Malghe, la storia

𝐋𝐨 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐯𝐢 𝐜𝐡𝐞?

Le attività produttive legate alla montagna e ai fondivalle si sono trasformate nei secoli, non solo per i progressi tecnologici inerenti lo sfruttamento e gestione del patrimonio boschivo, prativo e zootecnico. Ma anche per la diversa concezione che l’uomo ha avuto dell’ambiente montano e vallivo e per le attenzioni che gli ha riservato nel mutare dei tempi.

Questo spiegone tenta di illustrare, senza pretesa di esaustività, l’evoluzione storica delle strutture produttive montane. Che i cocuzzoli siano stati abitati fin dai tempi preistorici, è evidenza storicamente documentata. Il valore strategico del dominio dall’altro, nonché la relativa facilità difensiva di una postazione elevata è ben nota all’uomo del neolitico, che sta tentando di diventare stanziale. Agricoltura e allevamento sono i motivi per questo sostanziale cambio di vita. Inizialmente queste due attività sono svolte in pianura o nei fondivalle più invitanti e agevoli.

Scambi commerciali e tecnologici tra popolazioni differenti, espansioni all’interno di territori già noti o invasioni di nuove terre da conquistare, screzi o scontri per accaparrarsi zone più promettenti di altre, sono solo alcuni dei motivi per cui clan famigliari o piccoli gruppi sociali scelgono le “alture” per continuare a prosperare. Uno spiegone sui castellieri lo trovate qui: https://www.tangia.it/savalons/ .

La cacciata dei celti Carni verso la montagna, operata dai Romani tra i I e IV sec. d.C. e il successivo insediamento dei Longobardi in terra friulana, hanno decisamente incrementato la popolosità della fascia prealpina e alpina.

E sono proprio 𝘵𝘳𝘦 𝘧𝘳𝘢𝘵𝘦𝘭𝘭𝘪 𝘭𝘰𝘯𝘨𝘰𝘣𝘢𝘳𝘥𝘪 (Erto, Anto e Marco), monaci dell’abbazia di Nonantola (odierna provincia di Modena), a donare nel 762 i loro possedimenti in terra friulana a due monasteri, da loro fondati sul territorio: quello di Salt (Cividale) e quello di Sesto al Reghena. Nella donazione è nominato un “𝘮𝘰𝘯𝘵𝘦” in Carnia, sulle cui pendici potevano essere portate a pascolare le greggi e le mandrie dei due monasteri. Risulta implicita la presenza di un edificio adibito a ristoro, chiamato oggi, come allora, 𝙡𝙖 𝙢𝙤𝙣𝙩 ( = malga).

L’abitudine di donare beni immobili, terreni o strutture che fossero, dislocati in aree alpine ad abbazie e monasteri, obbliga il 𝘗𝘢𝘵𝘳𝘪𝘢𝘳𝘤𝘢𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘈𝘲𝘶𝘪𝘭𝘦𝘪𝘢, insediatosi in Friuli tra il XI e XV secolo, a legiferare in merito ai pascoli alpini e al loro utilizzo, spesso affidato ai vassalli del Patriarcato stesso.

I documenti storici dell’epoca citano: monte Onuf (nei pressi di Priola, 1015 d.C.), monte Tenca (1177), monte Lanza (1279), monte Arvenis (1295) e monte Premos (Pramosio, o Promosio, 1300). Nel 1275 il patriarca Raimondo della Torre concede a tutti gli uomini della Carnia di coltivare i terreni prativi e pascoli. A patto che versino nelle casse di Aquileia la 𝙙𝙚𝙘𝙞𝙢𝙖, cioè la decima parte del raccolto o del reddito derivante dall’uso dei suddetti terreni.

La conseguenza diretta di questa decisione è l’espansione, per disboscamento, dei pascoli di alta quota. Specie nelle zone in cui i fondovalle sono già ampiamente sfruttati e coltivati, considerato l’aumento della popolazione stanziale. Si assiste in questo periodo alla nascita di una fitta rete di insediamenti, borghi e pievi dislocati nella cosiddetta “pedemontana” (ad esempio: Maniago, Pinzano, Meduno).

Nel 1420 il Friuli passa sotto dominazione veneta. Alla 𝘚𝘦𝘳𝘦𝘯𝘪𝘴𝘴𝘪𝘮𝘢 interessano i boschi, a discapito dei pascoli e le risorse forestali iniziano ad essere tutelate da codici e norme. La Repubblica vieta, ad esempio, il pascolo ovino e caprino all’interno del bosco, perché ritenuto particolarmente dannoso. Ma provvede anche al ripristino di aree soggette a dissesto idrogeologico causata dal disboscamento o dal calpestio di armenti.

Col trattato di Campoformido (17 ottobre 1797) 𝘕𝘢𝘱𝘰𝘭𝘦𝘰𝘯𝘦 decreta la fine della Repubblica veneta, spartendosi il Nord Italia con l’arciducato d’Austria. Il comandante corso fa in tempo a istituire i comuni, aventi una connotazione giuridica ben definita, a introdurre quindi il concetto di “proprietà del comune” e a regolamentare l’uso di pascoli e boschi.

Gli 𝘈𝘶𝘴𝘵𝘳𝘪𝘢𝘤𝘪 inducono i comuni a disfarsi delle proprietà montane meno redditizie, vendendole a privati cittadini. Si formano così i patrimoni privati, alcuni anche di vaste dimensioni e sopravvissuti fino ai giorni nostri soprattutto in Carnia. L’efficienza dell’Impero si palesa anche nella compilazione accurata di mappe territoriali, dando vita alla prima forma di catasto immobiliare. Ai terreni produttivi montani è assegnato un reddito dominicale superiore a quelli di fondovalle. Così facendo si sottolinea implicitamente l’importanza che l’attività di monticazione e boschiva ha all’interno delle comunità alpine.

L’avvento dello 𝘚𝘵𝘢𝘵𝘰 𝘐𝘵𝘢𝘭𝘪𝘢𝘯𝘰 segna una nuova contrazione dei fondi dedicati al pascolo, a favore delle aree boschive. Vengono definite nuove norme puntuali finalizzate a una corretta disciplina e gestione forestale. Tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo cresce la necessità di indagare le realtà produttive di montagna. Giovanni Marinelli stila un primo elenco nel 1880, nel quale comprende: 86 casere e 25 stavoli distribuiti tra gli 800 e 1900 mt. s.l.m. Nel 1911 un nuovo elenco, voluto dall’Associazione Agraria Friulana, conta 178 malghe attive in Carnia e 50 in Canal del Ferro.

I conflitti mondiali ridisegnano le frontiere nazionali e di conseguenza le competenze territoriali, ponendo anche termine a contese tra malgari di nazionalità confinanti. Se nel 1914 𝙂.𝘽. 𝘿𝙚 𝙂𝙖𝙨𝙥𝙚𝙧𝙞 conta 256 casere e 164 malghe in Carnia, 174 casere e 137 malghe nelle Prealpi Carniche e 61 casere nelle Alpi e Prealpi Giulie, pochi decenni più tardi, nel 1967, il quadro dipinto da accurate indagini svolte da 𝙂𝙞𝙪𝙨𝙚𝙥𝙥𝙚 𝙁𝙖𝙡𝙚𝙨𝙘𝙝𝙞𝙣𝙞 rende tristemente noto il fenomeno dello spopolamento della montagna. In Carnia risultano attive solo 132 malghe, che scendono drasticamente a 71 nel 1975, a 61 nel 1982 e a 52 nel 1994.

Negli ultimi anni si è assistito a un certo rilancio delle attività malghive, grazie a investimenti e fondi economici. Numerose strutture sono state ammodernate, dotate di servizi primari e viabilità prima assenti o carenti, alcune ristrutturate sostanzialmente, altre hanno cambiato destinazione d’uso, diventando ricezione d’emergenza o vere e proprie aziende agricole e turistiche. Seguirà ovviamente spiegone dedicato alle attività svolte nelle malghe e nelle casere.

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Malga Confin, Venzone
Malga Confin, Venzone