Oggi si festeggia san Giovanni Battista e secondo numerose credenze e tradizioni popolari, succedono cose straordinarie nelle notti prima e dopo tale ricorrenza. Magari ve ne accenno in futuro; invece oggi vorrei parlarvi di una pianta maestosa e ampiamente presente lungo il limitare dei campi coltivati, che si erge s̲o̲l̲i̲t̲a̲r̲i̲a̲ nel bel mezzo di prati e pascoli: il 𝙣𝙤𝙘𝙚 (𝘑𝘶𝘨𝘭𝘢𝘯𝘴 𝘳𝘦𝘨𝘪𝘢) che col santo c’entra e lo scoprirete.
La nomenclatura binomiale si è sbizzarrita, assegnando alla pianta un nome generico che fa riferimento alle ‘ghiande di Giove’ (‘Jovis glans’), mentre quello specifico ribadisce la regalità (‘regia’), sempre di Giove.
E’ originaria dell’Europa meridionale e Asia occidentale e in Friuli VG è dichiarata “𝘢𝘭𝘭𝘰𝘤𝘵𝘰𝘯𝘢 𝘯𝘢𝘵𝘶𝘳𝘢𝘭𝘪𝘻𝘻𝘢𝘵𝘢” che equivale a dire che si è insediata con successo, e senza recare danni alle specie autoctone, in un areale diverso da quello di origine. Molto probabilmente fu l’uomo preistorico ad introdurlo nell’Europa settentrionale, tant’è che se ne trovano tracce in siti archeologici risalenti al 𝙉𝙚𝙤𝙡𝙞𝙩𝙞𝙘𝙤 (9000 anni fa).
Preferisce latitudini tra 0 e 1200 mt. s.l.m. e terreni “disturbati” (da fenomeni naturali o attività agricole), umidi e leggermente basici-calcarei, ricco di sostanza organica.
Il tronco, se la pianta vegeta nel suo optimum, può raggiungere i 2 mt. di diametro e la pianta intera i 30 mt. di altezza. Vive a lungo; si contano esemplari plurisecolari, ma la produttività si riduce a 50 anni di media.
Il legno, bruno scuro e molto venato, è apprezzato per la sua durezza e durevolezza, soprattutto come pavimentazioni e per farne mobilio.
Ha foglie caduche, di forma ovale e colore verde chiaro. Il frutto del noce si chiama – guarda caso – noce ed è avvolta dall’esocarpo carnoso (il “mallo”) e contiene il seme, costituito da due valve che contengono il gheriglio. Quest’ultimo è estremamente ricco di lipidi e presenta un basso indice ipoglicemico, tanto da considerarlo un alimento benefico e nutriente.
Il 𝙢𝙖𝙡𝙡𝙤 è la parte che ci interessa, specie il 24 giugno. Infatti, in questi giorni, il rivestimento carnoso della noce è ancora acerbo, biancastro, sodo e consistente. Per farne un nocino squisito, le noci vanno raccolte proprio il giorno di 𝙎𝙖𝙣 𝙂𝙞𝙤𝙫𝙖𝙣𝙣𝙞 𝘽𝙖𝙩𝙩𝙞𝙨𝙩𝙖. La ricetta che uso solitamente è questa: 25/30 noci intere con mallo, 1 lt. di grappa bianca non aromatizzata, 3 chiodi di garofano, una stecca di cannella, 250 gr. di zucchero. Divido (coprendomi le mani con guanti) in 4 spicchi la noce e la lascio macerare con la grappa, unitamente agli altri ingredienti, in un contenitore stagno per 3 mesi, scuotendolo ogni 2/3 settimane. Dopo minimo tre mesi e massimo un anno il nocino è pronto. Come digestivo a fine pasto ha il suo perché.
A inizio spiegone ho sottolineato l’essenza solitaria del noce. Difficile, se non impossibile, trovare due noci contigui. Ed è altrettanto raro trovare anche altre piante che circondano il noce. Questo fenomeno è chiamato “𝘢𝘭𝘭𝘦𝘭𝘰𝘱𝘢𝘵𝘪𝘢”, cioè la capacità che ha la radice del noce di produrre sostanze in grado di inibire lo sviluppo e crescita di altre pianta. Il noce vuole tutte per sè le sostanze nutritive contenute nel terreno, gli ampi spazi e tutti i raggi del Sole disponibili. Le sostanze prodotte dalle piante allelopatiche si chiamano rizotossine. Quella nel noce è lo 𝙟𝙪𝙜𝙡𝙤𝙣𝙚 e agisce in un raggio di 40 cm sul metabolismo di piante erbacee e di 20 mt su altri noci.
I Romani tenevano in bassissima considerazione quella imponente ma solitaria pianta. Le sue noci causavano il colera ed erano utili solo come cibo di scarto per i maiali. Al limite le si potevano gettare addosso a una coppia di sposi per far loro assaggiare i futuri disagi e fastidi provati dalla vita matrimoniale.
Col tempo le qualità del noce vennero rivalutate: lo si piantava alla nascita di una figlia. Il lento tasso di crescita determina una qualità superiore del legname. Tagliando quindi la pianta al momento del matrimonio della figlia, se ne vendeva il prezioso legno e se ne ricavava la dote necessaria a concludere nozze fortunate e felici.
Nei paesi tedescofoni esiste il termine “Glücksnuss”, inteso come ‘noce fortunata’. Si tratta di un frutto composto da tre sezioni (e non dalle due solite), piuttosto raro da trovare. Qualora ci si imbattesse in una di queste rarità, bisogna conservarla e portarla sempre addosso, come portafortuna.
Con un decotto delle foglie di noce, si preparava – così racconta il folklore popolare – una tintura da applicare sul pelo di cavalli e vacche. L’odore pare essere repellente per gli insetti ematofagi (che si nutrono di sangue).
Ricordo che con le noci viene prodotto anche un olio, utilizzato nell’industria alimentare e cosmetica e come siccativo nella pittura ad olio. Anche il mallo è usato nella cosmesi, come colorante per capelli. A tal proposito, sottolineo che a toccare il mallo con mani nude, vi ritroverete la pelle chiazzata di bruno e le unghie scurite fino alla loro ricrescita.
Un ultimo aneddoto popolare: una coppia di futuri sposi getti due metà di noci secche nel fuoco. Se scoppiettano, l’unione sarà travagliata. Se invece ardono in silenzio, il matrimonio sarà felice e prospero.
ᶠᵒᵗᵒ: ᴬⁿᵈʳᵉᵃ ᴹᵒʳᵒ ᵖᵉʳ ᴰʳʸᵃᵈᵉˢ