𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Alcuni spiegoni fa ho accennato ai “canali” di comunicazione utilizzati dalle aringhe, specie quando stazionano in ambiente buio e hanno necessità di avvertire gli individui vicini di un imminente pericolo. Qui invece vi diletto raccontando di serpenti che adottano espedienti simili, ma con altre finalità.
Partiamo con lo specificare che i serpenti utilizzano un’uscita posteriore unica, sia per i rifiuti solidi che liquidi, ma la stessa funge anche da canale entrante dell’apparato riproduttore. Insomma, transita tutto da lì, dalla cosiddetta 𝘤𝘭𝘰𝘢𝘤𝘢 (fogna, in latino). E il serpente ne controlla apertura e chiusura, grazie a muscoli volontari.
Alcune specie di serpenti hanno pure affinato la tecnica e sono in grado di risucchiare aria nella cloaca e rilasciarla al momento ritenuto più opportuno, ad esempio, in caso si sentano minacciati. E lo fanno con grinta e fantasia, raggiungendo volumi sonori fino a 50-70 dB, di pari intensità alle esternazioni aeree umane. La frequenza invece risulta un po’ più stridula, per colpa del diametro ridotto del “tubo di scappamento”.
La scoperta è stata fatta in un laboratorio del Lafayette College (Pennsylvania, USA), quando B. Young, assistente professore di biologia, manipolando un serpente corallo di Sonora (𝘔𝘪𝘤𝘳𝘶𝘳𝘰𝘪𝘥𝘦𝘴 𝘦𝘶𝘳𝘺𝘹𝘢𝘯𝘵𝘩𝘶𝘴), venne additato dai colleghi come sorgente di rumori e odori molesti. Il ricercatore, pur di discolparsi, ne fece una questione di principio e approfondì l’argomento.
Scoprì che ben due specie di serpenti, occupanti entrambi delle nicchie ecologiche simili nel deserto messicano, adottano la medesima strategia per difendersi da un predatore evidentemente comune: nascondono la testa nella sabbia e alzano il didietro, pronti a colpire il nemico. Quale esso sia, rimane un mistero; anche perché dev’essere piuttosto imbarazzante farsi scacciare a suon di puzzette in muso.
Ad ogni modo, si tratta di difesa all’acqua di rose, se pensate che alcuni serpenti sono capaci di ringhiare e sputare veleno, mirando nello specifico alle mucose (di preferenza gli occhi) del predatore. Le tossine contenute nel veleno faranno il resto, provocando danni anche permanenti ai tessuti colpiti. Evviva i “venticelli”, tutto sommato.
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