Pestât di Fagagna

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Che Fagagna fosse uno dei borghi più belli d’Italia (dal 2006), lo sanno in tanti, ma che ospiti anche uno dei Presidi Slow Food, è un dato già meno noto. Premetto fin da subito che il prodotto non rientra nel mio regime alimentare e che per lo spiegone mi sono affidata a vari siti e testimonianze indirette. Sarete voi a dirmi se le informazioni sono corrette e se il prodotto rispecchia l’eccellenza di cui – suppongo giustamente – si vanta. E’ arrivato i momento del Pestât di Fagagna.

Il 2006 ha portato doppiamente fortuna al comune del collinare friulano: il condimento in oggetto è stato inserito tra i Presidi del Friuli VG nello stesso anno. Vi ricordo brevemente lo scopo del progetto Slow Food: la tutela dei prodotti tradizionali legati ai luoghi e ai saperi e della filiera della produzione, dalla custodia e riscoperta della materia prima al recupero delle professioni ad essa legata, la conservazione della biodiversità del territorio che la genera, la valorizzazione e promozione dei Presidi al di fuori delle aree di produzione.

Torniamo a Fagagna, situata lungo il cordone morenico che caratterizza la pedemontana friulana. Per la sua posizione centrale ha assistito per secoli ad transiti più o meno pacifici di popoli dell’est e del nord, a invasioni, faide, giochi di potere e guerre. L’economia era basata su agricoltura e allevamento, fino all’avvento del fenomeno migratorio degli anni ’60 e ’70. Nonostante il rapido declino delle piccole realtà produttive, soprattutto a conduzione famigliare, a beneficio di attività artigianali e industriali, si sono mantenute salde le tradizioni legate alla ben nota scuola di norcineria di Fagagna.

La vicinanza geografica con San Daniele del Friuli ha sicuramente contribuito alla capacità di resistenza e recupero dell’antico mestiere di “purcitâr”, il norcino. Il commercio di maiali a Fagagna era stato introdotto da Napoleone, mentre il mestiere del norcino lo si imparava da adolescenti e lo si esercita su richiesta. Le famiglie che intendevano trasformare il proprio maiale in prodotti alimentari, pagavano il “purcitâr” perché esercitasse il suo mestiere, fatto di esperienza, conoscenza e piccole accortezze.

Nasce così il Pestât. Un impasto di lardo macinato, erbe aromatiche e spezie, conservato – allora – in un budello di maiale o – al giorno d’oggi – in barattoli di vetro. Il lardo deriva da maiali allevati allo stato semibrado, alimentati naturalmente, in piccoli allevamenti rigorosamente locali. Al macinato fino sono aggiunti un trito di carote, sedano e cipolla e una miscela sapientemente assortita di salvia, rosmarino, porro, aglio e prezzemolo. Si ultima l’opera mescolando all’impasto sale, pepe, cannella e pimento. Il lardo, il sale e il pepe fanno sì che le verdure del trito non sviluppino processi fermentativi. Mentre la progressiva riduzione dell’acqua contribuisce alla conservazione dell’impasto.

Posto infine nel budello, è poi appeso in cantine umide e fresche, per una stagionatura che dura da 30 giorni a un anno. Una volta aperto il budello, anche prima della stagionatura ultimata, il Pestât dev’essere conservato sott’olio.

Il condimento nacque dall’esigenza di utilizzare tutte le parti del maiale macellato (“dal purcìt no si bute vie nuje”), di poter conservare a lungo i prodotti autunnali degli orti famigliari e consumare il lardo insaporito fino alla successiva stagione di macellazione. L’obiettivo, allora, fu raggiunto e la produzione moderna, forte del sostegno di Slow Food e degli apprezzamenti univoci degli estimatori, è portata avanti da due produttori di Fagagna. Si tratta di Mario Lizzi, macellaio, e dell’agriturismo “Casale Cjanor” di Luigina e Margherita Missana.

Il Pestât tradizionale presenta colore bianco, con screziature che vanno dal verde all’arancione. Di recente si è aggiunta la versione “rossa” ottenuta aggiungendo all’impasto del pomodoro. L’abbinamento di quest’ultimo è perfetto con sughi per pasta o come condimento spalmabile su bruschette.

Torniamo alla variante tradizionale, che come detto sopra, è un condimento. Lo si soffrigge a fuoco lento. Il lardo deve sciogliersi, evitando di bruciare le verdure che così possono sprigionare i loro sapori come se fossero appena state raccolte. Lo si aggiunge a minestroni, alla brovada, a carni in umido, a patate al forno, a risotti, a legumi e a sughi. I palati raffinati suggeriscono di appoggiare una fettina tagliata sottile su una fetta di pane lasciata scaldare sulla piastra dello “spolert”. Va accompagnato con un vino spumante, metodo classico, che contrasta la grassezza del lardo e sottolinea l’aromaticità del gusto.

La filiera e produzione moderna si svolge tra novembre e marzo. E’ regolamentata da un disciplinare rigoroso, che non transige sulla provenienza (che dev’essere locale) dei maiali e la loro alimentazione (naturale e priva di ogm). Tutto ciò per contrastare l’uso sempre più massiccio da parte della norcineria friulana di animali provenienti dall’estero. Slow Food appoggia in toto il disciplinare adottato dai due produttori, incentivando l’uso del Pestât di Fagagna anche nella ristorazione oltreconfine.

Attendo – ormai dovreste saperlo – vostri graditi apprezzamenti e riscontri personali.

Pestât di Fagagna
Pestât di Fagagna