Luigi Zacchi

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Uno dei rifugi friulani più caratteristici e frequentati è senza dubbio il Rifugio Alpino Luigi Zacchi. Ma chi era 𝙇𝙪𝙞𝙜𝙞 𝙕𝙖𝙘𝙘𝙝𝙞?

Nasce a Roma il 21 aprile 1895. Da sottotenente viene inquadrato nel 7° reggimento Alpini e, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, combatte in prima linea sulle Tofane-Falzarego. Trascorre l’estate 1916 a Torino frequentando il corso di formazione di reparti mitraglieri. Torna poi sulle Tofane nel 1917, col 5° Gruppo Alpini, dove ad aprile 1917 viene promosso tenente.

Catturato e poi liberato, viene assegnato al Battaglione “Belluno”, distaccamento Agordo, dove resta fino al 1921. Approfittando finalmente del periodo di relativa calma, intraprende numerose imprese alpinistiche. Il 30 luglio 1920 compie la prima salita ufficiale della parete sud della Schiara.

Al riaccendersi dei venti di guerra, parte per le campagne di Albania e Grecia. Nominato, nel 1940, comandante del Battaglione “Cividale” viene inviato in Russia. Finisce nuovamente imprigionato, nel 1943 a Nowo Georgiewka, ma stavolta dovrà attendere fino a settembre 1946 per rientrare in patria.

Viene promosso colonnello per meriti di guerra, ma morirà nel 1950 per le conseguenze della sua prolungata prigionia.

Alla sua memoria è intitolata anche una via ferrata proprio sullo Schiara, oltre al rifugio di cui sopra.

Ho trovato questo racconto (ambientato durante la campagna in Russia, dove l’esercito italiano ha combattuto a fianco di quello tedesco), secondo me emblematico dello spirito cameratesco e di profonda onestà intellettuale ed emotiva dello Zacchi.

E’ tratto dal libro 𝙉𝙖𝙪𝙛𝙧𝙖𝙜𝙤 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝙨𝙩𝙚𝙥𝙥𝙖 – 𝙙𝙞𝙖𝙧𝙞𝙤 𝙙𝙞 𝙪𝙣 𝙪𝙛𝙛𝙞𝙘𝙞𝙖𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 “𝙅𝙪𝙡𝙞𝙖” 𝙨𝙪𝙡 𝙛𝙧𝙤𝙣𝙩𝙚 𝙧𝙪𝙨𝙨𝙤 𝙙𝙞 𝙀𝙧𝙢𝙚𝙣𝙚𝙜𝙞𝙡𝙙𝙤 𝙈𝙤𝙧𝙤.

𝘋𝘰𝘱𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘪𝘭 “𝘊𝘪𝘷𝘪𝘥𝘢𝘭𝘦” 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢 𝘨𝘪à 𝘴𝘰𝘴𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘰 𝘤𝘪𝘤𝘭𝘰 𝘥𝘪 𝘴𝘢𝘯𝘨𝘶𝘪𝘯𝘰𝘴𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘣𝘢𝘵𝘵𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘪𝘭 𝘱𝘰𝘴𝘴𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘲𝘶𝘰𝘵𝘢 176, 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘌𝘪𝘣𝘭 𝘪𝘯 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰𝘯𝘢, 𝘴𝘦𝘨𝘶𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘢 𝘶𝘯 𝘢𝘭𝘵𝘰 𝘶𝘧𝘧𝘪𝘤𝘪𝘢𝘭𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘴𝘶𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘢𝘯𝘥𝘰, 𝘷𝘦𝘯𝘯𝘦 𝘯𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘮𝘪𝘴𝘦𝘳𝘢𝘣𝘪𝘭𝘦 𝘣𝘶𝘤𝘢 𝘪𝘯 𝘤𝘶𝘪 𝘪𝘭 𝘵𝘦𝘯𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘤𝘰𝘭𝘰𝘯𝘯𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘡𝘢𝘤𝘤𝘩𝘪, 𝘢𝘷𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘦 “𝘵𝘪𝘳𝘢𝘱𝘪𝘦𝘥𝘪” 𝘪𝘭 𝘴𝘰𝘵𝘵𝘰𝘴𝘤𝘳𝘪𝘵𝘵𝘰, 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢 𝘧𝘪𝘴𝘴𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘴𝘶𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘢𝘯𝘥𝘰. 𝘐𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘵𝘦𝘥𝘦𝘴𝘤𝘰, 𝘦𝘴𝘱𝘳𝘪𝘮𝘦𝘯𝘥𝘰𝘴𝘪 𝘯𝘦𝘭 𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘰𝘳𝘦 𝘪𝘵𝘢𝘭𝘪𝘢𝘯𝘰 𝘥𝘪 𝘤𝘶𝘪 𝘦𝘳𝘢 𝘤𝘢𝘱𝘢𝘤𝘦, 𝘦𝘭𝘰𝘨𝘪ò 𝘭’𝘦𝘳𝘰𝘪𝘤𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘰𝘳𝘵𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘉𝘢𝘵𝘵𝘢𝘨𝘭𝘪𝘰𝘯𝘦 “𝘊𝘪𝘷𝘪𝘥𝘢𝘭𝘦” 𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘴𝘶𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘢𝘯𝘥𝘢𝘯𝘵𝘦 𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘴𝘦𝘨𝘯ò 𝘢𝘭 𝘤𝘰𝘭𝘰𝘯𝘯𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘡𝘢𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘭𝘢 𝘤𝘳𝘰𝘤𝘦 𝘥𝘪 𝘧𝘦𝘳𝘳𝘰 𝘥𝘪 𝘴𝘦𝘤𝘰𝘯𝘥𝘢 𝘤𝘭𝘢𝘴𝘴𝘦 𝘢𝘭 𝘷𝘢𝘭𝘰𝘳 𝘮𝘪𝘭𝘪𝘵𝘢𝘳𝘦, 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘦 𝘢𝘨𝘨𝘪𝘶𝘯𝘴𝘦 “𝘱𝘦𝘳 𝘪 𝘷𝘢𝘭𝘰𝘳𝘰𝘴𝘪 𝘢𝘭𝘱𝘪𝘯𝘪”, 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘴𝘦 𝘵𝘦𝘴𝘵𝘶𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦, 𝘵𝘳𝘦𝘯𝘵𝘢 𝘣𝘰𝘵𝘵𝘪𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘥𝘪 𝘱𝘳𝘦𝘨𝘪𝘢𝘵𝘰 𝘷𝘪𝘯𝘰 𝘣𝘪𝘢𝘯𝘤𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘙𝘦𝘯𝘰, 𝘢𝘤𝘤𝘶𝘳𝘢𝘵𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘱𝘳𝘰𝘵𝘦𝘵𝘵𝘦 𝘤𝘰𝘯 𝘶𝘯 𝘪𝘯𝘷𝘰𝘭𝘶𝘤𝘳𝘰 𝘥𝘪 𝘱𝘢𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘳𝘰 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘭𝘰 𝘵𝘦𝘳𝘳𝘪𝘣𝘪𝘭𝘦. 𝘐𝘭 𝘤𝘰𝘭𝘰𝘯𝘯𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘡𝘢𝘤𝘤𝘩𝘪, 𝘪𝘯 𝘶𝘯𝘢 𝘣𝘶𝘧𝘧𝘢 𝘱𝘰𝘴𝘢 𝘥𝘪 “𝘲𝘶𝘢𝘴𝘪 𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘵𝘪” (𝘭𝘢 𝘤𝘰𝘱𝘦𝘳𝘵𝘶𝘳𝘢 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘣𝘶𝘤𝘢 𝘦𝘳𝘢 𝘵𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘣𝘢𝘴𝘴𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘷𝘪 𝘴𝘪 𝘱𝘰𝘵𝘦𝘷𝘢 𝘴𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘥𝘳𝘪𝘵𝘵𝘪) 𝘳𝘪𝘯𝘨𝘳𝘢𝘻𝘪ò 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘨𝘦𝘳𝘮𝘢𝘯𝘪𝘤𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘢 𝘥𝘦𝘤𝘰𝘳𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘧𝘦𝘳𝘪𝘵𝘢𝘨𝘭𝘪, 𝘢𝘨𝘨𝘪𝘶𝘯𝘨𝘦𝘯𝘥𝘰, 𝘱𝘦𝘳ò, 𝘤𝘩𝘦 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘱𝘳𝘦𝘧𝘦𝘳𝘪𝘵𝘰 𝘧𝘰𝘴𝘴𝘦 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘤𝘦𝘴𝘴𝘢 𝘢𝘭 𝘣𝘢𝘵𝘵𝘢𝘨𝘭𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘯𝘰𝘯 𝘢 𝘭𝘶𝘪; 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘷𝘪𝘯𝘰, 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘻𝘰𝘯𝘢 𝘦𝘥 𝘪𝘯 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘤𝘪𝘳𝘤𝘰𝘴𝘵𝘢𝘯𝘻𝘦, 𝘦𝘳𝘢 𝘷𝘦𝘳𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘶𝘯 𝘥𝘰𝘯𝘰 𝘱𝘳𝘪𝘯𝘤𝘪𝘱𝘦𝘴𝘤𝘰.
𝘗𝘢𝘳𝘵𝘪𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦, 𝘪𝘭 𝘤𝘰𝘭𝘰𝘯𝘯𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘮𝘪 𝘥𝘪𝘦𝘥𝘦 𝘭’𝘪𝘯𝘤𝘢𝘳𝘪𝘤𝘰 𝘥𝘪 𝘳𝘪𝘱𝘢𝘳𝘵𝘪𝘳𝘦 𝘭𝘦 𝘵𝘳𝘦𝘯𝘵𝘢 𝘣𝘰𝘵𝘵𝘪𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘧𝘳𝘢 𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘢𝘨𝘯𝘪𝘦 𝘦 𝘥𝘪 𝘧𝘢𝘳𝘭𝘦 𝘢𝘳𝘳𝘪𝘷𝘢𝘳𝘦 𝘢 𝘥𝘦𝘴𝘵𝘪𝘯𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦. 𝘓𝘢 𝘴𝘶𝘥𝘥𝘪𝘷𝘪𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦, 𝘪𝘯𝘷𝘦𝘳𝘰, 𝘦𝘴𝘴𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘤𝘪𝘯𝘲𝘶𝘦 𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘢𝘨𝘯𝘪𝘦, 𝘯𝘰𝘯 𝘤𝘰𝘴𝘵𝘪𝘵𝘶𝘪𝘷𝘢 𝘶𝘯 𝘱𝘳𝘰𝘣𝘭𝘦𝘮𝘢 𝘥𝘪𝘧𝘧𝘪𝘤𝘪𝘭𝘦 𝘯𝘦𝘮𝘮𝘦𝘯𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘮𝘦, 𝘥𝘪 𝘤𝘶𝘪 𝘦𝘳𝘢 𝘯𝘰𝘵𝘢 𝘢 𝘡𝘢𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘭𝘢 𝘴𝘤𝘢𝘳𝘴𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘱𝘦𝘯𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘵𝘦𝘮𝘢𝘵𝘪𝘤𝘢. 𝘔𝘢 𝘤𝘢𝘴𝘱𝘪𝘵𝘢, 𝘪𝘯 𝘵𝘢𝘭 𝘮𝘰𝘥𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘴𝘢𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘴𝘵𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘶𝘪, 𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘮𝘦!, 𝘯𝘦𝘢𝘯𝘤𝘩𝘦 𝘶𝘯𝘢 𝘣𝘰𝘵𝘵𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘥𝘪 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘣𝘦𝘭 𝘷𝘪𝘯𝘰 𝘢𝘮𝘣𝘳𝘢𝘵𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪 𝘷𝘦𝘥𝘦𝘷𝘢 𝘵𝘳𝘢𝘭𝘶𝘤𝘦𝘳𝘦, 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘰𝘳𝘰 𝘭𝘪𝘲𝘶𝘪𝘥𝘰, 𝘢𝘵𝘵𝘳𝘢𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘨𝘭𝘪 𝘴𝘱𝘪𝘳𝘢𝘨𝘭𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘪𝘯𝘷𝘰𝘭𝘶𝘤𝘳𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘢𝘷𝘷𝘰𝘭𝘨𝘦𝘷𝘢 𝘪𝘭 𝘷𝘦𝘵𝘳𝘰. 𝘗𝘦𝘳𝘤𝘪ò 𝘧𝘦𝘤𝘪 𝘪𝘭 𝘵𝘰𝘯𝘵𝘰 𝘦 𝘨𝘭𝘪 𝘤𝘩𝘪𝘦𝘴𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘢𝘷𝘳𝘦𝘪 𝘥𝘰𝘷𝘶𝘵𝘰 𝘳𝘪𝘱𝘢𝘳𝘵𝘪𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘵𝘦𝘴𝘰𝘳𝘰; 𝘦 𝘭𝘶𝘪:
“𝘌’ 𝘱𝘳𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰: 𝘵𝘳𝘦𝘯𝘵𝘢 𝘥𝘪𝘷𝘪𝘴𝘰 𝘤𝘪𝘯𝘲𝘶𝘦 𝘧𝘢 𝘴𝘦𝘪, 𝘯𝘰? 𝘚𝘦𝘪 𝘣𝘰𝘵𝘵𝘪𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘢𝘨𝘯𝘪𝘢”.
𝘈𝘭𝘭𝘰𝘳𝘢 𝘴𝘣𝘰𝘵𝘵𝘢𝘪:
“𝘔𝘢 𝘴𝘤𝘶𝘴𝘪, 𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘦𝘪 𝘦 𝘱𝘦𝘳 𝘮𝘦?”
𝘊𝘪 𝘱𝘦𝘯𝘴ò 𝘶𝘯 𝘮𝘰𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘦 𝘱𝘰𝘪 𝘮𝘪 𝘳𝘪𝘴𝘱𝘰𝘴𝘦:
“𝘗𝘦𝘳 𝘭𝘢 𝘷𝘦𝘳𝘪𝘵à 𝘯𝘰𝘯 𝘮𝘪 𝘥𝘪𝘴𝘱𝘪𝘢𝘤𝘦𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘥𝘪 𝘢𝘴𝘴𝘢𝘨𝘨𝘪𝘢𝘳𝘯𝘦 𝘶𝘯 𝘱𝘰’, 𝘦 𝘱𝘦𝘯𝘴𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘯𝘦𝘮𝘮𝘦𝘯𝘰 𝘢 𝘭𝘦𝘪 𝘧𝘢𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦 𝘮𝘢𝘭𝘦 𝘶𝘯 𝘣𝘪𝘤𝘤𝘩𝘪𝘦𝘳𝘦; 𝘮𝘢 𝘷𝘦𝘥𝘢, 𝘯é 𝘪𝘰 𝘯é 𝘭𝘦𝘪 𝘢𝘣𝘣𝘪𝘢𝘮𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘣𝘢𝘵𝘵𝘶𝘵𝘰. 𝘔𝘢𝘯𝘥𝘪𝘢𝘮𝘰𝘭𝘦 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘦 𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘪 𝘱𝘰𝘷𝘦𝘳𝘪 𝘳𝘢𝘨𝘢𝘻𝘻𝘪!”
𝘌 𝘤𝘰𝘴ì 𝘪𝘭 𝘥𝘦𝘴𝘪𝘥𝘦𝘳𝘪𝘰 𝘥𝘪 𝘢𝘴𝘴𝘢𝘨𝘨𝘪𝘢𝘳𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭 𝘷𝘪𝘯𝘰 𝘳𝘪𝘮𝘢𝘴𝘦 𝘵𝘢𝘭𝘦; 𝘦 𝘴𝘪 𝘤𝘩𝘦, 𝘱𝘶𝘳 𝘯𝘰𝘯 𝘢𝘷𝘦𝘯𝘥𝘰 𝘮𝘢𝘵𝘦𝘳𝘪𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢𝘵𝘰 𝘢𝘨𝘭𝘪 𝘢𝘴𝘴𝘢𝘭𝘵𝘪, 𝘭𝘶𝘪 𝘦𝘥 𝘪𝘰 𝘦𝘳𝘢𝘷𝘢𝘮𝘰 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘪𝘯𝘶𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘪𝘯 𝘭𝘪𝘯𝘦𝘢, 𝘤𝘩𝘦 𝘱𝘦𝘳𝘤𝘰𝘳𝘳𝘦𝘷𝘢𝘮𝘰 𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢 𝘴𝘰𝘴𝘵𝘢 𝘦𝘥 𝘪𝘯 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘴𝘦𝘯𝘴𝘪 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘰 𝘦 𝘯𝘰𝘵𝘵𝘦 𝘪𝘯 𝘤𝘦𝘳𝘤𝘢 𝘥𝘪 𝘨𝘳𝘢𝘯𝘢𝘵𝘦 𝘦 𝘱𝘢𝘭𝘭𝘰𝘵𝘵𝘰𝘭𝘦; 𝘦 𝘱𝘰𝘪, 𝘪𝘯𝘧𝘪𝘯𝘦, 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘮𝘢𝘭𝘦𝘥𝘦𝘵𝘵𝘢 𝘵𝘰𝘮𝘣𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘱𝘰𝘴𝘵𝘰 𝘤𝘰𝘮𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘢𝘷𝘢 𝘥𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘭𝘪𝘯𝘦𝘢 𝘥𝘦𝘭 𝘧𝘶𝘰𝘤𝘰 𝘱𝘪ù 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘤𝘦𝘯𝘵𝘪𝘯𝘢𝘪𝘰 𝘥𝘪 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘪!

ᶠᵒᵗᵒ ⁽ᵗᵉⁿ. ᶜᵒˡ. ᴸᵘⁱᵍⁱ ᶻᵃᶜᶜʰⁱ⁾: ʰᵗᵗᵖˢ://ʷʷʷ.ᵇᵉˡˡᵘⁿᵒ.ᵃⁿᵃ.ⁱᵗ/