𝙴𝙼𝙸𝙶𝚁𝙰𝚉𝙸𝙾𝙽𝙴
Quando la neve si scioglieva e l’aria dava i primi segni di primavera, gli uomini emigravano. Partivano per la via dei monti a piedi, seguendo sentieri a volte impraticabili ed andavano senza meta, chiedendo lavoro in ogni paese dove arrivavano. Facevano: il fornaciaio, il manovale, lo spaccapietre, il boscaiolo, il muratore, lo scalpellino, ecc.
Nel cammino tenevano per lo più l’Est – Nord: Pian di Uccea, Saga, Plezzo e via via fino a Villacco, e questa città fu, per molti anni, il punto di arrivo degli emigranti dell’Alta Valle del Torre.
Nel 1916, se qualche vecchio vedeva una fotografia della città esultava e gridava: “Guarda guarda, qui ho lavorato io, questo palazzo m’ha visto muratore, o manovale, queste pietre le ho scalpellate io, Villacco è stata costruita un po’ alla volta tutta da noi!”
Più volentieri però si fermavano prima di Villacco.
Finita la stagione, tornavano al paesello col gruzzolo e compravano granoturco perché nella terra della valle se ne coltivava e si coltiva assai poco.
Più tardi, quando i mezzi di comunicazione lo permisero e cominciarono a correre i primi treni da Villacco, si sparsero per il mondo.
Come prima però non avevano meta. Partivano col proposito di andare a lavorare e tornare quando il sacchetto fosse pieno. Usavano custodire le monete in un sacchetto di pelle (centimetri 10×20) cucito con spago e legato con una correggia.
Il rientro dal lavoro non aveva né stagione né data. Vi furono emigranti che tornavano anche dopo cinque o dieci anni di permanenza all’estero e di quelli che non tornavano più, specialmente quando, più tardi, poterono recarsi in America.
Lavoratori indefessi ed intelligenti, non temevano la fatica, accettavano e sopportavano l’umiliazione, erano onesti e fedeli.
Preferivano tornare sempre dallo stesso padrone, amavano la loro casa, il paese e facevano del loro meglio per ritornare ad ogni fine contratto o stagione.
Si spinsero a lavorare fino in Romania, in Bosnia, Ungheria, Austria, Germania, Turchia, nel Caucaso, in Russia e perfino in Siberia, a fare il boscaiolo, lavorare nella neve in ogni stagione, costretti a difendersi dai lupi che infestavano la zona e a lavorare armati fino ai denti ed imbaccuccati in cappotti di pelo per ripararsi dal freddo eccessivo al quale non erano abituati.
In primavera gli uomini lasciavano a malincuore il paese e lo facevano perché spinti dalla dura necessità, portando seco i figli giovinetti, anche di undici anni; ma l’età considerata buona per l’emigrazione era il quattordicesimo anno. I giovani venivano adibiti a lavori nelle fornaci o come manovali, ma tutti desideravano apprendere il mestiere di muratore.
D’inverno facevano il possibile per rientrare in famiglia. Erano camminatori instancabili ed arditi, nessuna difficoltà li arrestava. Ma la caratteristica di questa gente era ed è l’amore per la famiglia, l’amore fraterno, il rispetto per l’autorità paterna e l’aiuto reciproco che si prodigavano anche fra i non parenti.
ᴰⁱᵈᵃˢᶜᵃˡⁱᵃ ᵖʳᵉˢᵉⁿᵗᵉ ⁿᵉˡ ᴹᵘˢᵉᵒ ᵉᵗⁿᵒᵍʳᵃᶠⁱᶜᵒ ᵈⁱ ᴸᵘˢᵉᵛᵉʳᵃ ⁽ᵁᵈ⁾
La foto ritrae Giovanni Domenico Micottis di Lusevera. Emigrò alla fine dell’800 in Austria (Graz), come scalpellino stagionale, rientrando definitivamente negli anni Venti.
ᶠᵒᵗᵒ: ʷʷʷ.ⁱᵖᵃᶜ.ʳᵉᵍⁱᵒⁿᵉ.ᶠᵛᵍ.ⁱᵗ