Il Cammino delle Pievi

Il Cammino delle Pievi a modo nostro

Stavolta mi permetto di raccontarvi il nostro Cammino delle Pievi. Il racconto è scritto al femminile, per la decisa preponderanza di presenze rosa, ma ciò nulla toglie ai ragazzi che ci hanno accompagnate e motivate, che hanno sudato e riso con noi e di noi.

Siamo un gruppo affiatato e variamente assortito di ragazze attorno agli “anta”, con alcune passioni comuni: la natura e l’umanità che ne è ospite, la abbellisce e se ne prende cura. Alcune di noi sono felicemente reduci dal Cammino della Via Flavia, tutte noi siamo state colpite in maniera più o meno diretta dalla pandemia.

A maggio, terminato il lockdown, discutiamo di come trascorrere l’estate, fantastichiamo di vette altissime e sentieri kilometrici, di rifugi, tende, sacchi a pelo, corse a perdifiato. La realtà ci impone invece di valutare opzioni alternative e il turismo slow, più consapevole e lontano dalle mete blasonate, ci convince: percorreremo il Cammino delle Pievi, a modo nostro. Due di noi s’impegnano a dare forma alle idee appena abbozzate: Chiara suddivide le tappe in base alla nostra preparazione fisica e alle giornate disponibili; Tanja (io) tenta di programmare la logistica, con molti intoppi dovuti alle vigenti norme di sicurezza in merito alla pandemia. Li aggiriamo con la flessibilità e un’accurata organizzazione e partiamo, ancora più convinte che l’unione faccia la forza e che la condivisione, anche delle piccole difficoltà contingenti, sia la nostra forza motrice.

La logistica prevede che si lasci un’auto al traguardo e ci si ritrovi tutte alla partenza della tappa. Questo ci permette di dormire, cenare e fare colazione a casa e preparaci il pranzo al sacco, in assoluta sicurezza sanitaria. Il nostro impegno viene ricompensato dalle numerose adesioni delle nostre amiche e amici che ci accompagneranno a turno nelle nostre giornate. Lo zoccolo duro siamo Chiara ed io, ma la compagnia di Alice, Carla, Chiaretta, Cinzia, Elena, Elisa, Livio, Marco, Marina, Massimo e Silverio (in rigoroso ordine alfabetico) è fondamentale nella riuscita del progetto. Sommate tutti assieme, abbiamo calpestato 1137,20 km: non male come prima esperienza di Cammino condiviso e suddiviso.

La prima giornata, da Imponzo a Villa di Verzegnis, somma ben quattro tappe e ci vede accompagnate da Alice, alla sua prima esperienza da camminatrice. Da descrittivo, dovremmo percorrere 33 km e 1050 dsl+. La realtà è che maciniamo quasi 43 km e 1280 dsl+, ma questo scostamento lo ritroveremo per quasi tutte le tappe. Il meteo è benevolo e le gambe fresche. Partiamo da Casa Emmaus di Imponzo, al sorgere del Sole, e saliamo allegre fino alla pieve di San Floriano di Illegio.

La pieve di San Floriano, Illegio

In un attimo siamo a Illegio, passando accanto alla chiesa della Conversione di San Paolo.

La chiesa di Illegio, dedicata alla conversione di San Paolo

Ci dirigiamo verso Tolmezzo e incappiamo, in mezzo al bosco, nella Maina di Illegio. Dopo poco sbuchiamo in località Betania; una signora, gentilissima, ci accompagna in bicicletta fino al duomo di Tolmezzo, attraversando il centro storico del paese. Lì ci attende Carla che si aggiunge all’allegra brigata. Caffè al volo e si riparte, direzione Caneva, dove visitiamo la pieve della Madonna di Oltrebut, però prima apprezziamo e ci riscaldiamo lungo la ripida scalinata che ci porta fino in cima al cocuzzolo.

La pieve della Madonna di Oltrebut

Mentre scendiamo, intravvediamo da molto molto lontano la pieve di Cesclans, prossima meta, ma l’ottimismo e le risate condivise ci rincuorano. Mentre attraversiamo il fangoso tratto boscoso, tra Cavazzo Carnico e Cesclans, incontriamo quattro motociclisti tedeschi in evidenti difficoltà con le loro moto da cross. Tronchi divelti dalla bufera Vaia, sentieri stretti e scivolosi e la natura che si rimpossessa giustamente degli spazi abbandonati, rendono il breve tratto di collegamento molto selvaggio. Noi lo apprezziamo assai, dopo i tanti kilometri di asfalto percorsi tra Tolmezzo e Cavazzo, i motociclisti decisamente meno. Passiamo accanto alla solitaria e intrigante ancona di Falnôr, nei pressi della Palude Vuarbis. Il refrigerio che offre, ci permette di pranzare al sacco in relax.

L’ancona di Falnôr

Appena ripartite, ecco che la pieve di Cesclans, dedicata a Santo Stefano, si staglia davanti a noi, come uno sperone roccioso che troneggia sul promontorio ben visibile dalle vallate circostanti.  

La pieve di Cesclans
Dal cimitero della pieve si ammira il lago di Cavazzo

Il caldo si fa sentire e il laghetto “Chiara”, nei pressi di Val, ci tenta, ma noi ignoriamo anche le dolci e fresche acque del torrente Faeit, desiderose di raggiungere Verzegnis. A Pusea, un abitante locale ci illustra le costruzioni della località e ci invita a pernottare da lui, salvo correggersi all’improvviso apparire della moglie. E a sottolineare che la bellezza del Cammino sta anche nelle persone che s’incrociano strada facendo, incontriamo un fotografo che ci nega, dapprima, il favore di una foto di gruppo sul ponte del lago di Verzegnis e poi si ammorbidisce e ci scatta delle foto inguardabili.

Il lago artificiale di Verzegnis e la frazione di Chiaicis

Per riprenderci dall’impasse, ci concediamo un gelato rigenerante presso una nota e caratteristica osteria di Chiacis, condito di tante risate grazie alla verve dell’ostessa. Ancora qualche passo e siamo al parcheggio di Villa di Verzegnis, dove ci attende l’auto che ci riporterà a casa, stanche, soddisfatte e orgogliose.

Secondo giorno: da Villa di Verzegnis a Socchieve, 25 km in teoria, 28 in pratica e oltre 850 dsl+, a sommare le tappe 5+6+7, stavolta in compagnia di Elena e Livio.  Alla partenza scattiamo la foto di rito della prima pieve, quella di San Martino a Villa, prima di affrontare la salita al monte Navado.

Villa di Verzegnis, chiesa di San Martino

La discesa non è proprio agevole ma ci porta velocemente verso la suggestiva chiesetta di Madonna del Ponte, costruita dai traghettatori locali come protezione dalle piene del Tagliamento.

La chiesa di Madonna del Ponte, Villa Santina

A Invillino pieghiamo decise verso est, per raggiungere, in cima a un cocuzzolo poco fuori dal centro abitato, la pieve di Santa Maria Maddalena. E’ domenica e capitiamo nel bel mezzo della processione mentre scendiamo verso il centro del paese.

La pieve di Santa Maria Maddalena, Invillino

Calpestiamo parecchio asfalto prima di pranzare al sacco, appena raggiunta la ciclabile. Da lì ci dirigiamo verso Esemon di Sopra e ci soffermiamo a ricordare, con una punta di nostalgia, la corsa della befana, a cui abbiamo partecipato l’anno precedente e che si svolgeva proprio sul sentiero che stiamo per imboccare. A Esemon ci rinfreschiamo alla fontana in piazza e visitiamo la chiesa di San Giacomo apostolo. Prossima meta: Maiaso e la chiesa di San Nicolò, con un vistoso mosaico sull’austera facciata anteriore.

Maiaso, la chiesa di San Nicolò

Il caldo inizia a pesare e ogni fontana diventa occasione per riempire borracce, sciacquarsi, bagnare bandane e cappellini.

Enemonzo, artigianato e accoglienza locale

Il tipico saluto di commiato friulano “Mandi” ha origini lontane e si accompagna alla formula di benvenuto “Bundì”, dal significato più definito. Noi ci congediamo e raggiungiamo Enemonzo, per ammirare la chiesa della Beata Vergine della Consolazione. Troviamo aperta l’incantevole chiesa dei Santi Ilario e Taziano e ne ammiriamo gli interni riccamente decorati.

Tra Enemonzo e Nonta sfoderiamo le nostre conoscenze faunistiche: la vipera del Corno, che si sta crogiolando al sole nel bel mezzo del sentiero, il cervo volante che non vuole farsi fotografare, alcune caprette fin troppo confidenti, ramarri e lucertole sfuggenti, farfalle di ogni foggia e colore che ci accompagnano lungo le ore pomeridiane. Una ripida salita, affrontata con goliardia, ci porta al tempietto di San Maurizio, a Nonta.

Il tempietto di San Maurizio, Nonta

Ultimo sforzo, la salita alla pieve di Santa Maria Annunziata di Socchieve, passando davanti alla maina in Somp da Cleva. Queste piccole ancone votive sono spesso restaurate di recente e manutentate con dedizione dai fedeli locali. La pieve di Socchieve mantiene pressoché intatto l’antico cimitero annesso. Le pietre tombali sono in discrete condizioni e testimoniano un gusto estetico piuttosto macabro ma affascinante.

La pieve di Socchieve
Il cimitero della pieve di Socchieve

Scendiamo in paese e raggiungiamo l’auto che ci permette di tornare a casa, affaticate e decisamente arricchite.

La terza giornata prevede di accorpare l’ottava e la nona tappa per percorrere oltre 30 km e superare 1350 dsl+. Ci stiamo addentrando nelle nostre amate Alpi, già frequentate e conosciute anche da Cinzia, che ci terrà compagnia oggi. Questa volta ce le godremo con occhi nuovi, meno frenetici, molto più sensibili alle bellezze della natura e dell’uomo.

La chiesa di San Martino, Socchieve

Da Socchieve, salutata la chiesa di San Martino, saliamo sudando sette camicie al monte Jôf e ci vantiamo della nostra coerenza nel percorrere le tracce esattamente come scaricate dal sito del Cammino, senza scorciatoie né varianti indiscutibilmente meno faticose. Siamo pellegrine e dobbiamo pur “purgare”. Cosa si debba purgare, non lo sappiamo, ma un po’ di sana fatica male non farà. Il bosco è fitto e il sentiero non sempre facile; ben vengano quindi le occasioni per alzare lo sguardo e ammirare i dintorni.

Un’incertezza ad uno dei numerosi bivi privi di segnaletiva ci permette di ammirare un’orchidea davvero particolare.

Epipactis atrorubens, Monte Jôf

Riprendiamo brevemente fiato presso la baita “Som Jôf”, costruzione molto amena posta purtroppo nei pressi di infrastrutture abbandonate e poco piacevoli alla vista. Deduciamo dalla posizione e dall’imponenza dei piloni e basamenti in cemento, che il progetto orginario prevedesse l’installazione di un impianto di risalita. Scendiamo con brio fino al Biotopo di Cima Corso, dove ci concediamo una prolungata pausa pranzo, visto il caldo umido che ci accoglie nell’oasi naturale e i molti kilometri di asfalto che ci attendono.

Il biotopo di Cima Corso

Oltrepassiamo la galleria di Passo della Morte (un nome che è tutto un programma) e ci lasciamo sorprendere dalla Chiesa di San Lorenzo. Dalla finestra aperta apprezziamo gli interni affrescati con cura.

La chiesa di San Lorenzo, Forni di Sotto

Il pomeriggio promette tanto caldo, quindi proseguiamo convinte verso Forni di Sotto. Andiamo incontro alla chiesa di San Rocco, posta sui tornanti della strada statale,

La chiesa di San Rocco, Forni di Sotto

alla pieve di Santa Maria del Rosario

La pieve di Santa Maria del Rosario

e poco oltre, alla chiesa della Beata Vergine della Pietà.

La chiesa della Beata Vergine della Pietà

Uscendo dal paese, la traccia ci porta sul greto del Tagliamento, ma le speranze di ricevere un po’ di refrigerio dalla presenza del fiume svaniscono presto: patiamo un’afa davvero insolita. Il sentiero si fa meno certo, imbocchiamo alcune deviazioni errate: la segnaletica è pressoché assente e Vaia ha devastato visibilmente questo versante Alpino. Due montoni ci accompagnano per un breve tratto, finché il legittimo proprietario non li richiama.

Scambiamo due chiacchiere con lui e riceviamo conferma che il sentiero da percorrere, per arrivare a Forni di Sopra, sarà poco agevole e che il guado sul Tagliamento potrebbe presentare qualche problema. Dopo aver zigzagato nel bosco, schivato rovi e saltato radici affioranti, decidiamo che la nostra costanza, tanto declamata poche ore prima, ha un limite. Risaliamo quindi, in località Saufie, il costone boscoso per raggiungere, ancora una volta, la statale. Ancora alcuni kilometri di asfalto, azzardiamo addirittura a una corsetta per accorciare i tempi, e giungiamo a Forni di Sopra, notevolmente provate. Ma ammiriamo comunque gli interni della chiesa di San Floriano (monumento nazionale)

La chiesa di San Floriano, Forni di Sopra
Il meccanismo dell’orologio, in disuso, della chiesa di San Floriano

e della dirimpettaia chiesa di Santa Maria Assunta.

La chiesa di Santa Maria Assunta

Davanti a una bibita fresca e gustosa ridiamo della nostra capacità di prenderci in giro, sfoggiare coerenza per smentirci poco dopo, quando finalmente diamo retta al buon senso che spesso ci salva da situazioni spiacevoli. Rientriamo a casa pregustandoci la quarta giornata che ci farà attraversare le meravigliose Alpi Carniche.

Quarta giornata, una tappa sola, la decima da 22 km e 1365 dsl+, tosta e panoramicissima, tanto che formiamo un bel gruppo (con Alice, Elisa e Marco): da Forni di Sopra a Sauris di Sotto. Iniziamo col visitare la locale chiesa di San Giacomo.

E finalmente possiamo sfogare i nostri istinti montanari, affrontando con grinta la salita, immersa nel bosco, fino a malga Tragonia.

Fontana lignea, malga Tragonia

Il Sole splende convinto, ma la temperatura è gradevole e l’afa l’abbiamo lasciata più in basso.

Ci avviciniamo a forcella Tragonia, da dove potremo osservare, in tutta la sua bellezza, la vallata che ospita il lago di Sauris e i paesi che lo circondano. Notiamo i segnavia del pellegrinaggio annuale che accompagnano i fedeli da Forni di Sopra al santuario di Santa Maria Luggau, nel Lesachtal, distretto di Hermagor.

Lungo il sentiero condiviso col pellegrinaggio a Santa Maria Luggau

Mentre scendiamo allegre dalla forcella, ci viene incontro una coppia di viandanti veneti, moglie e marito, con cui ci mettiamo a chiacchierare. Alla richiesta del signore di eseguire un suo rito propiziatorio, non ci tiriamo certo indietro. Tenendoci tutti per mano e rivolgendoci a est, ci inchiniamo e ringraziamo la montagna, per la bellezza che ci regala, e le chiediamo, con rispetto e umiltà, di essere benevola con noi durante i nostri cammini. Ci salutiamo con lo spirito rinnovato e scendiamo fino a casera Mediana, dove pranziamo, in ottima compagnia.

Le pacifiche inquiline di casera Mediana

I tornanti in discesa al Lumiei evidenziano la devastazione causata da Vaia: interi settori di bosco annientati, con tronchi spezzati e sparsi alla rinfusa nel sottobosco, la terra tristemente nuda e scavata, i letti degli affluenti stravolti. Eppure, chissà quante tempeste, simili a Vaia, hanno trasformato nei millenni passati le terre che oggi attraversiamo. La nostra esistenza è un battito di ciglia, in fin dei conti. Il Lumiei scopre formazioni rocciose insolite, paragonabili ai campanili di Costa Baton, che si possono raggiungere sempre da Forni.

Il torrente Lumiei

Sauris di Sopra è lassù, in cima, e la raggiungiamo nel primo pomeriggio. Il paese è davvero un gioiellino, con le sue abitazioni tipiche, i fienili ancora in uso, il gusto alpino degli arredi urbani, la dedizione nel coltivare cascate di gerani.

Passiamo accanto alla chiesa di San Lorenzo.

Appese alle pareti delle abitazioni, si possono osservare le tipiche maschere lignee. Sono pezzi unici, intagliati a mano dagli artigiani locali, e raffigurano il volto di Kheirar, re del carnevale saurano.

Proseguiamo in direzione Sauris di Sotto, il fine tappa odierno, ma non senza aver visitato il santuario di Sant’Osvaldo e aver, ancora una volta, contemplato la bellezza vivida dei luoghi che stiamo attraversando.

Il santuario di Sant’Osvaldo
Sauris di Sotto

Anche la quinta giornata è dedicata a una tappa sola (l’undicesima), piuttosto breve ma logisticamente più difficile da gestire: 12 km e 620 dsl+. La strada provinciale che da Sauris porta a casera Razzo sembra essere inagibile, costringendoci a percorrere la Val Pesarina per lasciare un’auto al rifugio Ten. Fabbro, fine tappa odierna, e ritornare a Sauris per iniziare il tratto di Cammino in programma.

Ci raggiunge Massimo, dalla lontana Spresiano, conosciuto grazie all’app Blawalk, che ci chiede un assaggio di monti friulani. E noi lo accontentiamo con una delle tappe più belle di tutto il Cammino delle Pievi: da Sauris di Sotto alle Dolomiti Cadorine. I panorami sono ampi, le fioriture una tavolozza di colori, il cielo terso e la compagnia gioiosa come sempre. Incrociamo un Saurano in mountain bike, un giovanotto di 60 anni, che ci confida che percorre questa tappa quasi ogni giorno. Tanto di cappello, ragazzo in gamba.

Il sentiero in cresta, da Sauris di Sotto

Pranzo all’ombra di una pineta presso sella Rioda e si riparte, alla volta di casera Razzo. Camminiamo per i prati, attorniate da numerose manze al pascolo, che ci osservano curiose, e dalla natura rigogliosa.

Sbuchiamo nei pressi di casera Razzo, troppo affollata per permetterci un breve riposo. Ci dirigiamo quindi velocemente verso il rifugio Ten. Fabro, dove ci attende un’altra sorpresa.

La casera Razzo, Vigo di Cadore

Il papà di Chiara è in Cadore e non vede l’ora di accertarsi di persona che le due indefesse camminatrici siano all’altezza del progetto. Il Cammino come forza motrice e punto accentratore di amicizie, parentele e conoscenze da coltivare, distanze da ridurre, interessi da condividere, storie da raccontare, ricordi di cui ridere. Una bibita fresca, i saluti con i compagni della giornata e si torna a Sauris, a riprendere l’auto lasciata lì stamattina. E’ tardo pomeriggio e abbiamo perfino tempo per riposare un po’ le stanche membra, in previsione della giornata successiva.

Che ne dite di accorpare due tappe e di affrontare in allegria una maratona montanara in piena regola? Si tratta solo di macinare 42 km e 1500 dsl+. Consapevoli della fatica che ci attende in questa sesta giornata, partiamo che è ancora notte per arrivare al rifugio Ten. Fabbro ben prima che apra. La meraviglia dei raggi del sole che sorge e che s’infiltra fra le conifere nei pressi di casera Campo è indescrivibile. E gli stessi raggi, affettati dalle crode montane del gruppo della Terza Grande, ci fanno apprezzare anche la levataccia.

Percorriamo la valle scavata dal torrente Frison, detta anche la “Valle della vergogna” dai locali sappadini, per le lungaggini burocratiche, gli sprechi e le difficoltà strutturali che impediscono il completamento della costruzione e ricostruzione della strada provinciale che dovrebbe percorrerla.

Ci attende il passo della Digola e, approfittando smaccatamente della presenza del fresco e pimpante Marco, lo scavalliamo senza troppa fatica. In località Tamer di Dentro incontriamo un gruppo di cacciatori che hanno in gestione la casera. Ci mostrano orgogliosi gli interni della struttura: un tripudio di artigianato sappadino, di ripristini e restauri con materiali locali, di allestimenti che poco hanno da invidiare a rifugi ben più blasonati.

La casera di Tamer di Dentro

Abbiamo fretta di raggiungere Sappada, ma non possiamo ignorare, anche qui, gli effetti devastanti di Vaia. Cataste enormi di tronchi sui cigli dei sentieri, in attesa di essere trasportati a valle, ci ammutoliscono e fanno riflettere, una volta di più, sulla potenza della natura. Ed ecco Sappada ed ecco i genitori di Chiara, fedeli followers della figlia, che ci danno uno strappo in auto fino a Cima Sappada, facendoci risparmiare 3 km di asfalto bollente. Ci salutiamo e riprendiamo il Cammino, inerpicandoci in direzione di malga Tuglia.

Malga Tuglia

La zona è parecchio frequentata e il trambusto ci sospinge, dopo un breve spuntino, verso altitudini meno trafficate. I kilometri che ci separano dal rifugio Chiampizzulon sono faticosi, in salita, spesso sotto al sole. E ne abbiamo macinati già quasi trenta. Arriviamo al belvedere Cuel di Ruedo ormai senza fiato, anche Marco mostra i primi sintomi di stanchezza.

Breve sosta al belvedere

Per raggiungere il rifugio, tocca scendere e deviare dal sentiero. Ma cosa non si farebbe per una sostanziosa dose di caffeina?

Anche quassù, incontri piacevoli con ragazze in gamba, che conosciamo per le attività di “Quelli della notte”. Il mondo è piccolo, dopotutto. Il cielo si sta annuvolando e abbiamo ancora parecchia strada da fare, quindi via verso sella Talm. Decidiamo di non raggiungere la cima del monte omonimo, visto il meteo in peggioramento. E infatti, alcuni minuti dopo aver imboccato la direttissima per Prato Carnico, inizia a piovigginare, quel tanto che basta per farci indossare i k-way e rendere le pietre del sentiero in ripida discesa molto scivolose. Procediamo caute, zigzagando, saltellando, facendo lo slalom tra pietraie lisce e umide e chiazze di erba bagnata.

Finalmente intravvediamo le prime abitazioni di Prato Carnico e ha smesso di piovere. Passiamo accanto a una dolcissima signora, Eralda, sull’uscio di casa in attesa del marito Giorgio. Ci chiede il motivo della nostra presenza; le raccontiamo a spanne del Cammino che stiamo percorrendo; lei ci chiede con infinita tenerezza “ma chi ve lo fa fare?”. Poi insiste a volerci offrire un caffè, una birra, una bibita. Accettiamo di buon grado un’“acqua e menta”. Mentre il marito esce con una brocca di acqua fresca in mano, la signora porta una bottiglia contenente quello che noi supponiamo essere sciroppo alla menta. “Abbondi, abbondi pure, signora… e grazie”. Al primo sorso, ci rivolgiamo a vicenda uno sguardo tra l’incredulo e il preoccupato: il liquido verde risulta essere vodka e la signora ha davvero abbondato.

Lo “sciroppo” di menta

L’allegria ci pervade, la fatica dei 42 km appena macinati sembra svanire magicamente, gli ultimi 500 metri che ci separano dall’auto sono conditi di risate vagamente scomposte. Arrivate al parcheggio festeggiamo la prima maratona di Marco che non sa se ridere o piangere, complice anche il bis di “sciroppo” di menta. E il campanile della chiesa di San Canciano di Prato Carnico è storto davvero, non è uno scherzo dovuto alla vodka.

La settimana giornata prevede l’accorpamento di due tappe e mezza: da Prato Carnico a Cercivento per 33 km e 1550 dsl+. Perché terminare il programma giornaliero a metà tappa? Perché ce lo possiamo permettere e perché vogliamo dare un’approfondita occhiata al paese di Cercivento, famoso per la sua Bibbia a cielo aperto: un percorso tematico di mosaici, murales e affreschi affissi alle facciate delle abitazioni. Anche chi non ha confidenza con la religione, deve riconoscere la bellezza delle singole opere d’arte e del progetto nel suo complesso.

Oggi ci accompagnano Elisa e Marina, motivate e frizzanti; partiamo quindi da Prato Carnico, non prima di aver lasciato un piccolo pensiero di ringraziamento alla coppia Eralda & Giorgio per l’accoglienza riservataci la sera precedente. Entriamo subito nel bosco, che ci regala frescura per le ore mattutine. Ci sorprende una deliziosa costruzione in legno denominata “Sopria” in mezzo al bosco.

Il piccolo ricovero di Sopria

Ad Ovasta, piccola frazione di Ovaro. si staglia la chiesa di Sant’Ulderico, semplice e austera.

Ad Ovaro, attirano la nostra attenzione la fornace con la sua torre calcinaria e la chiesa di S. Martino Vescovo con l’area archeologica adiacente.

La torre calcinaria
La chiesa di San Martino vescovo

Imponente, la vediamo da lontano, la chiesa della Santissima Trinità, appena oltrepassato il torrente Degano.

E per finire, uscendo da Ovaro, passiamo accanto alla chiesa della Beata Vergine del Carmine.

La chiesa della Beta Vergine del Carmine

La pendenza inizia a farsi decisa e anche la temperatura sta salendo. Decidiamo di pranzare a Clavais, all’ombra della chiesa di San Lorenzo.

La chiesa di San Lorenzo, Clavais

Procediamo decise in direzione Ravascletto, attraversando i boschi del monte Zoncolan. Scolliniamo e la nota località turistica ci appare in tutta la sua bellezza.

Ravascletto

Individuiamo a occhio la prossima meta: la chiesa di San Matteo Apostolo, sul versante opposto.

La chiesa di San Matteo Apostolo

Da brave camminatrici pragmatiche e concrete, abbiamo imparato in fretta che dove c’è un paese, c’è una chiesa e, lì attorno, c’è un cimitero, dotato di rubinetti con acqua potabile. Ravascletto non si sottrae a questa regola: rabbocchiamo le borracce con acqua fresca e ci dirigiamo verso la frazione di Zovello, dove ci attende la chiesa di Sant’Andrea Apostolo.

La chiesa di Sant’Andrea Apostolo, Zovello

Ma la nostra attenzione è attirata dalla deliziosa maina del Piç, appena fuori dal centro abitato.

La maina di Piç

Ci prendiamo un po’ di tempo per apprezzarne la posizione, la cura della manutenzione, la natura che la circonda. Proseguendo verso la meta finale, incontriamo alcuni locali che ci augurano buon cammino e ci incitano a perseverare nel nostro progetto. Dopo pochi kilometri, eccoci a Cercivento. La attraversiamo da ovest a est e ammiriamo le opere a cui accennavo sopra.

Cercivento

La nostra giornata si conclude nei pressi della chiesa di San Martino Vescovo.

La chiesa di San Martino vescovo, Cercivento

L’ottava giornata, un sabato, ci ricorda che camminiamo senza requie da una settimana; tuttavia l’apporto di rinnovate forze e l’allegria dei compagni odierni (Carla, Cinzia e Silverio) ci fanno dimenticare la fatica in fretta. Si riparte da Cercivento per giungere a Paularo, dopo 33 km e 1300 dsl+ con l’incognita dei divieti di transito, specie in zona Ligosullo, per i danni causati da Vaia. Ma abbiamo studiato anche tracciati alternativi, per non farci fermare da ordinanze comunali e oggettivi impedimenti. Usciamo da Cercivento dirette a nord, salendo per un sentiero lastricato che ci porterà alla chiesa di Santa Maria dei Viandanti in località Ramazzaso.

La perpetua ci incrocia lungo il sentiero e ci esorta a visitare la chiesa ma a non sporcare per terra, “ché ho appena finito di pulire”, e di richiudere la porta, “ché altrimenti entrano le bestie”. Obbediamo volentieri e proseguiamo verso il prossimo centro abitato, restando sul sentiero boscoso, spesso inselvatichito e non sempre agevole. Ne usciamo in località Cleulis e passiamo accanto alla chiesa di Sant’Osvaldo.

La chiesa di Sant’Osvaldo, Cleulis

Attraversiamo anche la borgata di Placcis, visitando gli interni geometrici dell’altra chiesa di Sant’Osvaldo, e osservando il tiglio secolare che cresce proprio lì accanto.

Il sentiero che da Cleulis ci porterà a Timau è sempre meno visibile, i rovi lo infestano e il fondo è piuttosto sconnesso, tra radici e smottamenti, la segnaletica pressochè assente. Subiamo anche l’assalto delle vespe, evidentemente infastidite dal nostro passaggio. La traccia scaricata dal sito ci vorrebbe far attraversare il Bût, ma un cantiere ce lo impedisce. Scavalchiamo un po’ di transenne, alziamo un po’ di reti da cantieri, commettiamo qualche illecito, ma alle pellegrine si perdona questo ed altro. Giungiamo a Timau e giriamo per i vicoli alla ricerca della chiesa di Santa Gertrude.

La chiesa di Santa Gertrude, nascosta fra i vicoli di Timau

Ma veniamo inevitabilmente attirati dalla mastodontica chiesa di Cristo Re e dal’imponente crocifisso esposto all’interno.

La chiesa di Cristo Re, Timau

Siamo altrettanto impressionate dal monumento alle Portatrici Carniche, accanto alla chiesa. Quanto dolore, quanti sacrifici, quanta fatica hanno dovuto sopportare queste donne, spesso poco più che ragazze? E quanta dedizione, amore e perseveranza le ha animate? Mangiamo il nostro panino in rispettoso silenzio.

Il monumento alle Portatrici Carniche, Timau

Riprendiamo dirigendoci verso sud, a costeggiare il Bût verso Paluzza: tanti kilometri da percorrere sull’asfalto bollente. La chiesa di San Daniele profeta interrompe la monotonia del percorso anche perché il campanile è bicolore: intonacato sul davanti e coi mattoni a vista sul retro.

Per stradine secondarie giungiamo a Treppo Carnico, con la sua chiesa di Sant’Agnese che ci offre un po’ di refrigerio e degli interni davvero notevoli.

La chiesa di Sant’Agnese, Treppo Carnico

Siamo ancora lontani dalla meta e c’è ancora parecchio dislivello da superare, e allora si riparte. Direzione Tausia, dove ha sede l’omonima web-radio dell’Alto Friuli e dove passiamo accanto alla chiesa di Santa Maria delle Grazie.

La chiesa si Santa Maria delle Grazie, Tausia

Poco oltre, in località Murzalis, c’è una graziosa ancora votiva, tenuta e decorata con cura.

L’ancona votiva, Murzalis

La traccia ci spinge verso una mulattiera che ci farebbe sbucare a Ligosullo, invece una transenna ci ammonisce che quel tratto non è praticabile. Non ce la sentiamo di disobbidire anche stavolta e optiamo, a malincuore, per la strada asfaltata che in breve ci porta in paese. In centro incontriamo la chiesa di San Nicolò vescovo.

La chiesa di Nicolò vescovo, Ligosullo

In uscita dal paese ci aspetta l’ultima salita del giorno, scavalchiamo forcella di Lius per scendere nella Val d’Incarojo, diretti verso Paularo. Alle nostre spalle si stanno addensando pesanti nubi e sentiamo i primi brontolii temporaleschi. Acceleriamo il passo e superiamo la chiesa dei Santi Fabiano e Sebastiano.

E raggiungiamo, quasi di corsa, l’auto lasciata in centro a Paularo, prima che si scateni un acquazzone estivo breve ma intenso. Anche questa giornata è compiuta, nonostante condizioni meteo e del percorso poco collaborative.

La nona giornata, come da programma, avrebbe dovuto conclude la nostra avventura, con un tappone finale, da Paularo a Imponzo, per  35 km e 1500 dsl+. Ma Giove Pluvio o San Pietro non vogliono congedarci e scatenano temporali fin dall’alba. Ci ritroviamo comunque puntuali al via, ma demordiamo quando prestiamo orecchio al numero e alla violenza dei tuoni uditi in lontananza. Poco importa, ci rifaremo non appena possibile: lasciare le cose a metà non è da noi. Dirottiamo quindi le nostre attenzioni verso la mostra d’arte internazionale “Nulla è perduto” di Illegio. Dopo aver ammirato la natura e la sua arte, ora contempliamo le opere dell’uomo, della sua sensibilità e della tecnologia che ci permette di rimediare agli errori commessi da altri uomini.

Per esigenze lavorative, siamo costrette a dividere il tappone finale in tre minitappe. Ci diamo quindi appuntamento il venerdì successivo nel tardo pomeriggio a Paularo, da dove riprendiamo quello che avevamo interrotto. Si tratta più che altro di una tappa di raccordo, di 5 kilometri, che ci permette di riconquistare la coerenza da pellegrine persa a Forni. La presenza di Carla e Alice rende il pomeriggio piacevolissimo e pieno di piccole sorprese. A Dierico incontriamo la chiesa di Santa Maria Maggiore, dall’architettura particolare, specie per un paesino così piccino e raccolto.

La chiesa di Santa Maria Maggiore, Dierico

Attraversiamo la statale per dirigerci verso Salino, con la sua imponente cascata che dispensa refrigerio, schizzi e provoca tante risate.

La cascata di Salino

Torniamo sui nostri passi, andiamo alla ricerca della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria. Di fronte a noi si staglia il monte Sernio. Consultiamo rapidamente la nostra fidata app cartografica, appuriamo che esiste una traccia che parte da Lovea, paesino dirimpettaio di Salino, e raggiunge la cima. Sarà uno dei nostri prossimi ravanàge, pandemia permttendo.

La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, Salino

Abbandoniamo il Cammino per addentrarci nelle retrovie di Paularo. I ricordi di un’estate passata in zona si rifanno vivi e partiamo alla ricerca della fonte ferruginosa, a est del paese.

La fonte ferruginosa, località Rufosc, Paularo

Il mascherone in pietra ci invita ad assaggiare l’acqua che sgorga: fresca e saporita, sicuramente più gradevole di quella che nasce dalla fonte solforosa che si trova poco più a sud. La tappa si conclude con una bibita in centro, attorniati da Paularini purosangue che, condendo il friulano con la loro tipica inflessione locale, ci fanno apprezzare la varietà e vastità delle umane differenze e similitudini.

E’ sabato pomeriggio, siamo pronti per la seconda frazione del supertappone finale da 20 km e 1000 dsl+, che in realtà corrisponde alla diciannovesima tappa del Cammino delle Pievi. Stavolta siamo così numerose (Alice, Chiaretta, Cinzia, Elena, Elisa, Marco), che a Trelli ci attende il comitato d’accoglienza, rigorosamente over 70, curioso di sapere il motivo di questo movimento inconsueto.

Trelli, il comitato d’accoglienza, fotoritocco per preservare la privacy dei partecipanti

Ma partiamo con ordine: saliamo da Salino verso il santuario della Madonna del Clap di monte Castoia,   dove dei boyscout stanno festeggiando l’estate.

Il santuario della Madonna del Clap

Scendiamo, intuendo il sentiero solo grazie alla traccia gpx, verso Trelli appunto. Grazie a Jàcum, custode della chiesa di San Giovanni Battista, possiamo vederne gli interni.

La chiesa di San Giovanni Battista, Trelli

Anche in questo caso ci meravigliamo della temperatura fresca e gradevole che offre la chiesa, ma soprattutto ammiriamo la cura dei particolari delle decorazioni. Questi luoghi di culto, così distanti e ignorati dalle rotte pellegrine classiche, non hanno nulla da invidiare a chiese molto più frequentate e celebrate.

Uscendo dal paese, ci addentriamo in una selva oscura che pure la traccia gpx era perduta. Usando i bastoncini da trekking come machete e orientandoci a vista nella fitta vegetazione, attraversiamo una bellissima porzione di bosco, con forre, letti di torrenti parzialmente secchi, sentieri in disuso, flora e fauna locali.

Sbuchiamo in località Valle, sane e salve, e ci incamminiamo verso Rivalpo. Lungo la strada, già a partire da Trelli, notiamo il culto del ricordo di com’erano le valli e le loro popolazioni nel secolo scorso. Foto d’epoca, cartellonistica, indicazioni di antica toponomastica ma anche cimeli delle due grandi guerre, che qui hanno mietuto vittime e causato grande dolore, ornano vie e sentieri.  

Non mancano esempi di simpatia locale e di esperienze a lungo maturate; in questo caso incappiamo in una stazione meteorologica pittosto pragmatica e tassativamente in friulano.

A Rivalpo, la chiesa di San Martino ci permette di riprendere fiato.

La chiesa di San Martino, Rivalpo
Ingresso al cimitero, tributo alle Portatrici Carniche, Rivalpo

Il bosco ci attira nuovamente e noi non disdegnamo il fresco che ci offre. Salendo, aggiriamo il Monte Cabia, ma il dislivello è comunque notevole. I locali ce lo ricordano a modo loro e noi inseriamo la 4×4 per raggiungere Arta Terme prima che cali il tramonto.

Suggerimento prezioso

La bibita fresca, ormai rito propiziatorio per la tappa successiva, è quantomai gradita e, visto che siamo davvero in tante, facciamo baldoria e festeggiamo l’inizio della fine.

E arriva la domenica dell’ultima tappa, da Arta Terme a Imponzo, a chiudere un anello e a mettere il sigillo su un progetto davvero sentito, vissuto e goduto appieno. Per quest’ultima fatica, di soli 10 km, ci raggiungono Elisa e, a serrare davvero il cerchio, Alice, che era presente mentre muovevamo i primissimi passi in questo lungo ed emozionante Cammino. A Piano d’Arta ci prendiamo il tempo per visitare la chiesa di San Nicolò degli Alzeri, chiesa gemella di quella presente a San Tomaso di Majano, più conosciuto come Hospitale di San Giovanni e crocevia di numerosi Cammini che attraversano il Friuli.

La chiesa di San Nicolò degli Alzeri, Piano d’Arta

Ma Arta ha in serbo per noi un altro gioiello: la chiesa dello Spirito Santo in borgo Chiusini, immersa nel verde e curata nei minimi dettagli.

La chiesa dello Spirito Santo, Chiusini

Proseguiamo verso il noto complesso termale al di là del Bût, da dove imbocchiamo il sentiero ripido che ci porta alla pieve di San Pietro in Carnia. Lungo la scarpinata sorpassiamo una distinta signora, anche lei nel bel mezzo degli “anta” da un po’, che ci confessa che percorre il sentiero quasi ogni giorno. Le facciamo i nostri più sinceri ed ammirati complimenti e tiriamo via dritte, in su, senza tregua. E’ pur sempre l’ultima tappa e dobbiamo saggiare quanta energia ancora abbiamo nelle gambe, nella testa e nel cuore. La pieve è situata in una posizione strategica: da lassù abbracciamo con lo sguardo tutta la Carnia, indichiamo a memoria i luoghi visitati, ci orientiamo con una certa facilità tra monti e valli e ci stupiamo a considerare i tanti kilometri percorsi, le bellezze naturali e artificiali viste, le storie ascoltate di donne e uomini che ci vivono.

La pieve di San Pietro in Carnia, Zuglio

Scambiamo alcune parole con due coppie di turisti veneti e ci fa piacere essere apostrofate simpaticamente come “putee”. In fin dei conti quello siamo, ragazze dentro e fuori, anche se soprassediamo sui nostri dati anagrafici. Abbiamo vissuto tanto, ognuno con le proprie esperienze passate che ci fanno da bagaglio, ma anche con molte curiosità ancora da soddisfare e luoghi, persone ed emozioni da conoscere. Abbandoniamo questo luogo magico e scendiamo di poco, per andare incontro alla chiesa di Madonna in Monte, anch’essa costruita in posizione molto panoramica.

La chiesa di Madonna in Monte, Zuglio

Prendiamo il sentiero che ci riporta a valle che funge anche da museo a cielo aperto per delle installazioni artistiche create dall’Istituto comprensivo della Carnia, avente per filo conduttore il Cantico delle Creature di San Francesco.

Una volta di più restiamo affascinate ad osservare quanta bellezza e sensibilità possa nascere dalla natura e dalla pacifica convivenza con essa e con tutto quello che ci dona. Usciamo dal bosco per dirigerci verso Zuglio, per visitare la chiesa di San Leonardo.

La chiesa di San Leonardo, Zuglio

Diamo una rapida occhiata al parco archeologico della romana “Iulium Carnicum”, per lo meno ai reperti posti lungo il Cammino. La tabella di marcia ci spinge verso la meta, putroppo, ma noi torneremo a visitarlo con calma.

Il parco archeologico

Riattraversiamo il Bût e ci incamminiamo, lungo una trafficata e afosa statale, verso Cadunea e la chiesa di San Tommaso apostolo, ben visibile anche dall’arteria stradale che cerchiamo di abbandonare in fretta.

La chiesa di San Tommaso Apostolo, Cadunea

Allunghiamo il passo per arrivare alla meta finale: Imponzo e la casa Emmaus da dove è iniziata e dove si conclude l’impresa.

Casa Emmaus, Imponzo

Tentiamo la fortuna, suonando il campanello, ma Don Giordano è assente. Convinciamo la perpetua ad aprirci ugualmente e a scambiare due parole con lei, una deliziosa signora dai modi molto cortesi ma poco avvezza alle diavolerie tecnologiche moderne. Niente foto ricordo, quindi. Ma lasciamo un breve scritto al parroco, facendogli i nostri complimenti per l’ideazione e realizzazione del Cammino.

E ora si festeggia: aperitivo e pizza superfarcita in una rinomata pizzeria di Imponzo, perché siamo brave ragazze e pellegrine, ma sappiamo anche prenderci i nostri momenti di innocente trasgressione e leggerezza. E mentre facciamo bilanci, sommiamo, dividiamo e ci scambiamo idee e impressioni, seminiamo nuovi progetti. Ma questa è un’altra storia e ve la racconteremo fra un po’.

I nostri ringraziamenti vanno a tutte le persone che ci hanno permesso di portare a compimento questa avventura, i parenti in primis, amici e amiche, vicini e lontani, chi ci ha supportati e sopportati, chi ci ha facilitato la vita ma anche chi ci ha ostacolato, ponendoci problemi che ci hanno permesso di crescere e acquisire nuove competenze. E un grazie e un arrivederci ad Alice, Carla, Chiaretta, Cinzia, Elena, Elisa, Livio, Marco, Marina, Massimo e Silverio, senza i quali l’impresa non sarebbe stata così memorabile e i ricordi non sarebbero così vividi.

Il Cammino delle Pievi in Carnia