𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Sono sicura, anzi, mi auguro (mal comune, mezzo gaudio) che vi si capitato di portare a spasso il cane e di ritrovarvelo a casa coperto di palline fastidiosissime, uncinate, che non vogliono saperne di staccarsi dal pelo del quadrupede. In Friuli VG annoveriamo numerose specie di piante che hanno adottato la disseminazione zoocora – disperdono i propri semi grazie agli animali – per allargare il proprio areale di distribuzione. La nappola orientale o italiana (𝘟𝘢𝘯𝘵𝘩𝘪𝘶𝘮 𝘰𝘳𝘪𝘦𝘯𝘵𝘢𝘭𝘦 oppure 𝘟𝘢𝘯𝘵𝘩𝘪𝘶𝘮 𝘪𝘵𝘢𝘭𝘪𝘤𝘶𝘮) è una di queste.
La pianta è alloctona, neofita invasiva, originaria dell’America. In Italia si è naturalizzata in tutte le regioni e la troviamo ad altitudini tra i 0 e gli 800 mt. s.l.m. La incontriamo soprattutto lungo i litorali sabbiosi (dove rappresenta la prima forma di colonizzazione vegetale ed è ormai componente fondamentale dell’habitat chiamato “dune embrionali mobili”), in ambienti ruderali, in coltivi irrigui, ma anche incolti e discariche. Il terreno dev’essere limoso-argilloso, umido e riccamente azotato, come ad esempio le aree destinate agli allevamenti di bestiame, dove la nappola cresce rigogliosa.
La nomenclatura binomiale ci potrebbe suggerire la provenienza della pianta, non fosse che quell'”italicum” è ingannevole. Più realistico l’epiteto “orientale”, intendendo il Nuovo Mondo. Invece il nome generico ne svela uno dei possibili utilizzi. Il termine greco ‘ξανϑóς xanthós’ significa ‘giallo’ e proprio quello è il colorante contenuto nel vegetale. Il nome comune è una storpiatura del termine “lappa”, usata da Virgilio per indicare tutti quei frutti che si appigliano al pelo animale; a breve lo spiegone sull’𝘈𝘳𝘤𝘵𝘪𝘶𝘮 𝘭𝘢𝘱𝘱𝘢.
La descrizione particolareggiata delle parti vegetali ve la risparmio. Mi soffermo solo sul 𝙛𝙧𝙪𝙩𝙩𝙤, croce e delizia degli escursionisti. Il termine specifico per indicarlo è “𝘤𝘢𝘵𝘰𝘤𝘭𝘦𝘴𝘪𝘰”, contiene due soli semi ed è coperto da uncini che agguantano ogni superficie minimamente irregolare: tessuti, capelli, peli. Quando l’involontario ‘tassista’ si accorge del clandestino, solitamente lo getta a terra. A meno che non si tratti di animale a pelo lungo, nel qual caso sono fastidi e parlo per esperienza personale.
Ma ammettiamo che il frutto sia caduto in terreno fertile, e non nel bidone dell’umido. I semi contenuti nel frutto sono solamente due e di dimensioni diverse, e già questa caratteristica è insolita, nel mondo vegetale. Ma è la 𝙜𝙚𝙧𝙢𝙞𝙣𝙖𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚, cioè il processo per cui dal seme fuoriescono dapprima le radici – che fuggono dalla fonte luminosa – e poi le cotiledoni – che si allungano verso la fonte luminosa – ad essere singolare. Le 𝙘𝙤𝙩𝙞𝙡𝙚𝙙𝙤𝙣𝙞 sono delle foglioline embrionali, contenute già nel seme. Al momento di germinare, mentre il seme è magari ancora coperto da foglie, lettiera o terriccio, le cotiledoni forniscono alla pianta il nutrimento sufficiente per raggiungere la luce del Sole (o altra fonte luminosa) e iniziare ad autoprodurre nutrimento tramite la fotosintesi clorofilliana. Le cotiledoni appassiscono quando iniziano a spuntare le prime foglioline, avendo esaurito la loro funzione.
Torniamo al frutto della nappola orientale, che è sta per germinare nel terreno. Il seme più grande fissa le proprie radichette nel terreno e solleva il frutto uncinato. Non appena gli sono cresciute le cotiledoni, lascia cadere al suolo il frutto, che contiene ancora il seme più piccolo, alloggiato nella parte più spessa, e difficile da forare, dell’involucro uncinato. Il secondo seme entrerà in azione solo l’anno successivo. Si prenderà tutto il tempo necessario per ‘ammorbidire’ il guscio che lo contiene e per affrontale la faticosa germinazione. Quando anche il germoglio del secondo seme avrà messo le cotiledoni, il frutto (il guscio) ricadrà a terra ormai vuoto.
La pianta è tossica, ma mancano a tal proposito studi approfonditi e casistiche scientifiche. In cucina è comunque stata utilizzata, ma con estrema moderazione. Pare che il sapore sia gradevole, ma il fatto che gli erbivori la evitino, la dice lunga sull’innocuità della nappola orientale. Maiali e cinghiali se ne cibano occasionalmente, procurandosi notevoli disagi, fino alla morte; ma anche in questo campo specifico mancano osservazioni attendibili.
La medicina popolare invece ne esalta alcuni aspetti: pare avere proprietà diuretiche, antispastiche, analgesiche, antireumatiche, antibatteriche, astringenti (ma anche lassative) e sudorifere. In Turchia è usata in caso di malattie del sistema nervoso centrale; in Europa, più prosaicamente, era utilizzata per attenuare il prurito causato da foruncolosi. La polvere essiccata è un ottimo repellente contro coleotteri fitofagi.
A inizio spiegone ho accennato al colore giallo. Dalle foglie si estraeva un colorante che tingeva i capelli di biondo e i tessuti di giallo. Invece dai semi, il colore estratto era il blu.
ᶠᵒᵗᵒ: ᴹᵃʳⁱⁿᵉˡˡᵃ ᶻᵉᵖⁱᵍⁱ ᵖᵉʳ ᴬᶜᵗᵃ ᴾˡᵃⁿᵗᵃʳᵘᵐ