Mirisçis

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Sono incappata in un testo di Pasolini, come spesso capita, per puro caso. Si tratta de “I Turcs tal Friúl“, dramma scritto dal poeta di Casarsa nel 1944 completamente in friulano, ma ricomparso solo nel 1976. L’argomento è l’invasione dei turchi in terra friulana, avvenuta nel 1499. Ammetto che ho avuto non poche difficoltà nella lettura e comprensione dello scritto e che sono ricorsa spesso alla traduzione italiana. Ma l’uso di un friulano lontano nello spazio e nel tempo da quello che utilizzo oggi, mi ha intrigato non poco.

E ho cercato riferimenti storici e geografici narrati nell’opera teatrale. Mirisçis, ad esempio. Intuisco dal testo che si tratta di un corso d’acqua e lo cerco sulle mappe. Ma pare svanito oppure rinominato. Allora mi butto sul web e trovo qualche conferma. E’ una roggia, quindi di origine antropica. Ma scovo poco altro. Provo con l’italianizzato 𝙈𝙞𝙧𝙞𝙨𝙘𝙝𝙚 e lo ritrovo in due villotte sempre del Pasolini. A questo punto la curiosità mi rode: ad oggi non ne sono venuta a capo, ma ho sufficiente ‘materiale’ per questo spiegone. Che non tratta di corsi d’acqua.

Vi ho già raccontato delle agane, le creature che popolano fiumi, torrenti e le zone riparie. Hanno solitamente carattere bizzoso e permaloso. Ma ogni paese ha delle ‘agane’ proprie, con peculiarità legate alla geografia o morfologia del territorio. Oppure alle tradizioni religiose o folkloristiche delle genti che ne raccontano. Torniamo a Casarsa e alla roggia Mirisçis. Segue una rilettura/riassunto della narrazione, di cui allego bibliografia a fondo spiegone.

Si narra che nei pressi delle Mirische, la roggia dalle acque limpide, abitino le fate. Sono timide ed escono all’aria aperta solo al tramonto, quando approfittano delle tenebre per lavare tessuti e abiti in lino e canapa. Chi, lungo la strada di rientro a casa, le avvicina anche con le migliori intenzioni, le spaventa e le induce a sparire. Invece non si scompongono quando il viandante prosegue sul sentiero senza rivolgere loro nemmeno uno sguardo.

Una sera d’estate, un giovane contadino rientra piuttosto tardi verso casa. Percorre il sentiero che costeggia la roggia e conduce le vacche che trainano il carro su cui ha appoggiato gli attrezzi. Scorge da lontano le fate, ma fa finta di ignorarle. Loro continuano a lavare e strizzare le tele, ricambiando il disinteresse. Sentendo un rumore di arnesi, si volta a controllare che non gli sia caduto qualcosa dal carro. Ed ecco che, con somma sorpresa, intravvede una delle fate seduta sul suo carro.

Col cuore in gola per l’emozione, conduce il carro verso casa. Ma mentre si avvia verso il portone della rimessa si accorge che la fata è scomparsa. Ovviamente il giovane se ne innamora seduta stante, rincuorato dall’aspetto gentile e mansueto della fata. Ritenta il giorno successivo, andando a raccogliere il fieno nei campi. Ripassa lungo la roggia e, pur vedendo le fate intente alle faccende di lavanderia, non bada loro.

Pochi istanti più tardi sente il fieno scricchiolare e di sottecchi scorge la fata nuovamente seduta sul carro. Ma, come la sera precedente, al momento di entrare nel cortile, la fata è scomparsa. Lui non si perde d’animo e predispone i lavori nei suoi terreni in modo da ripassare ogni sera per la roggia. Immancabile, la fata si fa vedere seduta sul carro, fino all’arrivo alla fattoria, per poi sparire.

Ogni gioco è bello se dura poco, si sarà detto il giovane. Per la trepidazione si rivolge al un vecchio saggio che, consultato un libro antico colmo di conoscenza, riferisce al giovane che, per avere in sposa la fata, deve compiere alcuni gesti e rispettare le indicazioni scritte nel libro. Dovrà chiedere il fazzoletto del giorno “di festa” a sua madre e allargarlo sul giogo delle vacche, quando percorrerà il sentiero della roggia. Al rientro, mentre attraverserà il portone, dovrà dimostrarsi disinteressato e noncurante ed evitare di controllare che la fata sia ancora seduta sul carro. Farà entrare le vacche e il carro nella rimessa e richiuderà velocemente il portone dietro al carro.

A quel punto la fata non potrà più fuggire e acconsentirà a sposare il giovane. Ma non dovrà mai subire alcun torto o offesa fisica dal giovane, o sparirà per sempre.

Quanto pronosticato dal vecchio saggio, avviene: i due giovani si sposano e vivono felici, in un’ampia casa benedetta da numerosi figli. Mamma fata racconta loro ogni sera, con velata nostalgia, leggende di fate, boschi e corsi d’acqua. Durante il giorno la fata prende l’abitudine di uscire di casa almeno una volta per farsi una passeggiata nei dintorni della roggia da cui proveniva. Raccoglie erbe di campo, spezie, bacche e noci, tutti ottimi ingredienti per una cena succulenta.

Una sera, al momento di tornare a casa, si accorge di essersi attardata un po’ troppo, ma non si aspetta il marito adirato per il rientro. Invece lui è reduce da una giornata pessima e ancora non si è abituato alle brevi ma costanti assenze della moglie. Le rifila un ceffone; lei sbalordita gli rivolge uno sguardo incredulo e sparisce. Lui, resosi conto di aver compiuto un gesto spregevole e irreparabile, la chiama e la cerca disperato. Per anni. Lei non si farà mai più vedere.

Ma si racconta che nel cuore della notte, la fata si presenta nella cameretta dei figli, infonde serenità ai loro sonni agitati e rimbocca le loro coperte. Le fate delle Mirisçis non saranno mai più viste nè udite sulle rive della roggia.

Bibliografia: https://www.progettobabele.it/rubriche/showrac.php?id=7461

Estratto de "I Turcs tal Friúl" dove si accenna a le Mirisçis
Estratto de “I Turcs tal Friúl” dove si accenna a le Mirisçis