𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Il 𝙨𝙚𝙣𝙚𝙘𝙞𝙤 (o senecione) 𝙙𝙞 𝙁𝙪𝙘𝙝𝙨 (𝘚𝘦𝘯𝘦𝘤𝘪𝘰 𝘰𝘷𝘢𝘵𝘶𝘴) è un appariscente pianta che fiorisce in questo periodo. Predilige i sottoboschi di faggete e abetaie, al limite delle radure, mai in piena esposizione solare, nella fascia montana del Friuli VG, fino a 1400 mt. s.l.m. In aree con climi meno rigidi può raggiungere altitudini fino a 2200 mt. s.l.m. Cresce su suoli umidi e ombreggiati, freschi, ai bordi di ruscelli, su substrati ricchi di humus e di matrice silicea (flyschoidi), evitando quelli carbonatici.
La pianta è piuttosto appariscente, sia per l’altezza che può raggiungere e superare il metro, che per le infiorescenze, di un colore giallo intenso e somiglianti alle classiche margherite. In effetti, sia il senecio di Fuchs che la margherita (𝘓𝘦𝘶𝘤𝘢𝘯𝘵𝘩𝘦𝘮𝘶𝘮 𝘷𝘶𝘭𝘨𝘢𝘳𝘦) appartengono alla stessa famiglia delle 𝘈𝘴𝘵𝘦𝘳𝘰𝘪𝘥𝘦𝘢𝘦. E come le cugine, anche il senecio presenza capolini fioriti che in realtà sono una struttura composta da più fiori. Quelli del raggio, detti “ligulati” (perché ricordano la forma della lingua) sono solitamente 5 o 6, di colore giallo e lunghi fino a 15 mm. Quelli del disco centrale, chiamati “tubulosi” per la loro struttura cilindrica, sono più numerosi, da 8 a 14, e assumono, con la maturazione, colori tendenti al marrone scuro.
L’impollinazione avviene grazie agli insetti (è quindi entomogama), soprattutto farfalle diurne e notturne. A fioritura ultimata, si formano quindi dei frutti (detti acheni) che sono sormontati da pappi, cioè dei peletti bianchi, simili a paracaduti, che facilitano la dispersione tramite il vento (dispersione anemocora). Una volta caduti a terra, ci penseranno le formiche (dispersione mirmecora) a trasportare i semi ancora più lontano dalla pianta madre. Ma anche gli animali di stazza più decisa contribuiscono a spargere i semi del senecio di Fuchs: i pappi sono dotati di minuscoli arpioncini che si ancorano alla pelliccia della bestia.
Sono proprio i pappi, cioè l’insieme della peluria bianca che ricopre i fiori ormai secchi, a dare il nome generico alla pianta. Senecio deriva dal latino “senex” = anziano. I capolini sfioriti ricordano cioè la testa canuta di un vecchio. Invece quello specifico si riferisce alla forma di alcune sue parti vegetali. Non si sa con certezza a quale parte si riferisse il tassonomista che assegnò il nome specifico alla pianta. Potrebbero essere i fiori ligulati, che assomigliano a un uovo ( = 𝘰𝘷𝘢𝘵𝘶𝘴), oppure le foglie. Infine il nome comune è una dedica al botanico Leonhart Fuchs (Wemding, 17 gennaio 1501 – Tubinga, 10 maggio 1566), padre fondatore della botanica tedesca.
Nei paesi germanofoni è chiamato comunemente “𝘎𝘳𝘦𝘪𝘴𝘴𝘬𝘳𝘢𝘶𝘵” (erba degli anziani) a confermare l’aspetto singolare della pianta nella sua livrea autunnale.
La pianta è tossica per la presenza dell’alcaloide “𝘴𝘦𝘯𝘦𝘤𝘪𝘰𝘯𝘪𝘯𝘢”, resine e sali potassici. La sua tossicità si manifesta a distanza di tempo dall’ingestione, con danni al fegato e al tratto gastrointestinale. Pare sia anche cancerogena e che provochi diarrea, vomito, inappetenza. Masticare le parti vegetali della pianta può provocare irritazione della pelle attorno alla bocca, lingua gonfia e labbra irritate.
La letteratura popolare ci tiene a sottolineare che la pianta è estremamente tossica per i gatti.
Poiché la pianta è visitata anche da altri impollinatori, oltre che dalle farfalle – nello specifico da api mellifere – il miele prodotto da tali insetti può contenere l’alcaloide sopra indicato. Ma anche il latte prodotto da vacche al pascolo, che abbiano ingerito il senecio di Fuchs, può presentare tracce della sostanza tossica.
La medicina popolare utilizzava gli estratti della pianta come diuretico e cicatrizzante. Invece di recente è stata scoperta la proprietà emmenagoga (che migliora e stabilizza il flusso mestruale) della pianta.
Un cugino del nostro senecio di Fuchs, il 𝙨𝙚𝙣𝙚𝙘𝙞𝙤 𝙖𝙛𝙧𝙞𝙘𝙖𝙣𝙤 (𝘚𝘦𝘯𝘦𝘤𝘪𝘰 𝘪𝘯𝘢𝘦𝘲𝘶𝘪𝘥𝘦𝘯𝘴) è comparso nel 1947 in provincia di Verona. Nel 1975 arriva in Trentino Alto Adige. Da allora si espande con estrema velocità, invadendo ogni regione italiana. Viene considerato esotico naturalizzato, alieno e, in certe zone, anche invasivo. In parole povere: giunge casualmente per opera dell’uomo da zone lontane, vive e si riproduce bene nei territori colonizzati (senza aver bisogno di ulteriori interventi umani – come invece avviene per l’oleandro), sottrae nutrimento e terreni alle specie autoctone, soppiantandole e minacciando la biodiversità e l’aspetto del paesaggio.
E come il cugino nostrano, il senecio africano è tossico, addirittura letale in alcune specie di mammiferi (cavalli). L’alcaloide colpevole può passare addirittura alle carni del bestiame che se ne fosse cibato.
Fiorisce 6-7 mesi all’anno, contro i 2-3 della specie autoctona, e danneggia, con la sua elevata invasività, le infrastrutture. Ha pure un altissimo tasso di riproduttività: ogni pianta sviluppa 80-100 infiorescenze e 30’000 semi che restano vitali fino a 40 anni dalla fecondazione. E’ poco selettivo nella scelta del substrato e resiste bene anche a climi estremi. Un portentoso competitore della nostra specie, insomma.
Nelle regioni in cui il tasso di invasività è palese, sono state lanciate campagne di contenimento, che prevedono: il controllo del fieno, che non presenti piante di senecio africano; evitare il pascolamento del bestiame su prati infestati: evitare il posizionamento di arnie in zone ad alta densità di senecio africano; evitare il transito di bestiame transumante su aree di senecio in fruttificazione (gli arpioncini); sfalciare i prati invasi prima della fruttificazione; sradicamento delle piante con l’intero complesso radicale.
L’uomo altera con leggerezza e ignoranza i delicati equilibri della natura, ma può anche porre rimedi, grazie alla lungimiranza, alla conoscenza e al rispetto.