritura allo stato maturo delle bacche. Dipende, insomma, dalle condizioni climatiche e, in senso lato, dalle regioni biogeografiche.
Ma torniamo al ligustro. Appartiene alla famiglia delle 𝘖𝘭𝘦𝘢𝘤𝘦𝘢𝘦 e quello che cresce in montagna (la specie 𝘷𝘶𝘭𝘨𝘢𝘳𝘦) , nei boschi termofili friulani, è – secondo Sandro Pignatti – l’unico autoctono. Il nome del genere ricorda il termine “ligustrínum”, cioè ligure, di Liguria. Altra origine etimologica associa il nome al latino ‘ligare’ per la flessibilità dei rametti usati nelle campagne come legacci per piante. Il nome specifico indica la diffusione: frequente, comune, diffusa. I nomi comuni assegnati alla pianta in Friuli sono, come sempre, molto fantasiosi: 𝘉𝘢𝘤𝘪𝘢𝘳𝘦, 𝘉𝘪𝘴𝘪𝘷𝘶𝘪𝘨𝘯𝘦, 𝘔𝘢𝘳𝘪𝘴𝘤𝘭𝘪, 𝘔𝘢𝘳𝘶𝘴𝘤𝘭𝘪, 𝘚𝘤𝘦𝘱𝘰𝘭𝘢𝘳, 𝘚𝘤𝘳𝘪𝘶𝘭, 𝘛𝘢𝘮𝘢𝘳𝘪𝘻𝘻, 𝘝𝘢𝘳𝘶𝘴𝘤𝘭𝘪.
E’ un arbusto che raggiunge in condizioni ottimali altezze tra 5 e 12 metri; vegeta bene a livelli collinari e montani fino a 1300 mt s.l.m., ma non disdegna la pianura. In Italia lo troviamo su tutto il territorio, isole escluse, mentre a livello europeo preferisce le zone alpine (Foresta Nera, Massiccio del Giura, Pirenei, Alpi Dinariche, Carpazi). Ormai è naturalizzata anche in America settentrionale. Come substrato, preferisce quelli mediamente umidi, tendenzialmente calcareo o calcareo-siliceo con pH basico, con terreni poveri di valori nutrizionali. Allo stato naturale è presente in boschi decidui termofili, sottoboschi e ai margini delle zone a cespuglieti.
E’ ampiamente utilizzato per scopi ornamentali, a colonizzare muretti e a formare siepi anche piuttosto longeve, fino a 50 anni. Le vaporose fioriture e il profumo gradevole ne fanno un elemento apprezzato anche in giardini, parchi e cortili. E’ una pianta semi-sempreverde: in condizioni climatiche non troppo rigide, le foglie non vanno incontro ad abscissione fogliare (la caduta delle foglie in autunno) e vengono sostituite in tempi più dilatati, non lasciando mai spoglia la pianta. Invece le temperature estreme inducono la caduta parziale o totale del fogliame. Tollera bene l’inquinamento dovuto al traffico ed è quindi utilizzato anche nella composizione di alberature stradali.
Ma la pianta è gradita anche a diverse specie di uccelli che nidificano tra i rami densi e intricati. E alle api che fanno incetta di polline e nettare prodotti dalle infiorescenze a pannocchia biancastri. L’impollinazione avviene tramite insetti (impollinazione 𝘦𝘯𝘵𝘰𝘮𝘰𝘨𝘢𝘮𝘢; έντομο – éntomo = insetto in greco) o grazie al vento (𝘢𝘯𝘦𝘮𝘰𝘨𝘢𝘮𝘢; άνεμος – ánemos = vento in greco). Dai fiori fecondati nascono i frutti, che sono bacche tondeggianti, di colore nero lucido o blu scuro intenso, del diametro di 6-8 mm. Ogni bacca contiene 1 – 4 semi che cadendo al suolo, vengono dispersi dal vento (dispersione 𝘢𝘯𝘦𝘮𝘰𝘤𝘰𝘳𝘢; vedi l’impollinazione anemogama) o dalle formiche (dispersione 𝘮𝘪𝘳𝘮𝘦𝘤𝘰𝘳𝘢; dal greco μυρμήγκι – myrmínki = formica).
Tutte le parti della pianta, ma in particolare le bacche, sono 𝙩𝙤𝙨𝙨𝙞𝙘𝙝𝙚, contenendo glucosidi. La letteratura tedesca riferisce comunque che l’assunzione di “sole” 5 bacche non è letale. Il succo estratto dalle bacche veniva usato in passato per colorare il vino e produrre inchiostro. Al giorno d’oggi la 𝙇𝙞𝙜𝙪𝙡𝙞𝙣𝙖 contenuta nelle bacche è utilizzata nei laboratori chimici per rilevare il pH di soluzioni liquide, grazie alla sua capacità di “indicatore” di viraggio di colore. Dalla corteccia si ottiene una sostanza che colora di giallo la lana.
Nella medicina popolare l’assunzione di infusi di foglie avrebbe proprietà astringenti. Gargarismi effettuati con infusi di bacche, fiori e foglie sarebbero dei toccasana in casi di affezioni dal cavo orale. Gli impacchi gioverebbero al processo di guarigione di ferite della pelle. Il condizionale è d’obbligo, trattandosi di pianta tossica e anche allergenica.
In Cina, fino a non molto anni fa, le persone di mezza età applicavano il succo estratto dalle bacche sulla chioma per renderla nera e lucente e ritardare la comparsa di capelli grigi.
Ho trovato sul web questa novella che racconta del ligustro e di un merlo maleducato, scritta da 𝙇𝙚𝙤𝙣𝙖𝙧𝙙𝙤 𝙙𝙖 𝙑𝙞𝙣𝙘𝙞. Qui la versione originale; sotto la “traduzione” in italiano moderno.
https://it.wikisource.org/wiki/Favole_(Leonardo_da_Vinci)/I_-_Il_ligustro_e_il_merlo
Un alto ligustro sentì all’improvviso smuovere con violenza i suoi sottili e lunghi rami, pieni di bacche nere, nonchè devastare le sue foglie e scorticare la sua tenera corteccia da artigli pungenti e da beccate molto dolorose. Era un merlo, che stava cibandosi dei novelli suoi frutti. Il ligustro allora espresse tutto il suo rammarico per questa aggressione e pregò il merlo di non privarlo delle sue foglie, perché ne aveva un gran bisogno. Esse erano una difesa contro i raggi caldi e cocenti dell’estate.
L’uccello allora, per tutta risposta, non risparmiò al povero ligustro parole arroganti e villane. Gli disse: “Taci, sterpo selvatico! Non sai che la natura ti ha fatto per produrre queste bacche per mio nutrimento? Non sai tu, villano, che nel prossimo inverno non sarai altro che nutrimento e cibo per il fuoco?”
Il povero albero zittì all’istante, sopportando il tutto con grande pazienza e senza piangere. Intanto cominciava ad intrecciare tutto intorno al villano merlo i suoi sottili rami, fino a formare una ragnatela che, in breve, imprigionò e privò della sua libertà l’arrogante uccello. Felice e contento del suo operato, l’albero allora si rivolse al merlo, dicendo: “Caro merlo, io sono ancora qui senza essere consumato dalla fiamma che mi prospettavi. Al momento ho visto prima te in una prigione di vimini, che io bruciato nel camino.”

