Vischioso Vischio

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?
Questo spiegone è dedicato a chi mi accusa bonariamente di peccare di romanticismo quando definisco il vischio “un parassita“.

La famiglia delle 𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢𝘭𝘢𝘤𝘦𝘦 raccoglie numerosi specie di vischi e il nome deriva dal termine sandalo, altra specie vegetale affine al vischio, diffusamente conosciuta per il profumo caratteristico. Però al vischio è toccata la leggendaria capacità di rimediare baci e portare fortuna a chi lo fa sotto al suo cespuglio.

Ammettiamo che alcune forme anatomiche possano effettivamente suggerire associazioni popolari beneauguranti: la fertilità deriverebbe dal seme contenuto nel frutto, simile a quello dei vertebrati maschi e il suo essere sempreverde e rigoglioso rimanda alla fedeltà duratura.

Ma sono altri gli aspetti che suscitano il mio stupore poco romantico.

Il vischio è un emiparassita, cioè non è parassita per tutta la sua esistenza, ma solo per una parte del ciclo vitale. Predilige querce, aceri, betulle, pioppi e larici. La sua presenza diventa lampante quando le latifoglie restano spoglie e dai rami campeggiano cespugli di vischio.

I semi depositati direttamente sui rami della pianta da parassitare (lo spiego sotto, come fanno a farsi depositare in maniera mirata) iniziano fin da subito a germogliare, allungando i propri austori (radici particolari) nella corteccia dell’ospite, sottraendogli acqua e sostanze nutrienti. Ed è anche per questo motivo che resta sempreverde: si nutre dell’ospite in continuazione, anche quando questo è in fase di riposo stagionale.

Ma per raggiungere le sostanze nutrienti, gli austori impiegano un anno; come sopravvive il germoglio per tutto quel tempo? Il vischio, da adulto, effettivamente compie una parziale fotosintesi, ma il germoglio no. Permane il mistero su come faccia la giovane piantina a non deperire in quel lasso di tempo.

E ora veniamo alle caratteristiche più singolari del vischio.

Il nome richiama istintivamente a una sostanza viscida e appiccicosa. Ebbene il seme del vischio, avvolto da un frutto carnoso (una bacca) e ingerito da uccelli e piccoli mammiferi, è ricoperto da sostanze collose. L’uccello se ne vorrà disfare ancora prima di averlo inghiottito, pulendosi il becco proprio su rami e ramoscelli. Invece il mammifero ignaro, digerirà la bacca, ma il seme, giunto all’uscita posteriore, si incollerà al – avete capito cosa – e costringerà la bestiola a strusciarsi contro qualche superficie rugosa: un tronco, ad esempio.

In tedesco, il vischio è chiamato Mistel, da Mist (letame, feci); vi pare casuale?

Con la polpa delle bacche, opportunamente trattate, essiccate e concentrate, si preparava la colla per catturare gli uccelli e i topi, oggi sostituita da prodotti chimici. Ma da convinta animalista, ve ne sconsiglio l’uso: le creature catturate col vischio muoiono atrocemente.

Il vischio è anche velenoso per ingestione e, assunto in grandi dosi, può provocare confusione mentale, allucinazioni, convulsioni; se ingerito dagli animali domestici, può avere esiti letali.

A conti fatti, il vischio è meglio che stia dove sta: ha occupato una sua nicchia ecologica di successo, parassita senza danneggiare troppo l’ospite, si è ingegnato a trovare i proprio metodi di dispersione e – fidatevi – non ha poteri soprannaturali di induzione alla benevolenza o al libertinaggio.
ᶠᵒᵗᵒ: ʷᵉᵇ

Cespuglio di vischio