Malghe e casere

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Il precedente spiegone ha avuto funzione introduttiva dell’argomento che mi sta particolarmente a cuore: le malghe e le attività produttive ad esse collegate. Al giorno d’oggi la funzione delle strutture malghive di montagna ha perso gran parte del proprio valore storico e economico. La vita del pastore o bovaro, monticato o transumante che sia, non è certo ricca di agi e comodità. Non ci sono domeniche, festività comandate, giorni di (giustificata) malattia o cassa integrazione per maltempo, durante il periodo dedicato al pascolo alpino. A detta di chi fa questo mestiere, solo la passione e l’amore per il territorio e gli animali possono sopperire ai mancati guadagni economici e a politiche sociali poco lungimiranti, accorte ed efficaci.

Sebbene negli ultimi decenni si sia provveduto a recuperare alcune strutture, ad adeguarle alle moderne norme di sicurezza ed abitabilità, a collegarle a reti viarie di alta quota e collegate ai fondivalle e a farle entrare nel circuito della sentieristica CAI, le malghe subiscono ancora il fenomeno dello spopolamento della montagna, con qualche rara e pregevole eccezione. Ad acuire la situazione già precaria, si aggiunge l’adeguamento (eticamente e moralmente caldeggiato da anni) delle condizioni igienico-sanitarie in cui devono essere gestite il bestiame, la trasformazione dei prodotti caseari e la commercializzazione. Alcune norme appaiono agli occhi dei professionisti del settore come vincoli e imposizioni calate dall’alto, senza alcuna attinenza alla realtà contingente.

Ma, soprassedendo alle polemiche, vediamo cosa si intende, dal punto di vista strutturale, per “𝙢𝙖𝙡𝙜𝙖”. Fin dai tempi più antichi, l’uomo allevatore è stato costretto a dividere i terreni dei fondivalle tra agricoltura, insediamenti e allevamento. Ha dunque spostato quest’ultima attività verso zone più elevate, dove cereali e ortaggi crescono comunque con difficoltà. E ha sfruttato l’orografia e la composizione vegetale dei rilievi, riuscendo a ricavare i prati-pascoli di media e alta montagna, ben consapevole che la stagione dell’alpeggio è breve, faticosa e irta di pericoli.

Ha quindi provveduto a costruire, con i materiali reperiti direttamente in zona (pietre e legname), dei ricoveri per sè e per gli armenti, che offrissero protezione da predatori e intemperie improvvise. I resti delle strutture più antiche testimoniano la presenza di recinti, con alti muretti a secco aventi funzione di delimitazione, deterrenza, difesa e frangivento. I custodi si accontentavano di un tavolato steso a terra, su cui riposare, e uno appoggiato in pendenza a un muretto, per rendergli più confortevole la permanenza in quota. Quando l’utilizzo di un alpeggio diventava ricorrente, si erigevano veri e propri edifici.

Più l’alpeggio distava dal fondovalle abitato, più sentita era la necessità di disporre di provviste, vettovaglie e attrezzatura. Il ricovero per pastori diventa progressivamente quindi anche magazzino e, in caso di pascoli particolarmente generosi, fienile.

Ovviamente non può mancare il locale adibito alla trasformazione del latte in eccedenza, quello non consumato in loco e sul momento. Ecco che il pastore o bovaro si fa accompagnare dal casaro o lo diventa egli stesso. La pratica dell’alpeggio, inteso come possibilità offerta al bestiame di cibarsi delle erbe più rigogliose, tenere e ricche di sapori e profumi, ha diverse conseguenze. I proprietari del bestiame non devono intaccare le già esigue riserve di fieno e cereali stoccati nei fondivalle. La quantità di latte prodotto aumenta del 25% e la sua qualità, sapore e lavorabilità traggono grandi benefici.

La malga (= la 𝘮𝘰𝘯𝘵) si compone dunque di più locali e di almeno un’area (= il 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘰𝘯) destinata al pascolamento delle bestie. Non sono rare le malghe che si dividono in “alta” e “bassa”, oppure “di sotto” (𝘥𝘪 𝘴𝘰𝘵), “di mezzo” (𝘥𝘪 𝘮𝘪𝘦ç) e “di sopra” (𝘥𝘪 𝘴𝘰𝘳𝘦). Il centro dell’area prativa, chiamata 𝘤𝘫𝘢𝘮𝘱𝘦𝘪, è quella a più elevato transito di bestiame e risulta anche quella più concimata. Nella stessa area si trovano gli edifici principali della malga. Il criterio di costruzione delle strutture era legato alla morfologia del territorio e alle caratteristiche del terreno. La direzione del vento, il periodo di insolazione, la disponibilità di acqua superficiale, i versanti più o meno soggetti a slavine venivano accuratamente presi in esame prima di dare il via ai cantieri.

La 𝘤𝘢𝘴𝘦𝘳𝘦 è il laboratorio per la caseificazione, solitamente in pietra o muratura e tetto in lamiera. L’ampio locale centrale funge da cucina e latteria. Qui si scalda il latte, versato nella 𝘤𝘫𝘢𝘭𝘥𝘦𝘳𝘪𝘦 in rame e posto sopra al 𝘧𝘰𝘨𝘰𝘭â𝘳. Un braccio mobile in legno (la 𝘮𝘶𝘴𝘴𝘦), ancorato a una parete, permette di sollevare e spostare la marmitta colma di latte.

Una stanza più piccola è adibita a ripostiglio (il 𝘤𝘦𝘭â𝘳). Sugli scaffali addossati alle pareti riposano le forme di formaggio e ricotta fresche o affumicate. L’ambiente è ben aerato e non troppo luminoso e le aperture verso l’esterno sono provviste di rudimentali ma efficaci zanzariere. Al piano superiore dormono pastori, malgari e casari e, se abbonda lo spazio, sono stoccati il fieno e le vettovaglie del personale.

Il complesso malghivo deve offrire un riparo coperto anche agli armenti. Logge (𝘭𝘰𝘻𝘪𝘴) e stalloni (𝘣𝘢𝘪𝘵𝘰𝘯𝘴) sono posti nella zona periferica del pascolo, spesso a formare un sistema difensivo continuo, con al centro un abbeveratoio (il 𝘣𝘦𝘷𝘦𝘳𝘢𝘥ô𝘳). A seconda della specie animale portata in alpeggio, sono presenti anche porcilaie e pollai, oltre a legnaie e depositi per l’attrezzatura. Un 𝘵𝘢𝘮𝘦𝘳 (steccato o palizzata in legno) recinta l’area pascoliva e gli edifici, permettendo un controllo meno serrato delle bestie al pascolo.

Se avete avuto occasione di osservare una casera tradizionale, non vi sarà sfuggita la particolare porta d’ingresso. E’ divisa in due sezioni, tagliata orizzontalmente. La parte inferiore doveva impedire agli animale di entrare nel locale. La parte superiore invece era necessariamente lasciata aperta, per permettere il tiraggio ottimale del camino e l’affumicatura dei prodotti caseari.

Nei pressi del 𝘵𝘢𝘮𝘦𝘳 trovava posto il 𝘱𝘢𝘭𝘰 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘱𝘢𝘴𝘴𝘪𝘰𝘯𝘦. Rappresenta la croce, originariamente in legno, oggigiorno in ferro, su cui è stato crocifisso Cristo. Vi sono appesi i simboli che evocano la sua morte e passione: il martello, la corona di spine, le tenaglie. Il palo della passione ha numerose funzioni: di devozione e di buon auspicio per chi vive una stagione intera in alta quota, ma anche di segnalazione per viandanti sbadati o pastori nottambuli. A seconda della posizione, era visibile a grandi distanze e fungeva pure da parafulmine.

Vi lancio una sfida: provate ad elencare le malghe in FVG che ancora sfoggiano questo antico vestigio.

ᶠᵒᵗᵒ: ʰᵗᵗᵖˢ://ʷʷʷ.ᵗᵘʳⁱˢᵐᵒᶠᵛᵍ.ⁱᵗ/ⁱᵗ/ᵐᵒⁿᵗᵃᵍⁿᵃ³⁶⁵/ᵐᵃˡᵍᵃ⁻ᵃᵍʳⁱᵗᵘʳⁱˢᵗⁱᶜᵃ⁻ᵐᵃˡⁱⁿˢ

Il complesso malghivo di Malins
Il complesso malghivo di Malins