𝘼 𝙏𝘼𝙑𝙊𝙇𝘼
Mangiavano sempre tutti nella stessa grande scodella, in cerchio, intorno alla tavola rotonda, pescando con il cucchiaio o forchetta, ognuno al suo posto nel cibo. Io li ho visti in sei o sette attorno ad una “ramina” (chiamavano così la ciotolona) e avevano una tal maestria che, a occhio, dividevano il contenuto in parti uguali e difficilmente uno invadeva il posto dell’altro.
In generale il cibo era scarso e i pasti erano due: a mezzogiorno e alla sera; al mattino appena alzati (s’alzavano prima dell’alba) mangiavano un po’ di polenta fredda arrostita sulla brace e rammollita in un po’ di latte; se non c’era polenta, patate cotte nella brace il giorno prima; se non c’erano nemmeno queste, bevevano un po’ di latte e via al lavoro.
Per quelli che si recavano nei pascoli lontano c’erano sempre patate cotte il giorno prima, che si portavano nelle tasche con un po’ di formaggio.
𝙄 𝙁𝙊𝙍𝙉𝙄
Avevano costruito in muratura dei forni: qualcuno si può ancora vedere a Cesariis; ce n’è uno bellissimo: una stanza esagonale, con un forno costruito alla perfezione e posto per la raccolta della cenere. A quei tempi ne avevano uno per ogni famiglia e vi cuocevano focacce di granoturco e segale e, rarissime volte, pane bianco. Un vecchio morto nel 1917, mi raccontava che, in gioventù, aveva visto il pane solo a Tarcento e che anche il granoturco, nel comune, era scarso e la popolazione viveva di patate, fagioli, cavoli, rape e pochissima polenta.
ᵀʳᵃᵗᵗᵒ ᵈᵃ ᵘⁿᵃ ᵈⁱᵈᵃˢᶜᵃˡⁱᵃ ᵖʳᵉˢᵉⁿᵗᵉ ⁿᵉˡ ᵐᵘˢᵉᵒ ᵉᵗⁿᵒᵍʳᵃᶠⁱᶜᵒ ᵈⁱ ᴸᵘˢᵉᵛᵉʳᵃ ⁽ᵁᵈ⁾
ᶠᵒᵗᵒ: ᵐⁱᵃ