𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
In uno spiegone passato ho preso in rapido esame l’etimologia dell’ordine degli insetti. Ad alcuni ordini avevo già accennato, di altri tratterò in futuro; oggi tocca ai 𝙩𝙧𝙞𝙘𝙤𝙩𝙩𝙚𝙧𝙞 (𝘛𝘳𝘪𝘤𝘩𝘰𝘱𝘵𝘦𝘳𝘢). Pare che i tricotteri si siano evoluti a partire dal Triassico, rappresentando al giorno d’oggi dei “fossili viventi”. L’ordine comprende 5400 specie (ben 12’000 secondo alcuni entomologi), di cui 330 presenti in Italia.
L’individuo adulto è di dimensioni variabili, da 3 a 25 millimetri, e presenta livree piuttosto uniformi, di colore brunastro. Sono capaci di volare e conducono vita crepuscolare. Le ali anteriori hanno il margine posteriore ripiegato e questo, agganciandosi al margine anteriore delle ali posteriori, ne stabilisce e ne mantiene l’accoppiamento. Le loro venulazioni e le ramificazioni di queste sono importanti elementi di identificazione e classificazione e sono il motivo principale del nome assegnato all’ordine: tricotteri. Cioè “𝙖𝙫𝙚𝙣𝙩𝙞 𝙖𝙡𝙞 𝙘𝙤𝙥𝙚𝙧𝙩𝙚 𝙙𝙞 𝙥𝙚𝙡𝙪𝙧𝙞𝙖”.
Importanti per il riconoscimento della specie sono anche le zampe, o meglio, gli speroni di cui sono dotate fin dallo stadio larvale.
La vita dell’adulto si svolge in prossimità di acqua dolce, sia ferma (laghi, torbiere, stagni) che soggetta a correnti (torrenti, rigagnoli, fiumi), anche ipogea (grotte). Seguendo un unico corso d’acqua, si possono incontrare numerose popolazioni di specie diverse di tricotteri, ognuna insediatasi in uno specifico tratto dell’alveo. Ci sono quelle che preferiscono il tratto di sorgente, dove la portata è ancora minima. Altre che si insediano sui tratti petrosi ricoperti di alghe. Quelle che preferiscono acqua ben ossigenata devono cercare tratti ad altro scorrimento, possibilmente tormentato. E infine quelle della foce, dove la portata è considerevole ma la corrente rallenta.
𝙇’𝙖𝙘𝙦𝙪𝙖 è l’elemento in cui la femmina depone le uova. A seconda della specie, mamma tricottera sceglie zone coperte da vegetazione riparia (di sponda), oppure sul pelo dell’acqua o immediatamente sotto la superficie. Sono deposte e legate tra loro da filamenti, detti “𝘮𝘢𝘴𝘴𝘦𝘳𝘦𝘭𝘭𝘦”, ricoperti da una mucillagine spugnosa che le proteggerà fino alla schiusa.
Questa avviene dopo 2-3 settimane e le 𝙡𝙖𝙧𝙫𝙚 sono pressoché tutte acquatiche (tranne quelle del genere Enoicyla), onnivore, munite di forti mandibole taglienti. Il loro torace è chitinizzato (rigido), le zampe sono già sviluppate, mentre il ventre è carnoso e molle. Motivo per cui le larve delle specie eruciformi (“simili a bruchi”) si apprestano a costruire un 𝙖𝙨𝙩𝙪𝙘𝙘𝙞𝙤 protettivo, utilizzando i materiali che reperiscono nell’elemento liquido.
Grazie a una ghiandola posta accanto alla bocca, che produce una 𝙨𝙚𝙘𝙧𝙚𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙨𝙚𝙧𝙞𝙘𝙚𝙖 (simile alla seta) filiforme e appiccicaticcia, le larve assemblano dei foderi rigidi unici, molto vari e – ai nostri occhi – fantasiosi.
La lunghezza del fodero può variare da 3 mm a 8 cm e segue il tasso di crescita della larva. Questa si insedia all’interno lasciando sporgere solo la testa e le zampe, per permettere la predazione, alimentazione e deambulazione. All’estremità posteriore del corpo si trovano due robusti uncini che ancorano la larva al cilindro protettivo. Mano mano che la larva cresce, il fodero va ampliato anteriormente, raggiungendo dimensioni ragguardevoli. Ogni larva utilizza materiali e costruisce astucci dalla forma peculiare, unica per la sua specie di appartenenza. Riconoscendolo, l’entomologo sa che tipo di larva lo abita.
Il materiale più disponibile, all’interno di un corpo idrico, sono sabbia, ghiaino, legnetti, alghe, parti vegetali, frammenti di gusci o conchiglie. Di recente sono stati rinvenuti foderi contenenti frammenti di plastica, polistirolo e vetro; non è proprio un indice di buona salute delle nostre acque.
E le larve di tricottero sono le prime a essersene accorte. Tant’è che sono l’ordine di insetti che ha registrato il declino numerico più ingente dal 2010 ad oggi. Complici l’inquinamento delle acque (non solo con microplastiche) con pesticidi e sversamenti, gli interventi dell’uomo sulla vegetazione fluviale, gli sghiaiamenti incontrollati, il cambiamento climatico che innalza la temperatura media dell’acqua, le opere di regimentazione dei flussi idrici.
Se la larva riesce a compiere tutte le mute, che il suo ciclo vitale prevede, una volta raggiunto lo stadio adulto abbandona il suo confortevole astuccio e sfarfalla, dedicandosi alla breve vita alata.
Artisti e scultori si sono accorti della complessità e bellezza dei foderi costruiti dalle larve. La scelta delle granulometrie, gli accostamenti di colori, la forma cilindrica, tutti elementi che fanno di un astuccio un’𝙤𝙥𝙚𝙧𝙖 𝙙’𝙖𝙧𝙩𝙚 𝙪𝙣𝙞𝙘𝙖 𝙚 𝙞𝙧𝙧𝙞𝙥𝙚𝙩𝙞𝙗𝙞𝙡𝙚. E se si fornissero alle larve, ad esempio, pagliuzze dorate o frammenti di pietre preziose?
Per le larve non cambia molto, basta che abbiano le condizioni ambientali adeguate per svilupparsi. Una volta che fossero sfarfallate, gli astucci vuoti resterebbero a disposizione di chi ha fornito il materiale di costruzione. Provate a cercare in rete le opere dell’artista francese Hubert Duprat, veri e propri gioielli creati da madre Natura; ne resterete affascinati.
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