𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Gli anfibi sono una classe di vertebrati la cui sopravvivenza è gravemente minacciata da numerosi fattori. La IUCN (l’organizzazione mondiale che studia lo stato di benessere – o malessere – e di conservazione delle specie viventi mondiali) ha evidenziato come gli habitat che ospitano gli anfibi – pozze, stagni, ruscelli, torbiere, le cosiddette aree umide – siano sempre meno e sempre meno ospitali.
All’indirizzo: http://www.iucn.it/liste-rosse-italiane.php potete consultare le Liste Rosse, cioè l’elenco delle specie viventi in Italia a rischio di estinzione più o meno grave e immediato.
L’elenco è preoccupante e lascia posto a un risicato entusiasmo per le poche specie che effettivamente, dal 2013 ad oggi, hanno visto abbassarsi il loro livello di rischio.
Alcune specie animali che in questi ultimi anni possono godere di migliori condizioni di vita, soprattutto grazie a mirate campagne di protezione, informazione e gestione, sono il lupo, il gatto selvatico, la lontra, il nibbio bruno, il grifone. Altre sono finite in categorie “peggiorative”, con indici di salute e conservazione più preoccupanti rispetto al 2013. Alcuni esempi: la vipera di Orsini, il francolino di monte, il fagiano di monte, la cicogna nera, il cuculo, l’aquila di Bonelli, il martin pescatore, il topolino delle risaie e la balenottera comune.
Ma per gli anfibi, di cui un buon 40% delle specie mondiali è a elevatissimo rischio di estinzione, c’è qualche speranza. Uno studio svizzero si è chiesto se basti ricollocare nicchie abitative e trofiche in alcuni punti strategici, per vedere tornare a crescere le popolazioni anfibie.
Vi ricordate “if you build it, he will come” (se lo costruisci, lui tornerà)? Sembra che sia davvero sufficiente ripristinare lo stato di salubrità degli habitat di rane, rospi, salamandre e tritoni per vederli tornare.
Nel canton Argovia è stato avviato vent’anni fa uno studio su larga scala, che prevedeva la costruzione ad hoc di stagni, piccole pozze e riserve di acqua laddove quelli originari si erano prosciugati, per l’elevata antropizzazione e i cambiamenti climatici, oppure resi inospitali, per colpa di immissioni di sostanze nocive.
Nel secolo scorso in Svizzera, più del 90% delle aree umide ospitanti anfibi, sono scomparse. Invece nei 422 stagni creati appositamente a partire dal 2013, accanto a quelli recuperati e restituiti alla natura, si è verificato un incremento incontrovertibile: il numero di stagni (naturali o artificiali) occupati dagli anfibi presi in esame, è aumentato decisamente nell’arco dei 20 anni di studio.
In media, 10 stagni su 12 sono stati colonizzati da anfibi. Il 52% della popolazione di anfibi appartenenti alle 8 specie esaminate è cresciuta notevolmente, e il 32% è rimasto stabile.
Helen Moor, ecologista presso l’Istituto elvetico Forschung für Mensch und Welt (WSL) e autrice dello studio afferma: “𝘌’ 𝘶𝘯𝘢 𝘲𝘶𝘦𝘴𝘵𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘮𝘰𝘭𝘵𝘰 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘭𝘪𝘤𝘦: 𝘧𝘢𝘪 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘰𝘴𝘢 𝘥𝘪 𝘱𝘰𝘴𝘪𝘵𝘪𝘷𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘭𝘦 𝘴𝘱𝘦𝘤𝘪𝘦 𝘦 𝘯𝘰𝘯 𝘱𝘶𝘰𝘪 𝘥𝘢𝘷𝘷𝘦𝘳𝘰 𝘧𝘢𝘭𝘭𝘪𝘳𝘦. 𝘈𝘷𝘳à 𝘴𝘪𝘤𝘶𝘳𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘲𝘶𝘢𝘭𝘤𝘩𝘦 𝘦𝘧𝘧𝘦𝘵𝘵𝘰 𝘱𝘰𝘴𝘪𝘵𝘪𝘷𝘰 𝘴𝘶 𝘢𝘭𝘤𝘶𝘯𝘦 𝘥𝘪 𝘭𝘰𝘳𝘰”.
Che sia il caso di darle ascolto?
ᶠᵒᵗᵒ ⁽ʳᵒˢᵖⁱ ᴺᵃᵗᵗᵉʳʲᵃᶜᵏ ⁻ ᴱᵖⁱᵈᵃˡᵉᵃ ᶜᵃˡᵃᵐⁱᵗᵃ⁾: ᶜʰʳⁱˢᵗᵒᵖʰ ᴮüʰˡᵉʳ